IL CANALE DI SUEZ

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IL CANALE DI SUEZ

È questo un resoconto dettagliato della preparazione diplomatica, finanziaria e tecnica dell’opera, che, mentre informa di ogni circostanza, non è insensibile all’amarezza chi, come il progettista Luigi Negrelli (Fiera di Primiero, 23 gennaio 1799 – Vienna, 1º ottobre 1858), dopo aver speso tutta la vita nel sogno di vedere il suo progetto realizzato, morì prima di vedere l’inizio dei lavori. Il taglio dell’Istmo di Suez realizzato dai Francesi con ingegno e manodopera italiana, era sempre stato oggetto di studio.

Pare che Romani e Faraoni, attraverso una rete di canali dal Mediterraneo ai Laghi Amari e di qua dal Mar Rosso, avessero risolto il problema delle comunicazioni fra il bacino eurafricano e quello afro-indiano.

Pisani e Veneziani, anche loro, cercarono una soluzione che facilitasse il traffico tra i due mondi. Napoleone, durante la campagna d’Egitto, incaricò una commissione di studiare un’arteria navigabile, e l’incarico venne affidato all’ingegner Le Père, ma piuttosto che difficoltà politiche si oppose subito un errore di valutazione: si credeva infatti che fra il Mar Rosso e il Mediterraneo ci fosse un dislivello di dieci metri; l’Europa si vide invasa dalle acque (sarebbe aumentato il livello del Mediterraneo al punto che le città che si trovassero al livello del mare sarebbero state sommerse: solo quelle costruite su coste alte, come Genova, si sarebbero salvate).

undefinedBarthélemy-Prosper Enfantin

Se Genova e Marsiglia restavano come entità modestissime, Livorno era condannata, Venezia doveva sparire, totalmente. Studiato meglio il gioco delle maree e dei livelli marini, e presentandosi sempre più necessario un modo di comunicazione fra Mediterraneo e India, Francia e Stati italiani furono subito favorevoli a un canale navigabile; l’Inghilterra s’oppose invece recisamente al taglio dello istmo, proponendo una ferrovia costruita di buon materiale inglese; e mentre fra le cancellerie d’Europa correvano messaggi e relazioni, il Principe di Metternich (primo ministro austriaco ) si occupò del Khedivè ( il funzionario turco che governava l’Egitto con poteri di viceré) guadagnandolo alla causa del Canale attraverso l’ingegnere francese Barthélemy-Prosper Enfantin detto Père Enfantin (Parigi, 8 febbraio 1796 – Parigi, 31 agosto 1864)  già sul posto per studiare la topografia della regione.

Lesseps e Said

Il Viceré rispose che l’Egitto era lieto di collaborare al progetto a patto che il canale restasse egiziano e che nessuna nazione a lavori ultimati se ne accaparrasse il monopolio: il canale doveva restar perennemente neutrale così che tutto il mondo potesse goderne i vantaggi.

Nel 1846 Enfantin fondava una società internazionale costituita da tre gruppi: uno italo-austriaco composto dall’Austria, Lombardo-Veneto, Germania; un secondo gruppo era francese; inglese il terzo. A capo dei tre gruppi composti da sette a dieci membri, che versarono ognuno 5.000 franchi oro, erano ingegneri di gran notorietà. Gli Italo-Austriaci scelsero il trentino Luigi Negrelli; i Francesi Paulin François Talabot (Limoges, 18 agosto 1799 – Parigi, 21 marzo 1885); Robert Stephenson (Willington Quay, 16 ottobre 1803 – Londra, 12 ottobre 1859) (figlio di Georg Stephenson, l’inventore della locomotiva a vapore) rappresentava gli Inglesi, i quali continuarono però nella loro campagna contro il canale temendo una preponderanza francese.

Negrelli fu incaricato di sopraluoghi in Egitto; il Lloyd Triestino e altri enti di Trieste e Venezia gli offrirono i mezzi per la spedizione che doveva stabilire quanto i rilievi dello scienziato bolognese Gaetano Ghedini intorno alla identità di livello tra Mar Rosso e Mediterraneo corrispondevano al vero.

La Spedizione partita nel marzo del 1847 durò quattro mesi, durante i quali Negrelli preparò una memoria fornita di disegni accurati. Gli ingegneri francesi anche loro finirono per accedere all’idea d’una identità di livello fra i due mari, tuttavia suggerivano un tracciato indiretto; Stephenson non si era mosso dall’Inghilterra, rimettendosi alle carte idrografiche dell’Ammiragliato, sbagliate: gli Inglesi volevano una ferrovia da Alessandria al Cairo, e dal Cairo a Suez, più tardi.

Le rivoluzioni europee del 1848 arrestarono l’attività della Società internazionale formatasi per quegli studi; solo nel 1854, tornata la calma e salito sul trono d’Egitto il Viceré Said, giovanotto pieno di ambizioni e propenso al rinnovamento suggerito dai tempi, il progetto venne ripresentato, e per la prima volta nella storia del Canale di Suez e della sua progettazione appare il francese Ferdinand de Lesseps, console di Francia in Egitto. Forte dei suoi ottimi rapporti con Said, costui non ebbe difficoltà a ottenere dalla Società di studi, che ancora sussisteva, una delega per rappresentare sia Enfantin che Negrelli e Dufour e Talabot.

