FRIEDRICH SCHILLER – Vita e opere

   
    
TEMPESTA E PASSIONE NEL TEATRO DI SCHILLER

  
Negli ultimi decenni del XVIII secolo il teatro ha una grande funzione in Germania. L’intero movimento spirituale che caratterizza la fine del Settecento, – movimento che si pone in polemica con l’Illuminismo, e vuole cancellare, in arte, le regole dei classici; in filosofia e in morale, la compassata e fredda ragione per esaltare il libero stato di natura; in politica, condanna l’assolutismo illuminato per lo sfrenato dispiegarsi dell’individuo (il suo motto sarà “in tyrannos”, cioè: contro i tiranni) – assume come propria bandiera il titolo di una tragedia, rappresentata a Lipsia nel 1777: Sturm und Drang… Tempesta e passione…, di Maximilian Klinger.

Il teatro, è al centro degli interessi degli Sturmer, degli intellettuali dello Sturm und Drang: ciò che sessi vi cercano, sono le grandi passioni, gli immani conflitti di anime, l’assoluta liberta di fantasia, l’energia in frenabile; cose tutte che il teatro classico francese (Racine, Corneille) o quello dell’Illuminismo (Voltaire) non potevano dare. Il genio che di tutto ciò ha invece riempito a piene mani il suo teatro è Shakespeare, “l’uomo del Nord”, , come lo chiama uno dei massimi esponenti dello Sturm und Drang, Johan Gottfried Herder: lui è dunque necessario prendere come modello, il grande Will.
Al grande William Shakespeare lo Herder dedica un saggio, intitolato DISSERTAZIONE SU SHAKESPEARE, e sono alcune dell’OTELLO a determinare la carriera teatrale di Schiller. Interessanti Annotazioni sul teatro scrive un altro “shakespeariano”, Jakob Michael Lenz, mentre per il teatro scrive nel periodo dello Sturm und Drang Wolfgang Goethe, (Götz di Berlichingen). Una spiegazione di questa passione per il teatro nel periodo dello Sturm und Drang? Leggo un passo di Goethe…
“Perché tutti si danno ai lavori teatrali?… perché il dramma è l’unico genere maturo e aperto ai sensi…”.
  
Friedrich von Schiller  (1759-1805) – Ritratto di stampa
Friedrich Bruckmann (1814-1898)
   
Una sera del 1782 uno spettatore sconosciuto al piccolo pubblico della cittadina tedesca di Mannheim assisteva alla prima rappresentazione di un nuovo dramma, interpretato dal grande attore August Wilhelm Iffland. I primi tre atti erano passati nell’indifferenza generale. Ma al quarto e soprattutto al quinto atto, fu un vero trionfo. E mentre la gente non finiva più di battere le mani, quello spettatore sconosciuto usciva in fretta dalla sala e, avvolto nel suo mantello, si infilava rapidamente in una carrozza che partiva a tutta velocità sulla strada di Stoccarda.
Quello spettatore sconosciuto era l’autore della tragedia che Iffland aveva rappresentato e che segnava l’inizio di una nuova epoca nella storia del teatro tedesco: I MASNADIERI (Die Räuber). Quello spettatore sconosciuto era Friedrich von Schiller. Nel più breve tempo possibile doveva rientrare a Stoccarda, nella caserma presso la quale prestava servizio come ufficiale medico: se ne era scappato via senza permesso. Il grande successo di quella sera coronava i suoi sogni letterari, le sue aspirazioni d’arte: aveva subito la carriera di chirurgo militare che gli sembrava la meno peggio tra quelle riserbate dal duca Carlo Eugenio, sovrano del piccolo stato del Wurttemberg ai figli dei suoi funzionari, ma il suo spirito lo spingeva ad essere utile ai contemporanei n ben altro modo.
Quando era ancora studente, aveva letto in una traduzione alcune scene dell’OTELLO shakespeariano, e se ne era entusiasmato: aveva abbozzato due drammi e, finalmente, nel 1780, aveva concepito la tragica storia del ribelle Karl Moor, il masnadiero, mettendovi tutto il suo risentimento per le costrizioni, le ipocrisie, le meschinità tra cui, nello staterello feudale, era costretto a vivere.
Poco dopo – e già il duca era intervenuto per metterlo sull’avviso: non scrivesse più per il teatro, e soprattutto non scrivesse più storie così “sovversive” – in occasione di una replica della sua tragedia, Schiller fugge di nuovo: al ritorno, viene punito con quindici giorni d’arresti. L’aria si era fatta irrespirabile per lui: l’avversione per il tirannello locale lo spinge finalmente, nel settembre di quello stesso anno, a lasciare Wurttemberg e il mestiere di medico militare.
Si stabilisce a Mannheim e per quel teatro scrive il suo secondo dramma, LA CONGIURA DEL FIESCO, che non ha successo. Schiller non si scoraggia e cerca una nuova via. Questa volta, non nella storia o nel mondo aristocratico: ma nella realtà del suo tempo, nel conflitto aperto tra il feudalesimo morente e la borghesia. E scrive la tragedia borghese LUISA MILLER, poi ribattezzata AMORE E RAGGIRO (Kabale und Liebe).
Il successo fu enorme.
Schiller divenne in breve tempo il poeta più ricercato e amato: in Sassonia il duca Carlo Augusto gli conferisce il titolo di consigliere; a Weimar stringe una cordiale amicizia con Goethe, che lo fa nominare professore all’Università di Jena.
Il ribelle di un tempo, l’odiatore della società retriva e ottusa, diventa ora un ben pagato professore universitario, un poeta ufficiale: con un processo tipico della cultura tedesca di questo periodo, l’intellettuale inizialmente anarchicheggiante viene, per così dire, riassorbito; i fermenti rivoluzionari vengono del tutto neutralizzati. Né si dimentichi che tutto ciò avviene mentre nella vicina Francia si svolgono le successive tappe della Rivoluzione: dai pensatori e dai letterati dello Sturm und Drang inizialmente guardata con simpatia, ma i cui motivi trasportati sul suolo tedesco, vengono neutralizzati dall’Idealismo.
Questa evoluzione avviene anche in Schiller: quanta tempesta e passione vi era nei personaggi precedenti, in KARL MOOR, in FERDINANDO e in LUISA MILLER, a confronto con il freddo moraleggiare di un marchese di Posa nel DON CARLOS! Dopo la parentesi di alcuni anni dedicati agli studi (Della grazia e della dignità…, Dell’educazione estetica dell’uomo…, Dell’arte tragica…, Storia della caduta dei Pesi Bassi…, Storia della guerra dei Trent’anni) ecco gli ultimi drammi, in cui l’evoluzione politica si traduce in un ritorno al classicismo…
· (1798-1799) La trilogia del Wallenstein
· (1800) Maria Stuarda
· (1801) La pulzella d’Orleans
· (1803) La fidanzata di Messina

