LA RELIGIONE DEL SANGUE – Un nuovo regno

L’annuncio di un “nuovo regno” nelle sanguinose rivolte degli schiavi

La religione dei ceti dominanti, nella società classica, escludeva gli schiavi dai benefici del culto ufficiale, in questa vita, e da ogni partecipazione ai privilegi della sopravvivenza individuale o collettiva, nell’al di là. È noto che per un ricco signore del mondo greco-romano l’idea stessa della sopravvivenza personale era strettamente legata a quella della sopravvivenza delle classi: il servo “terreno” avrebbe dovuto continuare a servire il padrone anche nell’oltretomba o, nel migliore dei casi, restare escluso per sempre da ogni pretesa all’immortalità, quando questo concetto incominciò a prevalere. Quanto più, infatti, gli uomini perdevano fiducia nell’eternità delle strutture economiche e sociali del loro mondo, tanto più sentivano il bisogno di eternarsi almeno come individui e cadevano vittime dell’illusione di una esistenza ultraterrena.

I CULTI SERVILI

Per lo schiavo, invece, nessuna speranza, nè in questa vita nè nell’altra. Ciò spiega il grande successo e la rapida diffusione dei culti non ufficiali dell’antichità, a partire dal VI secolo circa della vecchia era, in tutto il mondo mediterraneo. I fedeli di Dioniso e di Orfeo, di Cibele e di Atti, di Adone e di Osiride, di Mitra e di Cristo potevano farsi “iniziare” a questi differenti culti senza che le differenze di classe contassero in modo determinante; segno, tra l’altro, che nella ferrea compagine del sistema basato sulla schiavitù si stavano già manifestando le prime crepe.
I rapporti tra padroni e schiavi, nella vita sociale, restavano immutati; ma di fronte alle promesse del nuovo culto tutti diventavano per il momento eguali. Questo è il vero senso, sia detto per inciso, delle famosa espressione evangelica, “in Gesù Cristo non c’è più nè schiavo nè libero“, che troppo spesso viene ancora interpretata come una riprova del carattere progressivo e liberatore del cristianesimo primitivo, sul terreno dei rapporti sociali.
Come in tutti gli altri culti servili, dell’antichità classica, anche nel cristianesimo il progresso e la liberazione restavano limitati al mondo dell’irrealtà, dell’illusione; le classi restavano immutate e immutati i duri rapporti tra servi e padroni.
Il regime basato sulla schiavitù stava decadendo, è vero, e sarebbe ben presto stato sostituito dal sistema feudale; ma ciò accadeva per motivi del tutto indipendenti dalla volontà degli uomini e soprattutto dall’ideologia religiosa.
Il cristianesimo, in tutto ciò, non c’entra minimamente. Esso stesso, anzi, era semplicemente un riflesso, nella mente degli uomini, del processo di disfacimento economico e sociale che si stava verificando all’interno della società schiavistica.
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La morte di Spartaco, crocifisso lungo la via Appia
Marmo bianco di Louis-Ernest Barrias, 1871
Parigi, Giardino delle Tuileries.
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LE INSURREZIONI DEGLI SCHIAVI

