BUONARROTI E LA CORSICA

Filippo Buonarroti

GL1 INTELLETTUALI E LA RIVOLUZIONE

Quale eco ebbero in Italia fra i maggiori illuministi ed i più chiari rappresentanti della cultura italiana del tempo le notizie della Francia?  Lontano da ogni attività combattiva, e persino da ogni operosità di studioso, era già da un pezzo, a Milano, Cesare Beccaria, da più anni funzionario del Consiglio di Governo, sopraffatto ed avvilito da disavventure familiari. Non una voce ci arriva, quindi, da lui. Notevole, invece, la posizione di Pietro Verri che il governo imperiale aveva, a poco a paco, allontanato da tutte le cariche ed era dal 1786 a vita privata. Morto Giuseppe II, il successore Leopoldo II chiamò Verri, nel 1790, a far parte dell’Assemblea Decurionale: ma egli criticò apertamente il funzionamento antidemocratico di questo istituto ed avanzò la proposta di una Costituzione; cioé “di una legge inviolabile anche nei tempi avvenire”, la quale fosse “garantita e difesa da un corpo permanente interessato a custodirla” e  perciò potesse avvertire “liberamente” il sovrano degli abusi e dei tentativi di violazione da parte del “ministero”.

Un altro economista, il piemontese conte Giambattista Vasco (Mondovì o Torino, 10 ottobre 1733 – Rocchetta Tanaro, 11 novembre 1796) si attirerò per il suo comportamento liberale l’odio degli aristocratici e sarà costretto a vita raminga e miserabile mentre il fratello, conte Dalmazzo Vasco, scrittore politico, sarà gettato dal governo sabaudo in carcere.

Giuseppe Parini, il poeta che aveva già operato una rivoluzione antinobiliare nell’opinione pubblica italiana, simpatizza moderatamente (nella fase napoleonica del 1796, farà parte, come Verri, della Municipalità milanese}.

Carlo Goldoni aveva – di fronte a Carlo Gozzi che fu e restò reazionario – rappresentato lo spirito popolare, istintivamente democratico; ma la Rivoluzione lo trovò a Parigi, ottantaduenne, pensionato di Corte per le lezioni d’italiano date alle sorelle di Luigi XVI (1).

A Parigi si trovava, il 14 luglio 1789. in viaggio per l’Europa con la contessa d’Albany. anche Vittorio Alfieri e il fiero propugnatore della libertà e odiatore dei tiranni salutava la rivoluzione con l‘ode Parigi sbastigliata; ma un incidente personale basta non solo a far prevalere il suo solito e fondamentale libertarismo anarchicheggiante. ma a far emergere dai fondo dei sub-cosciente l’altezzosità dell’aristocratico contro la plebe; onde la sua Operetta polemica Il Misogallo.

Vincenzo Monti, dalla posizione controrivoluzionaria della Bassvilliana, passerà nel 1797, alla parte repubblicana).

LE CONGIURE

Se queste sono le posizioni, negative o limitate, dei sommi intellettuali del tempo, l’idea della Rivoluzione, penetrando largamente, come abbiamo già accennato, negli strati progressivi della borghesia e talvolta perfino della piccola nobiltà, conquista gran parte del ceto intellettuale ed infiamma i più avanzati ed i più audaci; gran parte di questi patrioti (come essi si chiamano, con espressione andata in voga in Francia) gran parte dei quali fa capo alla Massoneria o ai gruppi giansenisti (come l’abate Ranza di Vercelli). Né mancarono, qua e là, dimostrazioni popolari, anche in forma violenta. che, senza rispondere ad una perfetta conoscenza delle cose e loro relativa valutazione, esprimono lo stato di insopportabile disagio di una popolazione che ripone disperatamente le sue speranze nell’abbattimento del presente stato di cose. Di fomentare questi torbidi, anche con la diffusione di manifestini rivoluzionari, i governi accusano quei patrioti, che saranno segnati a dito e perseguitati come giacobini dalla polizia, dai preti, dai reazionari in genere. È in effetti, il tempo delle prime congiure locali che, un po’ dappertutto, preludono al movimento risorgimentale: e tra i giacobini l‘idea della libertà comincia, più o meno vagamente, ad affiancarsi con quella dell’indipendenza.

