STORIA DELLE RELIGIONI – PERGAMO – Città del Sole

STORIA DELLE RELIGIONI

I ribelli di Pergamo fondarono la Città del Sole

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Lo studio comparato dei più antichi testi cristiani, riservato sino ad oggi in Italia ai teologi e ai filologi di professione, offre ampia e continua materia di riflessione a chi si preoccupa di far passare la storia degli nomini dall’utopia alla scienza. La gelosa pretesa degli specialisti clericali, che si ritengono i soli competenti; o la sciocca indifferenza dei cosiddetti gran maestri del laicismo borghese, si danno in fondo la mano e costituiscono un solo aspetto di quella interpretazione reazionaria della storia e della vita che le classi dirigenti hanno bisogno di diffondere; e di perpetuare.

CANCELLA I NOSTRI DEBITI…

Prendiamo, tanto per fare un esempio, quel passo dei vangeli dove vien riportato il testo di una delle preghiere collettive delle prime comunità cristiane, il “Padre nostro”. Dei tre vangeli che la tradizione ci ha conservato, e che per essere a prima vista strettamente dipendenti l’uno dall’altro vengono appunto detti sinottici (il quarto vangelo, attribuito a un Giovanni, non è in realtà che un trattatello dogmatico estraneo al mondo palestinese e condotto secondo lo stile della scuola filosofica di Alessandria d’Egitto), soltanto due, quello di Matteo e quello di Luca, riferiscono il testo completo dalla preghiera; ma con delle differenze tipiche e sostanziali. Cancella i nostri debiti, così come noi li cancelleremo ai nostri debitori, leggiamo in Matteo, (VI, 12), con una terminologia che riflette più da vicino alcune rivendicazioni di carattere sociale che l’impotenza degli uomini aveva finito col trasferire sul terreno dell’illusione religiosa. Ma nel vangelo attribuito a Luca, la parola “debiti “, che pure aveva già acquistato nel linguaggio greco dell’epoca un senso aggiuntivo di carattere moralistico, viene corretta in “peccati”: “Cancella i nostri peccati, così come noi li cancelliamo a quelli che hanno mancato verso di noi” (XI, 4).

L’ODIO CONTRO I RICCHI

Così il vecchio grido di rivolta delle plebi oppresse, spesso ridotte in schiavitù per l’impossibilità in cui si trovavano di pagare i debiti usurari imposti dai cui possidenti, si alienava definitivamente sul terreno religioso. Eppure per oltre quattro secoli, dalla fine della guerra del Peloponneso in poi, la parola d’ordine della “remissione dei debiti”, legata a quella della “ridistribuzione delle terre”, aveva largamente risuonato nel mondo mediterraneo, tanto in Oriente quanto in Occidente, ed aveva non di rado guidato vaste insurrezioni di contadini impoveriti e di schiavi.
L’odio secolare contro i ricchi esplodeva talvolta in modo disordinato e imprevisto.
Basti ricordare l’esempio del “tiranno” di Siracusa, Agatocle, che verso il 240 a. C., secondo il racconto di Diodoro Siculo (XIX, 2), per cercare di tenere testa all’imminente conquista romana dell’isola, promise ai poveri della città “l’abolizione dei debiti e una ridistribuzione delle terre” in cambio del loro arruolamento generale nell’esercito. Siracusa non poté essere salvata egualmente, a lungo andare; ma intanto un massacro generale dei possidenti, che fece oltre 4000 vittime, testimoniava quali fermenti di rivolta ribollissero sotto la apparente fermezza e tranquillità del regime schiavistico.
Le “ideologie religiose e le varie forme” di utopia che ne sono state l’espressione nell’antichità (il mito dell’età dell’oro, per esempio; o del ritorno alla terra, o della speranza ultraterrena), non devono essere soltanto studiate come uno dei sintomi della decadenza e della sfiducia delle classi dirigenti, ma anche come il frutto dell’alienazione, sul terreno delle idee, delle sconfitte e della disperazione delle masse sfruttate e impoverite.

LA RIVOLTA DI ARISTONICO

Tra questi episodi di ribellione e di delusione collettiva va annoverata la significativa storia di Aristonico e dei suoi schiavi insorti nel nome delle divinità solari dell’Asia Minore, che già da tempo erano entrate nei culti servili, in netto contrasto con le manifestazioni ufficiali della religiosità di Stato. Per un esame più dettagliato delle fonti e dei fatti, vi rimando a uno studio di un professore romano,
(G. Cardinali,  La morte di Attalo terzo e la rivolta di Aristonico, in una raccolta di “Saggi in onore di Giulio Beloch“).
Nella seconda metà del II secolo a. C., mentre divampava in Sicilia la ribellione degli schiavi di Eunoo, focolai di rivolta si accesero in tutti i centri più importanti dell’antica società schiavista, di porto in porto, di villaggio in villaggio, secondo quella forma di propagazione che dovrà più tardi assicurare il rapido sviluppo dell’ideologia cristiana, sul terreno della rinuncia e della rassegnazione religiosa. Fu forse anche per questo motivo che Attalo III, sovrano di uno staterello schiavista dell’Asia Minore, con capitale Pergamo, decise, morendo nel 133 a. C., di lasciare in testamento il suo regno ai romani? C’è chi l’ha pensato, ma la cosa non è essenziale. Sta di fatto che sotto la guida di Aristonico, figlio di una schiava arpista e probabilmente fratellastro del re, la insurrezione contro i romani scoppiò immediata e assunse il carattere di una vera e propria guerra di liberazione nazionale e sociale.
Respinto dai “liberi”, cui aveva fatto appello, e che nei romani vedevano invece una garanzia supplementare per il rafforzamento del loro dominio di classe (non era la prima, e non sarà certo l’ultima volta, nella storia, che lo straniero viene invitato ad intervenire. nella vita interna di un paese per salvare le fortune dei ceti dominanti), Aristonico si rivolse ai diseredati, ai miserabili e in primo luogo agli schiavi, promettendo loro, in caso di vittoria, la creazione di uno Stato “senza padroni né ricchi, senza poveri né schiavi”. È secondario per noi, vedere quanto ci fosse di interessato e di artificiale in questa impostazione della lotta, da parte dello stesso Aristonico. Sta di fatto che le masse cui egli aveva fatto appello risposero con entusiasmo e l’intero regno di Pergamo, ribattezzato dagli insorti come la “Città del Sole”, per oltre due anni nelle mani degli schiavi.
Per liquidare l’insurrezione, i romani dovettero attendere la fine dell’altra rivolta siciliana, nel 131 a. C.; ma anche così una intera coalizione di Stati dovette essere formata per far fronte al pericolo.
Il console Publio Licinio Grasso mobilitò le forze di Nicomede II di Bitinia, di Mitridate V del Ponto, di Ariarate V di Cappadocia e di Pilemene I di Paflagonia; ma fu sconfitto ed ucciso in battaglia dai “ribelli”. Solo il suo successore, il console Perperna, riuscì a battere Aristonico e lo fece inviare a Roma, dove per ordine del Senato venne strozzato in carcere.
La rivolta venne sanguinosamente repressa e i proprietari e commercianti di schiavi respirarono.

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