Ben più importanti di ogni ideologia, sulla strada del processo storico che ha portato al vittorioso prevalere del culto cristiano su tutti i culti ufficiali dell’antichità, sono state le esperienze che milioni e milioni di schiavi, di oppressi, di diseredati ebbero il modo di fare, nella vita di ogni giorno e nello stesso campo della lotta di classe.
Non è vero che gli schiavi abbiano sempre accettato supinamente le loro atroci condizioni di sudditanza.
Gli storici del mondo classico hanno cercato di cancellare ogni traccia delle eroiche insurrezioni e rivolte servili degli ultimi secoli prima di Cristo, soprattutto dopo la “grande paura” della guerra condotta da Spartaco contro Roma alla vigilia tiella caduta della repubblica; ma non tanto che non sia possibile, anzi doveroso, per Io storico moderno, ristabilire nei suoi giusti limiti la verità.
E la verità è che le rivolte degli schiavi assunsero a volte l’aspetto di spontanee e ingenue rivoluzioni sociali, anche se la coscienza di classe era estremamente vaga e l’ideale più avanzato della lotta era quello di un semplice rovesciamento dei valori, che avrebbe fatto degli schiavi i padroni e dei padroni nuovi schiavi. Nè poteva essere diversamente, mancando ancora la prospettiva di un nuovo sviluppo delle forze produttive. Solo la classe che, liberando se stessa, porta anche agli altri la liberazione e schiude nuove vie al progresso della tecnica e dell’economia, può aspirare ad avere il sopravvento sul peso morto del passato.
Anche per questo, le principali rivolte di schiavi dell’antichità finirono, oltre che nella sconfitta militare, nelle nebbie del misticismo e dell’evasione religiosa.
Quanto più la mano crudele dei padroni, dei dominatori, si abbatteva sui rivoltosi, tanto più le masse dei servi cercavano rifugio nei riti e nei miti che promettevano loro un’emancipazione almeno in un’altra vita. La cosa è chiarissima, se seguiamo la evoluzione di queste rivolte dai primi tentativi del III e II secolo a.C., soprattutto in Italia, dove il sistema della schiavitù stava giungendo al suo sviluppo massimo, sino alle guerre servili siciliane del 135-101 a.C.; alla grande insurrezione di Aristonico, in Asia Minore, dal 133 al 130; alla rivolta di Spartaco nell’Italia meridionale e a quella capeggiata da Savmak, nelle zone costiere del Mar Nero messe nella sua giusta luce dagli studiosi sovietici dell’antichità.
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Spartaco, l’uomo che sfidò l’impero romano
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IL REGNO MESSIANICO

Tito Livio, in vari passi dei libri XXXII, XXXIII e XXXIX delle sue Storie, ci parla di episodi insurrezionali di schiavi nel Lazio, a Sezze, a Norba,  al Circeo, a Preneste, in Etruria e nell’Apulia, a partire dalla fine della seconda guerra punica, che vide concentrarsi una ingente massa di schiavi, in prevalenza di origine punica o siriaca, nei possedimenti romani.
La punizione normale, domata la rivolta, era la condanna a morte per fustigazione o sulla croce dei capi e dei principali responsabili; in qualche caso, lo sterminio in massa, 500 schiavi a Preneste, 7.000 nell’Italia meridionale nel 185 a.C., cento anni prima di Spartaco.
L’elemento religioso, sino a questo momento, non è ancora visibile.
Ma già nelle due rivolte siciliane – che impegnarono alcune centinaia di migliaia di schiavi, costarono perdite enormi ai romani in uomini e in beni e riuscirono a tenere in scacco i migliori generali del tempo, per poco meno di 40 anni, a partire dal 140 a.C. – ci troviamo di fronte ti tutta una serie di fatti nuovi.
Nei frammenti superstiti dello storico Diodoro Siculo, che utilizzava per il suo racconto delle fonti originali di parte servile, completamente perdute, i capi dell’insurrezione ci vengono presentati come dei profeti-re (è stato fatto da alcuni il paragone con la storia di Giovanni il Battista e con quella dello stesso Cristo, secondo alcune tradizioni), che si circondano di manifestazioni miracolistiche e annunciano una specie di “nuovo regno”, che ha molte caratteristiche in comune con il “regno messianico” e il “regno dei cieli” della letteratura biblica e di alcuni dei più antichi testi cristiani.
Accanto ad Eunoo, il leggendario capo della prima rivolta siciliana del 135 a.C., troviamo una profetessa sira, della sua stessa origine, iniziata verosimilmente ai misteri orientali; Salvio e Atenione,  che si misero alla tesa della seconda rivolta, nel 104 a.C., pure di origine sira o cilicia, erano esperti nell’arte degli aruspici e si facevano annunciare dagli dei, come “re predestinati”, o messia.
Accanto a Spartaco, pochi decenni più tardi, troveremo, secondo le testimonianze di molti storici contemporanei, una vigile profetessa tracia, che era iniziata ai “misteri di Bacco”, cioè al culto dionisiaco, sorto precisamente in Tracia, e che pretendeva, come i primi apostoli cristiani, di ricevere speciali rivelazioni divine.
Siamo dunque su un terreno familiare agli storici delle origini cristiane, anche se I’elemento della guerra combattuta, della rivolta armata, prevale ancora sull’aspetto mistico e puramente religioso.
Ma ancora più interessante, su questo stesso terreno, è la storia della rivolta degli schiavi di Pergamo, in Asia Minore, verso il 133 a.C., capeggiata da Aristonico, sognatore di uno Stato “senza servi nè padroni” che egli chiamerà, diciassette secoli prima del nostro grande Campanella, la Città del Sole.
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Tommaso Campanella
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