II 13 novembre I794 fu scoperta a Bologna una cospirazione di carattere municipale contro l’accentramento accentuate dal papa Pio VI. Lo studente Luigi Zamboni, capo della congiura, si impiccò in carcere mentre suo padre moriva sotto gli strazi della tortura. Un altro congiurato, il piemontese De Rolandis, studente di teologia, in condannato alla forca.

Una congiura giacobina fu scoperta, nello stesso anno, a Napoli: essa nacque nel seno della Società Patriottica vivaio di patriottismo, dal quale usciranno quasi tutti i martiri della Repubblica Partenopea. Vi furono varie condanne al carcere o all’esilio e tre congiurati furono mandati a morte, il 18 ottobre 1794: Vincenzo Galiani, Vincenzo Vitaliani ed il pugliese Emanuele De Deo, di Minervino Murge, un giovane di venti anni che rivelò una fiera e nobile personalità (2).

Un’altra congiura giacobina fu scoperta in Sicilia nel 1795. Furono condannati a morte Francesco Paolo Di Blasi, un insigne giurista catanese (che fu decapitato, poiché nobile) e i popolani Giulio Tinagli, Benedetto La Villa e Bernardo Palumbo che (non essendo nobili) furono impiccati.

Una particolare menzione meritano le vicende della Corsica in rapporto alla Rivoluzione francese.

Nel 1734 alcuni signorotti corsi, fra i quali Luigi Giafferi ed il generale Giacinto Paoli, malcontenti, per interessi personali, del governo della Repubblica di Genova, tentarono di consegnare la Corsica al re di Spagna, cosa che non poteva non preoccupare la Francia. Nel 1736 i Capi del movimento consegnarono l’isola ad un avventuriero, tal Teodoro Neuhoff, che si proclamò re (col nome di Teodoro I), e nominò primi ministri il Giafferi e il Paoli: ma la Francia si decise all’intervento: e tutti costoro furono costretti a fuggire.

Pasquale Paoli

Pasquale Pauli 

Con Giacinto Paoli era il figlio quattordicenne Pasquale. Diciannove anni dopo, nel 1755. questi, chiamato da alcuni gruppi ed avversato da altri, sbarcò in Corsica, regalandosi il titolo di generale, assumendo il governo dell’isola e riprendendo la lotta contro Genova.

Pasquale Paoli, uomo della vecchia proprietà terriera – che fu dalla storiografia borghese esaltato come “padre della patria” ed assertore primo dell’indipendenza corsa: e che il fascismo, ai fini della sua politica antifrancese, riportò sugli scudi – acquistò credito nella sua classe perché sfruttava i vecchi odi di questa contro Genova e contro la Francia che la proteggeva: ma nei tempo stesso, per essere appoggiato in questa lotta, prese a sollecitare il favore dell’Inghilterra, così suscitando le aspirazioni di un altro paese straniero sulla Corsica.

Genova, stremata dalle continue lotte, si liberò della Corsica, cedendola nel 1768 alla Francia, che mosse allora contro Paoli. Questi fu sconfitto l’anno dopo. e non gli restò che rifugiarsi a Londra.

Nel 1789 la Corsica inviò agli “Stati Generali” cinque rappresentanti. Scappiata che fu la rivoluzione, Pasquale Paoli si dichiarò improvvisamente repubblicano; fu una mossa tanto insincera quanto abile, perché gli permise di riconciliarsi con la Francia. Poté cosi tornare in Corsica a capo dell’amministrazione dipartimentale e della Giunta Nazionale, mostrandosi ossequiente alle direttive e agli ordini di Parigi.

