GIUSEPPE PARINI – Vita e opere

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GIUSEPPE PARINI

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Nato a Bosisio in Brianza il 23 maggio 1729, Giuseppe Parini era figlio di un modesto commerciante di seta, che non navigava certo nell’oro. All’età di nove anni fu inviato a Milano presso una prozia e due anni dopo venne ammesso alle scuole di Sant’Alessandro, dirette dai Barnabiti, per proseguire gli studi ed avviarsi al sacerdozio. Studiò presso i Barnabiti per dodici anni, senza infamia e senza lode: agli studi alternava lezioni private, lavori di copiatura, per sovvenire ai suoi, giunti a Milano sempre in pessime acque.
Nel 1752 conseguiva il diploma presso i Barnabiti e pubblicava la sua prima raccolta di liriche, Alcune poesie di Ripano Eupilino. Nel 1754, per godere della modesta eredità della prozia, prendeva gli ordini religiosi: e nello stesso anno entrava, come umile precettore, nella casa dei duchi Serbelloni.
Vi sarebbe rimasto otto anni filati: quanti bastavano (e avanzano) per affinare lo sguardo lui modesto e povero – sulle sgargianti abitudini di vita dell’aristocrazia milanese, osservata in città e in villa, nello snodarsi sempre eguale d’un preciso cerimoniale: quello poi lucidamente “rifatto” nei tersi endecasillabi del Giorno.
Intanto, sin dal 1753, era stato ammesso a frequentare l’Accademia dei Trasformati, che il conte Giuseppe Maria Imbonati ospitava dal 1743 nel suo palazzo: qui ebbe agio di dialogare col Tanzi e col Balestrieri, col Baretti, e più tardi coi fratelli Verri e col Beccaria, prima che costoro si dessero a fondare la combattiva Accademia dei Pugni. Con loro discorreva non solo di letteratura, ma di filosofia e di scienza, e di vita civile.

Nel 1762 il Parini lascia casa Serbelloni, per protesta contro le angherie usate nei confronti d’una damigella di compagnia, la figlia del maestro Sanmartini: ma le necessità della vita lo richiamano di li a due anni, sempre in veste di precettore, in casa del conte Imbonati, a badare al giovane Carlo. Intanto è riuscito a pubblicare (1763) il Mattino e nel 1765 darà alle stampe il Mezzogiorno, riscuotendo ambedue le volte un buon successo di critica.
Nel 1768 il governatore austriaco della Lombardia, il conte von Firmian, affidava al Parini la direzione della “Gazzetta di Milano”. Il poeta se ne occupò per un anno, per poi passare alla cattedra di eloquenza presso le scuole Palatine. L’insegnamento venne poi detto di Principi di belle lettere applicati alle belle arti: fu trasferito nel palazzo di Brera, dove nel 1777 il Parini ottenne gratuitamente un piccolo alloggio.
Circondato dalla pubblica stima – sempre nel 1777 è accolto nell’Arcadia e nella Società patriottica – Parini è purtroppo assorbito per intero dagli impegni didattici e dagli obblighi sociali: e il lavoro letterario langue.
Forse per questo il poeta sembra sempre più estraniarsi, alla ricerca d’una più severa misura di interiorità: ma la fama raggiunta non gli consente di isolarsi del tutto. Nel 1791 gli viene affidato l’incarico di Sovrintendente alle pubbliche scuole di Brera: nel 1796, all’ingresso dei Francesi a Milano, viene eletto membro della Municipalità. Per la sua intransigenza è costretto poi a dimettersi, e vive ormai in solitudine sempre più severa. Muore il 15 agosto 1799, a pochi mesi dal rientro degli austriaci. Viene sepolto a Milano, con funerali, per suo volere, spogli e dimessi.

Da un’esistenza vissuta con tanta rigorosa adesione ai propri principi morali non poteva non nascere il capolavoro della nostra poesia satirica e di costume: Il Giorno. Che cos’è Il Giorno? Un poemetto sulle consuetudini di vita, sulla fatuità, sui soprusi dell’aristocrazia italiana a metà del Settecento, osservate e ritratte con l’occhio lucido e la coscienza ferma di un borghese colto e illuminato, che – forte della propria dignità di uomo libero e sgombro di pregiudizi – osserva e giudica le meschinità della classe dominante.

Preceduto da una dedica alla Moda, s’apre il Mattino che del Giorno è la sezione prima ed è anche la più articolata e la più mossa. Il modello letterario adottato è quello del poemetto didascalico, di classica ascendenza, filtrato .attraverso gli esempi cinquecenteschi, dall’Alamanni al Rucellai. Il poeta si finge “precettore di amabil rito” di un “giovin signore”, disposto ad insegnargli il modo migliore per trascorrere le oziose giornate, scacciando tempo stesso i fantasmi della noia. È questo, ovviamente, uno schermo che consente al Parini di filtrare attraverso un’ironia sapientemente dosata la propria attitudine critica dinanzi alla materia trattata. Si snodano così i riti e i miti della prima parte della giornata nobiliare: il lento risveglio, l’indugiare tra le coltri, le visite, la complessa vestizione, l’uscita in carrozza.

Più raccolta e più sapientemente orchestrata è la seconda sezione del poema, il Mezzogiorno. Qui il Parini non s’affida tanto al giovine signore, quanto punta su una grandiosa scena d’insieme: quella del banchetto, che s’apre in animati scorci secondari e abbraccia in sé due favole, bellissime per finitura e sapienza costruttiva: la favola del Piacere e quella della vergine cuccia.

Al Mezzogiorno doveva far seguito La Sera, che non vide mai la luce e si scisse – tra il 1770 e il 1780 – in due sezioni separate: il Vespro e la Notte: anch’esse destinate a restare incompiute e inedite, almeno in vita del poeta, e solo pubblicate, dopo la sua morte, dal Reina nel 1801.

Il Vespro nasce dalla ripresa della chiusa del Mezzogiorno, che ora viene ampliata ed arricchita d’un nuovo episodio, quello delle visite, di schietto sapore comico.

La Notte, nata dall’accumularsi e dall’ampliarsi graduale di tutta una serie di brevi inserti, è un quadro affollato e magistrale della vita di società del tempo: dalla descrizione delle sale illuminate, folte di ospiti, alla “sfilata degli imbecilli”; dal ritratto della padrona di casa al concertato, animatissimo, del giuoco delle carte.

La Notte resta si incompiuta, e non concluso, da un punto di vista rigidamente compositivo, è l’intero poema pariniano: ma l’ultima sezione attinge a vertici di così intensa creazione poetica da farci dimenticare questo scompenso, affascinati come siamo dalla misura, dalla cadenza perfetta di queste ultime pagine.

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