CARLO GOLDONI – Il teatro goldoniano

CARLO GOLDONI

Carlo Osvaldo Goldoni (Venezia, 25 febbraio 1707 – Parigi, 6 febbraio 1793) è stato un drammaturgo e librettista italiano della Repubblica di Venezia. Le sue opere comprendono alcune delle opere teatrali più famose e più amate d’Italia. Il pubblico ha ammirato le opere di Goldoni per il loro ingegnoso mix di arguzia e onestà. Le sue opere offrivano ai suoi contemporanei immagini di se stessi, spesso drammatizzando le vite, i valori e i conflitti delle classi medie emergenti . Sebbene scrivesse in francese e italiano, le sue opere fanno un ricco uso della lingua veneziana, del volgare regionale e dei colloquialismi. Goldoni scrisse anche sotto lo pseudonimo e il titolo Polisseno Fegeio, Pastor Arcade, che nelle sue memorie gli avevano conferito gli “Arcadi di Roma”.

Carlo Goldoni, di Venezia, commediografo in dialetto veneziano e in italiano; studiò a Perugia, a Rimini, a Pavia; nel 1731 si laureò a Padova in legge. Poeta di varie compagnie teatrali, sino al matrimonio con Nicoletta Conio, genovese; dal 1748, poeta della compagnia Medebac, iniziò la riforma del teatro comico italiano, sostituendo la commedia scritta a quella a soggetto (commedia dell’arte) e, al mondo delle maschere, quello della reale umanità, colta con particolare grazia negli ambienti veneziani (commedia di “carattere”). Suoi avversari a Venezia il Chiari e Carlo Gozzi. Dal 1762 a Parigi, direttore della Commedia Italiana, poi insegnante di italiano delle principesse reali. Morto in povertà durante la Rivoluzione francese. Spiccano nella sua copiosa produzione: Il servitore di due padroni (1745), La vedova scaltra (1748), La famiglia dell’antiquario (1749), La bottega del caffè, Il bugiardo (1750), La serva amorosa (1752), La Locandiera (1753), Le massere (1755), Il campiello (1756), I rusteghi, La casa nova (1760), Le smanie per la villeggiatura (1761), Sior Todero brontolon, Le baruffe chiozzotte (1762), Il ventaglio (1765), Il burbero benefico (in francese, 1771). Notevoli per spontaneità di motivi autobiografici Le memorie, composte in francese fra il 1784 e il 1787.

Il teatro goldoniano

Il teatro comico italiano ai primi del Settecento era in piena decadenza; o, forse, non era mai nato… Si erano scritte prima commedie ad imitazione di quelle latine di Plauto e di Terenzio, studiate sui libri, col linguaggio e con l’esperienza dei libri anzi che della vita; sicché, di tante commedie scritte dai letterati, appena un paio (la Cassandra del cardinal Bibbiena e la Mandragola del Machiavelli) reggevano alla prova del palcoscenico. La commedia veramente popolare, che affollava i teatri, era fiorita, invece, dal Cinquecento in poi, ad opera di compagnie di comici che badavano a divertire il pubblico, senza alcuna pretesa letteraria; e fu chiamata “commedia dell’arte”. I suoi personaggi erano le popolari maschere delle città italiane (Pantalone, Arlecchino, Rosaura, ecc.); il linguaggio era quello triviale dei dialetti; azione scritta non esisteva: c’era solo un canovaccio d’azione su cui gli attori recitavano a soggetto, improvvisando secondo l’estro e sfoggiando i lazzi e le buffonate del loro repertorio. Il veneziano Carlo Goldoni si propose d’elevare il teatro comico a dignità letteraria, educando gli attori a recitare esattamente le battute com’erano scritte; e scrisse, in dialetto veneziano e in lingua italiana, in versi e in prosa, una serie di commedie, in cui a grado a grado le maschere vennero sostituite da personaggi copiati dalla vita( d’ogni giorno e il cui scopo non fu soltanto di far ridere il pubblico, ma di ritrarre con satira bonaria i lati deboli della società del suo tempo e di dipingere’ caratteri. Egli aveva davanti agli occhi i grandi modelli del teatro di Molière; e, dal 1760, portò con successo la Commedia Italiana a Parigi, ove morì povero al tempo della Rivoluzione.

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