RESISTENZA DELLA LINGUA LATINA ATTRAVERSO IL MEDIO EVO – IL VOLGARE

RESISTENZA DELLA LINGUA LATINA ATTRAVERSO IL MEDIO EVO

Anche attraverso il lungo tenebroso ‘periodo del Medioevo – che si può in Italia estendere sino verso il 1300 – il culto per la civiltà e il nome di Roma perduro sempre vivo nei paesi che già furono dell’Impero romano, e, principalmente in Italia. Una serie di leggende intorno ai più importanti personaggi del mondo latino – e indirettamente del greco – Bruto, Giulio Cesare, Traiano, Alessandro Magno, Ettore, Enea – venne a sostituire le storie dimenticate e ignorate. Scuole di grammatica tennero vivo lo studio dei poeti latini. Il diritto di quel popolo si insegnò nelle università di Bologna e di Padova. E nella lingua latina erano espresse le più alte funzioni della vita collettiva: la predicazione, l’insegnamento, le leggi, i contratti pubblici e privati. Si intende quindi come la lingua, che Roma aveva imposta con le conquiste e le colonie a tutta l’Europa occidentale, perdurasse, non certo con la sua eleganza, ma ancora col suo  lessico, la sua grammatica, e la sua sintassi.

Né la romanità morì mai del tutto neppure nella vita politica. La stessa Chiesa cattolica, nella sua gerarchia, nella sua capacità di dominio, nella unità morale e intellettuale che impresse al mondo, si può considerare come la erede dell’Impero Romano: spiriti romani, cioè di vita operosa e pratica, contrastarono da noi il misticismo contemplativo; e fino i monasteri ebbero costituzioni inspirate alle necessità della vita sociale.
Un trionfo della idea romana fu la elezione di Carlo Magno re dei Franchi a nuovo imperatore d’Occidente; né senza ricordo degli antichi municipi romani furono, dopo il Mille, i gloriosi Comuni dell’Italia settentrionale e centrale.

I VOLGARI NEOLATINI E IL VOLGARE ILLUSTRE

Già prima del Mille la lingua latina, pur continuando ad essere parlata e scritta nelle contingenze della vita superiore, incominciava a non essere più capita dalle popolazioni, e cioè veniva a trovarsi, molto approssimativamente, nelle condizioni in cui è ora: vale a dire non intesa se non da quelli che ne fanno apposito studio; e, come ora, presso il latino, che rimaneva la lingua ufficiale scritta, sorgevano, nelle varie regioni del già Impero, dei linguaggi, parlati assai prima che scritti, che erano l’espressione dei volghi e si chiamarono perciò volgari; che col tempo, dirozzati per arte e fissati per la scrittura, divennero lingue. I volgari sorti là dove prima era usata la lingua latina si chiamarono neolatini: e sono quelli già parlati nella Francia, nella Spagna, nel Portogallo, nell’Italia e nella Rumenia; e dai quali, originariamente numerosissimi, poiché ogni città si può dire che avesse il suo, derivarono le lingue dell’Europa occidentale, e in parte la lingua della nazione inglese, formata da due successive sovrapposizioni di popoli germanici (Anglosassoni e Normanni) sulla romanizzata Britannia. Ma intorno all’origine di cotesti volgari, e al loro rapporto con la lingua latina, le oscurità sono grandi. Tiene il campo l’ipotesi che i volgari neolatini derivino, per corruzione, non già dal latino letterario, ma da un latino popolare, o sermo rusticus, della cui esistenza, anche nei tempi più gloriosi di Roma, non è lecito dubitare. Ma non é escluso che di fianco a quel sermo rusticus, e modellato in parte su di esso, in parte sul latino delle scuole, si fosse venuto formando; in ogni regione, un volgare a così dire tipico, un volgare più alto, che stesse ai volgari come la lingua sta ai dialetti: quello che, per l’Italia, Dante chiamerà volgare illustre. In altre parole, fin dal tempo di Dante avremmo avuto in Italia, presso i dialetti, una lingua di tutta la nazione