Fornito quindi di progetti, documenti, disegni, preventivi, nel 1854 Lesseps venne incaricato di presentare al principe Said una larga memoria stilata in francese intorno ai molteplici vantaggi cui l’Egitto andava incontro attraverso il taglio dell’istmo e la costruzione di un canale navigabile. La sua opera diplomatica per lui che veniva dalla diplomazia non fu vana: il 30 novembre di quell’anno. Said firmava la concessione, mentre i fondatori della Società di studi in tutte le corti d’Europa cercavano fondi e sostenitori per la colossale impresa, e perché l’opera rivestisse anche legalmente il carattere internazionale richiesto dalla concessione del Khedivè.

Lesseps ritornato a Parigi presentò questa concessione di Said come un’autorizzazione personale per eseguire i lavori. Il Viceré lo aveva infatti incaricato di costituire e poi dirigere una compagnia internazionale chiamata Compagnia Universale del Canale Marittimo di Suez, per il taglio dell’Istmo di Suez; la durata della concessione era di 99 anni, e il governo egiziano avrebbe dovuto ricevere annualmente il 15 per cento degli utili netti senza pregiudizio dei dividendi spettanti alle azioni del suo pacchetto (i dividendi sono i ricavati annui dell’investimento in azioni finanziarie).
Lesseps recatosi a Costantinopoli nel febbraio del 1851 per ottenere dalla Sublime Porta (così veniva chiamato il governo dell’Impero Turco) la ratifica, si trovò ancora davanti all’opposizione del governo britannico che temeva l’appoggio di Napoleone III alla Compagnia de Canale di Suez, in funzione quindi antinglese.
In un correre affannoso da una capitale all’altra, fra note e contronote e rapporti diplomatici che s’inseguivano, s’arriva alla formazione d’una commissione mista dov’erano gli italiani Negrelli e Pietro Paleòcapa, Ministro dei Lavori pubblici del Piemonte.
Il 2 gennaio 1856 la Commissione presentava al Viceré il progetto di Negrelli come di facile esecuzione e di sicuro successo; e a distanza di qualche giorno Said emise il firmano (editto, ordine; è parola di origine turca) approvandolo, ma riaffermando il principio della neutralità del Canale.

A questo punto intervengono fatti che anche a distanza prendono colore giallo, con sapore romanzesco, avventuroso. Nella traduzione del firmano, cioè del decreto, dal turco in francese, venne omessa la lista dei soci fondatori ai quali era stato attribuito il dieci per cento degli utili netti annuali quale riconoscimento del lavoro prestato e del contributo economico alla Società di studi che aveva originato la Compagnia Universale, ecc.

Fra gli Italiani avevano questo diritto il Negrelli, il Paleòcapa, Luigi Torelli, le corporazioni venete. Infine, per facilitare l’afflussodi capitali e mettere l’Inghilterra davanti al fatto compiuto, Lesseps nella pubblicazione del firmano di Said omise, anche la clausola relativa alla ratifica del Sultano di Costantinopoli e il 20 dicembre del 1858 costituì, illegalmente – secondo quanto affermano tuttora gli eredi del Negrelli – la grande Compagnia del Canale di Suez con un capitale fissato in 200 milioni di franchi, rappresentato da 400 mila azioni del valore nominale di 500 franchi.

Duecentomila azioni furono subito sottoscritte dalla Francia, ma in Italia, vuoi per mancanza di denaro, vuoi per sfiducia, le azioni sottoscritte raggiunsero appena il numero di 1700 circa. Il Viceré d’Egitto s’impegnò prima per 64 mila, infine per tutte quelle rimaste invendute, per un totale di 177 mila azioni.

Il quindicinale parigino intitolato “L’Isthme de Suez – journal de l’Union des deux mers” apparso in primo numero nel giugno del 1856, e il torinese “Bollettino dell’Istmo di Suez” diretto da Luigi Torelli, esplicavano una strenua propaganda all’impresa che l’Inghilterra continuava ad avversare con ogni mezzo diplomatico ed economico.

Luigi Negrelli, il cui progetto dopo anni d’attesa stava per essere realizzato, morì il primo ottobre 1858; i lavori cominciarono il 25 aprile 1859 da una parte e dall’altra dei due mari e fra alti e bassi, in una desolante serie di sospensioni e di riprese, di minacce di fallimento e di incidenti mortali, per dieci anni la costruzione andò avanti.

Oltre al progetto, era italiana la mano d’opera: se la direzione dei lavori era tutta francese, le maestranze specializzate erano tutte italiane: muratori, capimastri, e capisquadra erano siciliani, pugliesi, calabresi, piemontesi. Nemmeno Said che tanto s’era adoperato, vide compiuta l’impresa; egli morì nel 1863, e i lavori di congiungimento cessarono solo il 15 agosto del 1869.

L’inaugurazione avvenne il 17 novembre di quell’anno; per l’occasione Giuseppe Verdi, allora musicista alla moda, compose un’opera lirica di soggetto eroico egiziano, l’Aida, che venne rappresentata ad Alessandria d’Egitto la prima volta.

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