Filippo Buonarroti in gioventù

Il segnale per Buonarroti

Pasquale Paoli doveva trovare il suo fiero oppositore – colui che lo smascherò – nel giovane toscano Filippo Buonarroti. Filippo Giuseppe Maria Ludovico Buonarroti (Pisa, 11 novembre 1761 – Parigi, 16 settembre 1837), si era a ventun anni laureato in legge, ma nel momento di dedicarsi all’avvocatura, si era accorto come questa professione fosse contraria  al suo temperamento, lontana dai suoi interessi culturali e sociali, e vi aveva rinunziato; egli si dedicò alla lettura degli illuministi francesi, a cominciare da Jean Jacques Rousseau, e, in genere, allo studio delle correnti di pensiero razionaliste. Scriveva, frequentava società segrete e non aveva tardato, naturalmente, a destare i sospetti delle autorità. Nel 1786 la sua casa era stata perquisita dalla polizia che gli aveva sequestrato i libri razionalisti, considerati criminosi come offensivi della religione; qualche anno dopo il console olandese a Firenze aveva protestato contro di lui presso il governo toscano. La Rivoluzione francese era per Buonarroti, che allora aveva ventotto anni, qualche cosa già sognata e ardentemente attesa. Quando, nel 1795, comparirà con Babeuf e con gli altri congiurati davanti all’Alta Corte di Giustizia di Vendöme, egli, parlando della Rivoluzione Francese, dirà: “J’attendois depuis longtemps le signal; il füt donné” (Attendevo da gran tempo il segnale; esso fu dato) (3).
Comincia un‘attiva propaganda rivoluzionaria, scrive articoli, pubblica manifestini alla macchia, organizza riunioni; poi lasciò la moglie figli ed agi familiari e si trasferisce a Bastia (4).

Buonarroti trova, in Corsica, che le notizie della Rivoluzione Francese, sia pure incompiutamente, sono penetrate, che il popolo simpatizza per la rivoluzione e per la repubblica, che un fermento nuovo è in atto: ma che la nobiltà ed il clero sono sempre al potere: e scopre il doppio gioco di Paoli. Sente che primo dovere è quello di illuminare il popolo; fonda il 3 aprile 1790 il Giornale Patriottico di Corsica per “l’istruzione dei contemporanei
e dei posteri”.

“L’istruzione de’ contemporanei e de’ posteri – scrive infatti nel primo numero. – deve essere il solo oggetto di uno scrittore. Colui che si accinge a narrare le rivoluzioni morali o del genere umano, o di una Nazione non può giustificare la sua intrapresa senza fare sentire a’ primi gli errori in cui cadono, e trasmettere a’ secondi de‘ funesti esempi per preservarli dal male, o la scuola della virtù per mostrare loro la strada della felicità”..

Nel Giornale Patriottico di Corsica, Buonarroti propugna apertamente e conseguentemente la democrazia, combatte ogni forma di tirannia, i privilegi feudali e l’oscurantismo clericale. È, naturalmente, quanta basta per accumulare contro di lui tutti gli odi dei reazionari: essi si scatenano senz’altro accanitamente non appena, nel corso dell’anno, le violente polemiche sulla Costituzione del clero avranno la loro eco in Corsica.

La reazione prende il sopravvento

La Costituzione del Clero, emanata dall’Assemblea Nazionale Francese nel luglio 1790, fu l’occasione per la quale anche in Corsica la reazione, speculando sulla religione, poté muovere all’offensiva. Il partito clericale di Bastia aizzò gli animi della popolazione contro le autorità rivoluzionarie e scacciò dai loro posti i pubblici ufficiali. Era evidente che primo bersaglio dovesse essere Buonarroti, non solo in quanto era stato in Corsica il primo fautore delle idee democratiche affermate dalla Rivoluzione ma ancora in quanto, nel suo distretto, era stato delegate all’amministrazione dei beni ecclesiastici incamerati dallo Stato. Fu inscenata un’assemblea popolare, la quale delibero “che il Signor Buonarroti, toscano, che ha fatto il giornalista di professione in Corsica ed ha diffuso delle massime contrarie alla religione, dirette ad ispirare il disprezzo per i ministri dell’altare, sarà immediatamente espulso dalla città”. Alla deliberazione segui la violenza poiché Buonarroti fu preso, bastonato ed imbarcato a forza per Livorno, dove, in stato di arresto, rischia di essere massacrato da una folla aizzata contro il “nemico della religione”.

