SVILUPPO DEL MOVIMENTO SINDACALE

SVILUPPO DEL MOVIMENTO SINDACALE

La grande espansione dell’industria in tutto il mondo capitalistico determinò, come diretta conseguenza, il parallelo rafforzamento delle organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, sia a livello nazionale che internazionale.
Nei più importanti complessi industriali, le esigenze della produzione e le innovazioni tecnologiche spingevano alla ricerca di nuovi metodi di organizzazione e di sfruttamento del lavoro, attraverso la regolamentazione sempre più razionale dei tempi e dei ritmi di lavorazione e una accentuata suddivisione dei compiti.

In questo campo, un sistema per molti aspetti rivoluzionario fu ideato dall’ingegnere americano Frederick Winslow Taylor (1856-1915): passato alla storia con il nome di taylorismo, tale sistema costituì il punto di partenza di una serie di ricerche e di applicazioni, poi saldamente affermatesi nell’industria moderna. Cardine del “taylorismo” o della “organizzazione scientifica del lavoro” – fu appunto la determinazione dei tempi, fatta cronometrando le singole operazioni, allo scopo di fissare il tempo minimo necessario per ciascuna di esse: tempo minimo che l’operaio era tenuto a rispettare poiché alla rigorosa osservazione di questa “norma” erano legati i sistemi di retribuzione a incentivo (cottimi). Rimanendo al disotto dei tempi stabiliti, infatti, l’operaio finiva col percepire una paga minore.

Ai nuovi sistemi di lavoro e alla maturazione delle tecniche produttive corrispose, naturalmente, una crescita dell’azione rivendicativa degli operai. Dopo la non facile e contrastata nascita di associazioni di tipo sindacale nel corso dell’intero secolo, dopo lotte spesso cruente e periodi di forzata clandestinità, i sindacati erano pervenuti quasi ovunque, negli ultimi venti anni dell’Ottocento, a conquistare il riconoscimento legale del la loro attività. Era questo il segno della accresciuta consapevolezza dei lavoratori e, insieme, della portata della espansione produttiva in atto, per cui gli imprenditori apparivano più disposti che nel passato a trattare con gli operai, alle braccia dei quali era affidata, in definitiva, la capacità produttiva delle fabbriche.

I sindacati si avviavano così a diventare una potente realtà del mondo capitalistico: basti pensare che nei primi anni del Novecento le Trade Unions inglesi giunsero a contare fino a 4 milioni di iscritti, che in Germania i sindacati a  orientamento socialista organizzavano 2 milioni e mezzo di lavoratori, mentre oltre 350.000 erano associati ai sindacati di ispirazione cristiana.

Se si dovesse dare una caratterizzazione dell’attività  sindacale in questa fase storica, si potrebbero indicare due punti essenziali: la rivendicazione di più alti salari e della riduzione della giornata lavorativa a otto ore e la tendenza a unificare sul piano nazionale le diverse associazioni, divise per categorie e per orientamenti politici. In Inghilterra ciò era avvenuto con la costituzione del TUC (Trade Unions Congress), in Francia qualcosa di analogo avvenne nel 1902 con la fusione delle “Borse del lavoro” nella Confederation general du travail, organismo a carattere nazionale. In Italia le diverse associazioni – camere del lavoro, leghe contadine, ecc. – si organizzarono, nel 1906, nella Confederazione generale del lavoro.

La spinta dei movimenti operai dei diversi paesi a darsi una solida struttura organizzativa non si esauriva, però, sul piano nazionale, ma tendeva a ricercare organici collegamenti internazionali.

La 2a Internazionale

Di particolare importanza, in questo quadro, fu la costituzione della cosiddetta 2a Internazionale, avvenuta il 14 luglio 1889 (a tredici anni di distanza, cioè, dallo scioglimento della la Internazionale). La nuova organizzazione si riprometteva di coordinare l’attività dei gruppi e dei partiti politicamente organizzati della classe operaia, sorti nei diversi paesi. Direttiva di fondo era quella della lotta di classe, linea di azione immediata era la lotta per una nuova legislazione del lavoro e per la riduzione della giornata lavorativa a otto ore. Tra le prime decisioni fu anche quella di dedicare il 1 maggio di ogni anno a una manifestazione internazionale dei lavoratori (tale scelta fu suggerita dal fatto che l’American Fede- ration of Labour (organizzazione dei lavoratori statunitensi) aveva indetto per il 1 maggio 1890 una manifestazione per le otto ore. A sua volta l’AFL aveva scelto questa giornata per ricordare il sacrificio, avvenuto quattro anni prima (1 maggio 1886) di otto lavoratori americani, impiccati per aver promosso a Chicago una manifestazione per le 8 ore).

