GIUDAISMO

NASCE IL GIUDAISMO

fra le tribù erranti della Palestina

Non è facile abituarsi a pensare che tra la religione del popolo ebraico e la religione cristiana i rapporti sono molto meno stretti, storicamente parlando, che non per esempio, tra il Cristianesimo primitivo e i vari culti di salvezza o di mistero, nati negli ultimi secoli dell’era antica in seno al paganesimo greco-romano.

Ed è forse più difficile ancora accettare il concetto che il Giudaismo e il Cristianesimo non costituiscono affatto due fasi di sviluppo di una stessa religione, di cui l’una evolva ideologicamente e cronologicamente nell’altra. Eppure esse rappresentano due religioni parallele, sorte nello stesso periodo storico, e cioè nell’epoca del passaggio dalla società schiavista alla società basata sulla servitù della gleba, alla società feudale.
Sono naturalmente i primi capitoli del Vecchio Testamento, la parte più antica della Bibbia, che hanno determinato la convinzione popolare dell’origine remotissima della religione e del popolo ebraico, perchè si iniziano con la storia mitologica della creazione del mondo.
A parte il fatto che tutte le religioni pretendono di richiamarsi alle origini stesse della vita sulla terra, la verità è che gli scritti più antichi della Bibbia, pur riferendosi a tradizioni e a miti anteriori, sono dovuti ad una elaborazione molto più recente e risentono di evidentissime influenze egiziane, assire, babilonesi, persiane e persino elleniche.
Il Genesi, l’Esodo e gli altri libri considerati antichissimi della Bibbia non ci danno nessuna documentazione diretta sulle stesse origini storiche del popolo ebraico. Essi ci riferiscono semplicemente quello che su queste origini si credeva in Palestina, tra il VI e il IV secolo avanti Cristo, e cioè grosso modo nello stesso periodo che ha visto fiorire la letteratura della Grecia classica e iniziarsi la letteratura latina.
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Giacobbe ed Esaù di Francesco Hayez
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La storia del popolo ebraico, contrariamente a quello che comunemente si crede, non è affatto una delle più antiche. Si tratta di una storia infinitamente complessa, alla quale hanno contribuito le civiltà più varie dell’oriente: i Fenici, i Babilonesi eredi della cultura sumerica, gli Egiziani, gli Egei e gli Ittiti, senza parlare delle stesse genti indoeuropee, il cui contributo alla primitiva religione di Israele è più importante di quanto non si sia sino ad oggi pensato.
I primi documenti storici nei quali si fa menzione degli Ebrei sono del secolo XIV a.C., all’epoca di Amenhotep IV. Il nome collettivo di Israele, attribuito alle popolazioni dimoranti in Palestina, s’incontra per la prima volta in un’iscrizione egiziana, del 1225 a.C. circa.
Ora, sta di fatto che popolazioni e genti di lingua e civiltà profondamente diverse, le une di origine semitica (Cananei, fenici) e le altre probabilmente di derivazione indo-europea (i Filistei), abitavano già da secoli la Palestina, prima che gli Ebrei penetrassero violentemente, con le armi, in quella piccola fascia di terra che si estende tra il deserto arabico a oriente e il Mediterraneo a occidente, tra le catene montagnose della Siria a nord e i limiti estremi del territorio egiziano (deserto idumeo) a sud.
Lo stesso nome di Palestina, che originariamente stava ad indicare soltanto la piccola fascia costiera, da Giaffa in giù, e venne dato in seguito per estensione a tutta la regione, significa letteralmente il paese dei Filistei.
L’occupazione ebraica della Palestina rientra quasi certamente nel complesso di quei grandi spostamenti di tribù e di genti che hanno avuto luogo nel corso del XII secolo avanti Cristo e che segnano, tra l’altro, il passaggio di larghi aggruppamenti umani dal nomadismo alla vita sedentaria, dalla pastorizia ad una forma rudimentale di agricoltura, in seguito alla scoperta di nuovi strumenti di produzione (passaggio dagli utensili di pietra a quelli metallici).