… e infine  GUGLIELMO TELL  (Wilhelm Tell), recitato a Weimar, come i lavori precedenti, alla presenza di Madame de Staël. Non era presente, invece, l’autore: ammalato, di lì a poco tempo moriva, il 9 maggio 1805.

  
Ritratto di Friedrich von Schiller  (1759-1805)
Gerhard von Kügelgen  – Goethe Museum – Francoforte sul Meno
     
“Ed ora, alla fine tanto seria del nostro secolo, mentre la realtà diventa poesia, ora l’arte può, anzi deve tentare alti voli sul palcoscenico, ché altrimenti sarà umiliata dal palcoscenico della vita”… così scrive Schiller nel prologo del Wallenstein, esprimendo con ciò la precisa consapevole intenzione di dare una grande arte al proprio tempo, nella forma più consona ad esso, il teatro.
Con i suoi drammi, certo, Schiller adempì alo compito che si era proposto di creare un grande teatro nazionale tedesco, opera nella quale si trovò ad avere al suo fianco Goethe, che del teatro tedesco di quel periodo scrisse l’opera eccelsa, il FAUST.
Ma perché mentre il FAUST assurge a valori universali, le opere di Schiller hanno ben precisi limiti artistici? La ragione di ciò ci può venire spiegata da un’interessante polemica che Marx ed Engels ebbero con Lassalle, a proposito del dramma di quest’ultimo FRANZ VON SICKINGEN.
Non posso certo qui entrare nei particolari di tale polemica, dirò soltanto che Marx ed Engels accusano Lassalle di aver seguito il modello schilleriano, e non quello di Shakespeare, di aver cioè commesso l’errore di Schiller di “trasformare gli individui in semplici portavoce dello spirito del tempo”.
“Non sono affatto un avversario della poesia a tesi in quanto tale – scrive Engels – Il padre della tragedia, Eschilo, il padre della commedia, Aristofane, furono ambedue poeti fortemente a tesi: lo stesso vale per Dante e Cervantes, e il maggior merito di AMORE E RAGGIRO di Schiller è di essere il primo dramma tedesco a tesi. I russi e i norvegesi, che forniscono eccellenti romanzi, sono tutti scrittori a tesi. Ma io penso che la tesi debba scaturire dalla situazione e dall’azione stessa, senza che vi si insista sopra in modo esplicito…”.

Questo è appunto il difetto di Schiller: ma analizzare le ragioni (da Marx ed Engels attribuite alle “genericità idealizzante” di questo “rivoluzionario idealista piccolo borghese”) non significa minimamente voler misconoscere la grande importanza storica della sua opera e negare che anche a noi, a me, oggi una lettura dei MASNADIERI o di AMORE E RAGGIRO o di MARIA STUARDA o del GUGLIELMO TELL possa serbare interessanti emozioni estetiche; non significa affatto che non si debba auspicare una ripresa sulle nostre scene di uno di questi drammi per degnamente ricordare questo grande drammaturgo tedesco.

   
Ritratto di Friedrich Schiller (1791) – Anton Graff (1736–1813) 

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