DAVID LIVINGSTONE

DAVID LIVINGSTONE

David Livingstone (Blantyre, 19 marzo 1813 – Lago Bangweulu, 1º maggio 1873) è stato un medico, missionario ed esploratore scozzese dell’età vittoriana.

Il lungo amore del dottor Livingstone per l’Africa 

L’uomo che apri al mondo il più grande territorio mai esplorato dovette il suo successo a tre cose: un’ardente fede, un bauletto di medicine e un’inalterabile cortesia. Ogni volta che viaggiò nell’Africa inesplorata, il dottor David Livingstone trattò sempre gli africani con riguardo. Non solo i vari capi tribù o i suoi portatori ma anche gli stregoni, che soleva chiamare “colleghi nella professione”.

Fu per un puro caso che David Livingstone andò in Africa. Nato nel 1813 a Blantyre, in Scozia, all’età di 10 anni fu mandato a lavorare in una filanda, dove la giornata lavorativa era dalle 12 alle 14 ore. Con il denaro che riuscì a mettere da parte, poté pagarsi gli studi di medicina a Glasgow. Voleva diventare medico missionario e andare in Cina. Ma le sue speranze furono frustrate dalla Guerra dell’Oppio, che gli rese impossibile il viaggio in Cina. Nel 1840, all’età di 27 anni, Livingstone decise allora di andare in Africa come missionario.

Nel XIX secolo, la maggior parte degli oltre 30 milioni di km2 dell’immenso territorio africano era totalmente sconosciuta. Per gli europei e gli americani, era il “continente nero”, “l’Africa tenebrosa” un luogo di giungle impenetrabili, infestate da morbi sconosciuti, abitate da tribù selvagge e da animali feroci. Quando Livingstone giunse in Africa, non si interessava affatto alle esplorazioni: viaggiava al solo scopo di fondare missioni cristiane e dare assistenza medica. Ma nel giro di pochi anni fu colto dal desiderio di spingersi sempre più lontano. Come scrisse più tardi, “il puro gusto animale di viaggiare in una regione inesplorata e selvaggia è grandissimo”.

Il continente ignoto

A piedi, in canoa, a volte a dorso di un bue, viaggiò per migliaia di chilometri, attraverso la parte meridionale del continente esplorando i territori che oggi formano l’Africa del Sud, la Rodesia, lo Zambia, lo Zaire, l’Angola, il Mozambico, il Ruanda e il Burundi. Portava sempre con sé una Bibbia, una cassetta di medicinali e una lanterna magica, che gli serviva per illustrare con proiezioni le sue conferenze missionarie. E anche una bussola e un sestante, grazie ai quali annotava ogni giorno la sua posizione.

Livingstone aveva una grande facilità nell’apprendere le lingue straniere, un acuto spirito di osservazione e un’intelligenza penetrante; grazie a queste doti, riuscì a stabilire con gli africani un rapporto molto più profondo e spontaneo di quello degli altri europei del suo tempo. Le stesse qualità lo aiutarono a fornire al mondo una prima relazione sulle culture africane. L’esploratore scozzese mise anche in luce gli orrori della tratta degli schiavi praticata dagli Arabi e dai Portoghesi. Nauseato dall’orrore degli spettacoli ai quali aveva assistito, scrisse delle violente relazioni, e spinse cosi l’Europa ad agire per metter fine all’orribile commercio.

Oltre a tutto questo, Livingstone inviò mappe accurate e relazioni geografiche alla Royal Geographic Society di Londra, e prese annotazioni su particolari casi medici e sui problemi sanitari delle zone visitate. Osservò che il morso della mosca tze-tze provoca una morte certa, attraverso una sorta di “malattia del sonno”, nei bovini, nei cavalli, nei cani; e osservò che “miriadi di zanzare annunciano, come probabilmente avviene sempre, la presenza della malaria”. Egli stesso riuscì a sopravvivere agli attacchi di quella malattia grazie a forti dosi di chinino.

Livingstone non abbandonò mai del tutto la sua vocazione di medico missionario, ma la scoperta del fiume Zambesi, nel 1851, costituì la svolta decisiva della sua carriera. Nel 1844 aveva sposato la figlia di un collega missionario. La coppia aveva avuto sei figli; l’ultima, una bambina, morì di febbre durante un viaggio, nel 1850. Desiderando essere libero dalle preoccupazioni familiari, l’esploratore condusse moglie e figli a Città del Capo e li fece imbarcare per
l’Inghilterra.

La prima traversata dell’Africa

Rimasto solo e padrone di sé, Livingstone apprese l’uso del sestante e del cronometro, e si diede alla ricerca di una grande via fluviale navigabile che doveva favorire la penetrazione dell’Africa da parte degli europei, portatori del cristianesimo e dei commerci. Negli anni che seguirono, viaggiò dalla costa atlantica dell’Angola fino a quella del Mozambico, diventando cosi il primo uomo bianco che attraverso l’Africa. Rientrando in Inghilterra, nel 1856, fu ricevuto da un pubblico entusiasta, e il suo primo libro Viaggi missionari e ricerche nel Sud Africa divenne subito un best-seller vendendo oltre 30.000 copie.