La 2a Internazionale tendeva, con questa sua impostazione, a coordinare insieme l’azione politica e sindacale del movimento operaio: quattro anni più tardi, nel 1893, essa decideva infatti di estendere l’ammissione nelle sue file a tutti i sindacati professionali e operai che riconoscessero come legittimo il principio secondo cui i lavoratori dovevano condurre una propria battaglia politica. Battaglia – precisava l’Internazionale – diretta da un lato alla conquista del potere politico e, dall’altro, alla utilizzazione di tutti i mezzi legislativi e amministrativi dello Stato per ottenere migliori condizioni di lavoro e di vita per le classi lavoratrici.

Tuttavia la pretesa di cementare in un tutto organico partiti e sindacati si palesò di difficile attuazione. Ben presto infatti, si delinearono due posizioni irriducibilmente contrapposte. La prima sosteneva che i sindacati dovevano essere, per loro natura, “apolitici” e neutrali nei confronti del potere politico, limitando la loro azione alle rivendicazioni di carattere economico; la seconda affermava invece che i sindacati dovevano considerarsi strumenti essenziali per la conquista del potere politico e l’abbattimento del sistema capitalistico. Quest’ultima tesi venne, in particolare, sostenuta dai Francesi che, in un congresso tenuto ad Amiens nel 1906, elaborarono un documento – la “Carta” di Amiens – che conteneva una vera e propria dottrina sindacale.

Ispirata dal sociologo George Sorel (1847—1922) tale dottrina, pur riconoscendo come funzione del sindacalismo la azione quotidiana in difesa dei lavoratori, riservava ai sindacati, ed esclusivamente ad essi (in chiara antitesi con i partiti) l’obiettivo della totale emancipazione della classe operaia, considerando lo sciopero generale il fondamentale strumento di questa lotta.

Tali posizioni (definite anarco-sindacaliste) pur se destinate ad avere un peso non indifferente nel movimento operaio, restarono però abbastanza ai margini nelle organizzazioni sindacali internazionali, dove l’orientamento apolitico ebbe la prevalenza.

A queste contrapposizioni circa il modo di concepire il sindacato, si aggiungevano, nella 2a Internazionale, quelle relative alla strategia che il movimento operaio avrebbe dovuto attuare. Alla originaria e prevalente ispirazione marxista dei vari partiti associati, si vennero contrapponendo altre correnti che ne contestavano la validità.

Da queste insanabili contraddizioni interne derivò per la 2a Internazionale una crisi, che raggiunse il momento cruciale allo scoppio del primo conflitto mondiale. Dinanzi alla catastrofe, l’Internazionale – che pure aveva chiamato i lavoratori a lottare contro l’eventualità della guerra – non seppe essere all’altezza della situazione e si dissolse nell’incendio che ormai avvampava in tutta l’Europa.

Il movimento operaio italiano

L’ultimo decennio dell’Ottocento fu testimone di avvenimenti di grande importanza per il movimento operaio italiano. In particolare venne manifestandosi una differenziazione sempre più netta tra partiti politici e organizzazioni sindacali, in una situazione dominata da a5pri scontri sociali.

I lavoratori italiani, tra i peggio pagati in Europa, dovettero affrontare la tenace resistenza degli industriali e dello Stato che, oltre ad opporsi alle loro rivendicazioni, cercavano anche di impedire che si organizzassero in partiti e sindacati.

Il Partito operaio era stato sciolto d’autorità nel 1886 e i suoi aderenti sottoposti a persecuzioni e processi; sulle prime camere del lavoro venivano esercitate fortissime pressioni. Queste misure non valsero, tuttavia, a fermare il movimento, anzi ebbero come risultato quello di avvicinare ai militanti del disciolto partito, intellettuali socialisti e uomini politici democratici. Tra questi, in particolare, Filippo Turati (1857-1932), che, insieme ad Anna Kuliscioff (1857-1925) e a un gruppo di intellettuali, fondò nel 1891 la rivista “Critica sociale“, ben presto affermatasi quale centro di formazione e di organizzazione politica. Prospettando la necessità di una identificazione tra socialismo e movimento operaio, la rivista, che in gran parte si ispirava alle concezioni marxiste, contribuì allo sviluppo di una estesa iniziativa in tutto il paese.