CARATTERI DEI VOLGARI

Dal latino, dunque, tolsero i volgari la maggior parte dei vocaboli; ma dal greco (nel mondo greco essendosi sviluppata primieramente la Chiesa) molti vocaboli attinenti al culto religioso, e dalle lingue dei conquistatori  germanici molti di quelli riferentisi alla guerra e al sistema politico ed amministrativo.
L’elisione di alcune desinenze nella pronuncia, già in uso presso i Romani, fece perdere il senso dei casi, a cui si vennero sostituendo le preposizioni, che assunsero più ampio e nuovo significato. Si diffusero generalmente le forme dei casi obliqui, nell’uso assai più frequenti del nominativo; forme morfologiche semplici, come quella del futuro, furono decomposte in perifrasi; nella flessione dei verbi poté molto l’analogia, per cui venero a confondersi l’una con l’altra le coniugazioni; ampie perifrasi avverbiali tennero luogo degli avverbi, e nessi complicati sostituirono le semplici congiunzioni. Il periodo latino, cosi complesso e saldamente architettato, venne a risolversi in una serie di proposizioni, con gli elementi di esse collocati in ordine logico.
Né meno grave fu la trasformazione che subì la metrica antica. I Latini avevano il senso della quantità delle sillabe; i nuovi volghi non ebbero che il senso dell’accento, e i loro versi furono serie di sillabe accentate ed atone, che dessero l’impressione di facili ritmi cantabili. Anche, la nuova metrica dette importanza grande a quella consonanza esatta di desinenze (nelle origini sostituita molte volte da una consonanza meno perfetta, o assonanza) che già era molto usata nei versi latini della decadenza.
Accenno alla rima; la quale ebbe tanta importanza, che ancora ai tempi di Dante rima significava verso senza più Dal vario accoppiamento delle rime derivarono poi le strofe, che in origine furono semplici e poche.

QUANDO SORSERO I VOLGARI

La formazione e la costituzione dei volgari si perde nell’alto Medioevo. Prima del Mille già compaiono frammenti, che sono studio dei glottologi e dei filologi.
Ma ciò che importa notare è che i volgari si diffondono, si rafforzano, passano dall’uso parlato all’uso scritto, quando le classi sociali che li adoperano acquistano importanza politica ed entrano a far parte della storia. Di fronte alla classe ecclesiastica, che, nel tempo specialmente delle invasioni e degli stabilimenti barbarici, aveva il sopravvento spirituale, come quella che rappresentava la superstite cultura, sorgono, dopo il Mille, due altre classi: quella dei dominatori, dei potenti, quasi tutta di origine germanica, che trovò la sua espressione ideale nella cavalleria e la sua espressione concreta nel regime feudale; e la classe degli antichi vinti, della plebe, di origine prevalentemente latina: che prima visse schiava ed oscura e, poi, nella sua reazione al feudalesimo, acquistò coscienza dei suoi diritti e della sua potenza, trasformandosi nella ricca e industriosa classe della borghesia comunale. Ora, i volgari seguono il sorgere di queste due classi rimaste sino allora senza parola, perché senza sufficiente coscienza di sé. E prima (cioè dal 1000 al 1200 approssimativamente) si affermano i volgari delle classi guerriere, esaltanti le imprese leggendarie di Carlo Magno, e quelle ancora più leggendarie del cavalleresco re Artù e della sua Tavola rotonda; mentre canti d’amore e di armi, e talvolta satire anti ecclesiastiche, risuonano nei castelli della Provenza. Si costituirono cosi la vecchia letteratura francese e la provenzale: quella dalla particella affermativa, detta lingua d’oïl (hoc illud: moderno oui), questa, lingua d’oc (dal latino hoc, questo).

Dal 1200 in poi sorgono e grandeggiano i volgari delle classi popolari: o a esprimere i sensi schietti dell’amore e della gioia, o gli entusiasmi, le speranze, i terrori religiosi, o anche, con intento tutto pratico, a soddisfare i bisogni di quella cultura, tanto più elementare, quanto più enciclopedica, che si rendeva necessaria agli uomini dei Comuni. Quindi é che i nostri volgari, . o almeno la nostra letteratura volgare sorge, quando erano ormai esaurite la primitiva letteratura francese e la letteratura provenzale. Che se i volgari italiani furono in ultimi ad affermarsi, se dapprincipio, cioé per circa un secolo, essi apparvero, e nella forma e negli spiriti, improntati su quelli di Francia e di Provenza,  recavano però in sé germi fecondi di pensiero e di arte, che si sarebbero sviluppati ampiamente poi.

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