A questo stesso periodo risalgono le celebri invasioni degli Hiksos, di cui si sa ancora cosi poco, le migrazioni doriche in Grecia e delle tribù italiche nella nostra penisola.
E’ il periodo in cui si precisa e si accentua il regime sociale della schiavitù, ancora poco noto presso i popoli nomadi, obbligati a spostarsi continuamente e poveri di mezzi alimentari, largamente diffuso, invece, presso i popoli che incominciano a dedicarsi sistematicamente all’agricoltura.
Si è spesso osservato che nei libri sacri degli Ebrei le condizioni degli schiavi appaiono incomparabilmente meno gravi che non nel mondo greco e soprattutto nel diritto romano (“Non consegnerai al padrone lo schiavo che cerca rifugio presso di te”, nel Deuteronomio, XXIII, 15…., “Non terrai schiavo in perpetuo il tuo fratello impoverito che si vende a te, ma solo fino all’anno del Giubileo”, in altre parole la liberazione degli schiavi di razza ebraica ogni 50 anni, nel Levitico, XXV, 42 e ss.).
La osservazione è esatta: ma essa non va attribuita a particolari motivi d’indole morale o religiosa, bensì al permanere di tradizioni e leggi che si riferiscono al periodo iniziale della storia del popolo ebraico, quando prevalevano le forme della vita nomade e pastorale.
Le popolazioni ebraiche facevano verosimilmente parte di quelle tribù erranti, del tipo dei beduini, ancora oggi localizzate nel deserto arabico, che si spostavano continuamente verso la costa, in cerca di un territorio su cui potersi finalmente fermare, e in aspra lotta con le tribù che già precedentemente si erano fissate sugli stessi luoghi, esercitandovi l’agricoltura e forme più sviluppate di allevamento di bestiame.
Il carattere combattivo di queste popolazioni è dimostrato dall’etimologia del loro stesso nome tribale, Israele, una delle designazioni più tipiche sotto le quali esse si presentano alla storia, significa molto probabilmente “colui che combatte”, “colui che vince“, il “guerriero“.
La tradizione biblica vuole che l’eroe nazionale Giacobbe, considerato il padre di 12 tribù, mutasse il suo nome in quello di “Israele ” dopo essere uscito vittorioso dalla sua partita di lotta con l’angelo di Dio, o meglio con Dio stesso (Genesi, XXXII, 24, e seguenti); ma si tratta evidentemente di un tentativo posteriore di dare una spiegazione mitologica di un nome non più giustificato dai fatti.
Anche il termine di Ebreo, che è forse ancora più antico, ma è entrato nell’uso comune soltanto in epoca più recente, potrebbe significare “nomade, il razziatore“, secondo una etimologia scientificamente accettata oggi da molti studiosi; o anche, secondo altri, “colui che abita al di là del fiume” (Ibri), sia esso il fiume Giordano in Palestina o l’Eufrate in Mesopotamia,
Quanto al termine di Giudei,  che spettava in origine soltanto ad una delle tribù di Israele, quella di Giuda o Yeudi, e più tardi dato per estensione all’intero popolo ebraico, dopo la distruzione del regno meridionale, , con capitale Gerusalemme, da parte dei Babilonesi, nel 586 a.C., bisogna osservare che esso non aveva affatto, nell’antichità, quell’inflessione scioccamente spregiativa con cui è passato in molte lingue moderne: è sotto il nome di “Giudei”, anzi, che la letteratura classica ha conosciuto il popolo degli Ebrei ed il termine di Giudaismo è tuttora quello più appropriato per indicare la loro religione, che si è precisamente formata a partire dal VII-VI secolo dell’era antica, dopo la perdita dell’indipendenza nazionale.
Va infine osservato che l’attuale Stato ebraico, sorto nel secondo dopoguerra in Palestina, ha preso l’antichissimo nome di Israele e come tale è oggi conosciuto nel mondo.
E la guerra continua………
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