Presto, pero, Livingstone riprese la via dell’amata Africa, questa volta come Console di Sua Maestà per i territori orientali. Aveva rotto i rapporti con la Società Missionaria e adesso dirigeva una vasta spedizione che doveva preparare le basi per impiantare vaste stazioni commerciali. La spedizione si concluse nel 1863 con un totale fallimento. .

Alla ricerca del Nilo

Nel 1866, David Livingstone ripartiva da Zanzibar su incarico della Royal Geographic Society: doveva cercare le sorgenti del Nilo. Si sentiva felice, perché era nuovamente libero di viaggiare con un piccolo seguito di africani. Alcuni dei suoi portatori si ammalarono, altri disertarono per paura dei negrieri e delle bellicose tribù del Tanganika. La sua cassetta di medicine gli fu rubata, e presto anche la sua salute ebbe un crollo. Torturato dalla malaria, dalle emorroidi e dalla dissenteria, ma tenace nella sua determinazione d’individuare le origini del Nilo, Livingstone esplorò il grande spartiacque nella zona del lago Tanganika. Alla fine, esaurita ogni energia, lui ed il suo piccolo gruppo ripararono nel villaggio di Ujiji sulla sponda orientale del lago.

Arriva Stanley

Nel frattempo, nel mondo civile cominciava a diffondersi l’allarme per il suo silenzio: il costante flusso delle sue lettere era infatti cessato, e nessuno sapeva più se fosse vivo o morto. Nel febbraio del 1871, il giornalista Henry
Morton Stanley, per incarico del New York Herald, si mise in viaggio per ritrovare Livingstone. Stanley era a sua volta un uomo fuori del comune. Nato da una povera famiglia del Galles, si era imbarcato come mozzo alla volta di New Orleans. In America, dopo un primo periodo travagliato in cui faticava a sbarcare il lunario, si era dato al giornalismo ed era diventato uno dei più grandi reporter degli Stati Uniti.

Stanley parti da Zanzibar con una grande carovana e abbondanti provviste. Seguendo tutte le indicazioni, anche le più vaghe, sul medico bianco scomparso, dopo otto mesi di ricerche  riuscì a raggiungere i1 Villaggio di Ujiji. Era il 10 novembre 1871. Stanley vide l’emaciata figura del celebre esploratore, in piedi nella radura, davanti alla sua tenda, che guardava con stupore il gruppo di soccorritori venuto da cosi lontano alla sua ricerca.

Il giornalista si diresse verso l’uomo magro e allampanato e gli chiese: “Il dottor Livingstone, suppongo?”. L’altro si sollevo il berretto, sorrise e rispose semplicemente: “Si”.

Il cuore all’Africa

Il soccorso di Stanley giunse appena in tempo, perché Livingstone era molto malato. Tuttavia, l’esploratore rifiutò di far ritorno verso il sicuro trionfo che l’attendeva a Londra. “Ho ancora molto lavoro da sbrigare” ribatté. Dopo quattro mesi, Stanley ripartì da solo e Livingstone, ben rifornito di medicine e di viveri, riprese la sua ricerca delle sorgenti del Nilo. Ma era ormai vicino alla morte. Nei mesi seguenti scoprì le sorgenti di un grande fiume, ma erano quelle del Congo. Non fece a tempo ad accorgersi del suo errore. Era diventato cosi debole, che doveva essere trasportato su una barella. Peregrinando faticosamente giunse a un villaggio sulla riva meridionale del lago Bangwenlu. Qui, la mattina del 1 maggio 1873, i suoi portatori lo trovarono in ginocchio accanto al letto, in atteggiamento di preghiera, con la testa appoggiata sulle mani giunte. Non riuscirono a ridestarlo. Il grande esploratore era morto.

La notizia della sua morte si sparse di villaggio in villaggio. Gli indigeni arrivarono a migliaia a dargli l’ultimo saluto. I suoi fidi domestici Susi e Chuma sapevano che a migliaia di chilometri di distanza, la famiglia e gli amici del dottore avrebbero desiderato riavere il suo corpo per seppellirlo, e decisero di portarlo fino alla costa e di imbarcarlo per l’Inghilterra. Ma, prima, ne estrassero il cuore e lo seppellirono nella terra dell’Africa, come era giusto. Susi e Chuma impiegarono nove mesi a compiere il pericoloso viaggio fino alla costa con i resti di Livingstone. Da Zanzibar, un vapore britannico riportò il corpo in patria. Livingstone riposa nel tempio delle glorie inglesi, l’Abbazia di Westminster.

LO STORICO INCONTRO. L’americano Morton Stanley (a sinistra) saluta il dottar Livingstone, ritrovato dopo mesi di ricerche. Livingstone era ormai esausto, e mori due anni dopo.

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