La lotta contrO Paoli

Il Consiglio Generale del Dipartimento della Corsica, costituito in gran maggioranza di elementi progressivi, provoca l’intervento dell’Assemblea Generale Francese. Buonarroti fu liberato e ritornò in Corsica, dove riprese immediatamente la sua attività rivoluzionaria, attaccando Pasquale Paoli, che rivestiva la carica di capo della Guardia Nazionale nello stesso tempo in cui ordiva intrighi a servizio della reazione ed aveva costituito intorno a sé un forte partito alimentato dai nobili e dal clero, manovrando per il fallimento della Rivoluzione. Le loro speranze in tal senso, ravvivate dall’atteggiamento del papa (che incitava a speculare sui sentimenti religiosi del popolo e dei contadini in ispecie), erano ora consolidate dall’Inghilterra: questa, a dispetto dei suoi principi liberali, era ormai alleata delle potenze feudali del continente contro la rivoluzione francese: la sua borghesia che, in quel momento di pieno sviluppo del macchinismo, era impegnata a tenere duramente a freno il nascente proletariato industriale, aveva ben ragione di temere gli sbacchi della
Rivoluzione in Francia, se la stessa borghesia francese rivoluzionaria mostrava, con la citata legge Le Chapelier, di preoccuparsi di questo pericolo. Mentre i grandi avvenimenti del 1792 e del 1793 si svolgevano in Francia per la difesa della patria contro il tradimento del re, lunga e dura in in Corsica la lotta di Buonarroti: che attraverso l’attività del Circolo Popolare Politico (che egli aveva fondato fin dal suo primo arrivo a Bastia), e dalle colonne del suo giornale, combatteva contro il partito paolista. Solo nel 1793, quando le sue mene col governo inglese apparvero chiare. Pasquale Paoli fu dichiarato traditore dalla Convenzione e proscritto. (Il Paoli era arrivato sino all’impudenza di accusar Buonarroti di tradire la Francia e di voler consegnare la Corsica agli inglesi; e cioè ad incolpare Buonarroti proprio di quanto stava perpetrando lui, Paoli!).

Nel 1793 la Convenzione tentò uno sbarco delle truppe francesi in Sardegna, ma la spedizione fallì per l’opposizione e gli intrighi del Paoli.
Fu, peraltro, effettuato uno sbarco nell’Isola di San Pietro e il Buonarroti poté assolvere l’incarico che aveva ricevuta di “predicare i principi della liberta e dell’uguaglianza e compiere le meritorie funzioni dell’apostolato”; a suo mezzo il popolo chiese l’unione di San Pietro alla Francia, per sfuggire al paolismo ed all’Inghilterra.

Tra la fine di gennaio e l’agosto del 1994 la Corsica cadde nelle mani degli inglesi. L’Inghilterra, peraltro – é la sorte dei traditori – non si fidò di Paoli ma lo richiamò, e se lo tenne in Inghilterra. Cosi la Corsica doveva restare sotto il dominio inglese fino alla liberazione napoleonica; fino, cioé, al 26 ottobre 1796.

(1) Il governo repubblicano gli conservò la pensione fin quando, nel 1792, la Legislativa non soppresse le pensioni di Corte.

(2) ”Hanno mpiso ‘u forestiere” gridò la plebe napoletana al cospetto della folla. Ancora una volta il fesso della provincia pagava per tutti. (Tommaso Fiore; Un popolo di formiche). Resta di Emanuele De Deo, una nobilissima lettera scritta al fratello alla vigilia del martirio.

(3) Saitta. Filippo Buonarroti (Roma 1950)

(4) Bernstein. F. B. (Einaudi). p. 19.

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