A coronamento di questo sforzo, il 16 agosto 1892 veniva ricostituito a Genova il Partito dei lavoratori italiani che un anno più tardi assumeva la denominazione di Partito socialista dei lavoratori italiani. Fu questo un evento di grande importanza per il movimento operaio: verso il nuovo partito cominciavano a manifestarsi le simpatie non solo dei lavoratori ma anche di strati di piccola e media borghesia e di un numero crescente di uomini di cultura, i quali vedevano nel PSLI l’espressione di una forza democratica capace di trasformare la vita del paese.

All’inizio del nuovo secolo, i sindacati, sia d’ispirazione socialista che cristiana, entrarono in una fase di sviluppo e consolidamento.

Nel 1901 veniva costituita a Bologna la Federterra, che riuniva 704 leghe prevalentemente bracciantili; nel 1906, come abbiamo ricordato, nasceva la Confederazione generale del lavoro.

La politica di Giolitti, tesa alla ricerca di una convivenza tra forze liberali e socialiste, favori indubbiamente questo processo di rafforzamento dei sindacati, che intanto venivano affermando sempre più la loro autonomia rispetto ai partiti (e in particolare al Partito socialista). E tuttavia sia nel PSI (il PSLI, disciolto dal governo nel 1894, si era ricostituito, nel 1895 con il nome di Partito socialista italiano) che nelle organizzazioni sindacali vennero via via emergendo quei contrasti che già caratterizzavano la vita del movimento operaio sul piano internazionale.
Le diverse e opposte valutazioni sul ruolo dei sindacati e sulla strategia da seguire, le dispute ideologiche sempre più accese; incrinarono la forza di quel partito che pure a buon diritto poteva rivendicare una posizione di guida tra le masse dei lavoratori. E quando si prospettò la drammatica svolta della guerra, anche il PSI non seppe far altro che attestarsi su posizioni che ne denunciavano l’impotenza politica.

La Chiesa e la questione sociale

La forza con cui in tutta Europa si espandeva il movimento socialista, impegnò la Chiesa ad affrontare i problemi sociali e a dire una sua parola sulla scottante questione dei conflitti di classe e di lavoro. Vi erano state in precedenza, in Germania e in Francia, prese di posizione da parte di autorevoli esponenti cattolici a favore di una legislazione sociale che tenesse conto dei fondamentali diritti dei lavoratori e ne tutelasse l’umana dignità. L’esigenza che anche la vita e le leggi dell’economia obbedissero a una superiore concezione morale, dettero a queste idee una notevole diffusione in Italia, stimolando una sensibile attività associativa e propagandistica tra gli operai e tra i contadini.
Tra l’altro i “cristiano-sociali” (così erano chiamati gli assertori di queste idee) pensavano di poter combattere meglio l’ideologia socialista scendendo in competizione con essa sul suo proprio terreno, tra le masse operaie e nelle campagne. La loro azione, pur se obiettivamente rivolta a dividere gli operai socialisti da quelli cattolici, conferì maggiore ampiezza alla richiesta di riforme sociali.

Dopo la costituzione della 2a Internazionale e la nascita di forti associazioni politiche e sindacali che si richiamavano, in vario modo, agli ideali socialisti, la Chiesa avvertì la necessità di un suo intervento. Di questa esigenza si fece interprete il pontefice Leone XIII (Gioacchino Pecci, 1810-1903), che il 15 maggio 1891 pubblicò la enciclica “Rerum novarum” (“Delle cose nuove”) con l’intento di contrastare l’influenza del socialismo sulle masse lavoratrici e di porre su basi non di classe l’intera questione sociale.

La “Rerum novarum” condannava le idee socialiste contrapponendo ad esse le idealità religiose; esaltava la necessità che tra operai e padroni si stabilissero sentimenti di reciproca fratellanza e solidarietà; riteneva legittime le richieste di aumenti salariali da parte degli operai e raccomandava ai padroni di tener conto dei princìpi morali, nei loro rapporti con i lavoratori.

Pur se assai netta nei confronti del socialismo e non molto precisa riguardo la difesa dei diritti dei lavoratori, la “Rerum novarum” sollevò interesse ed ebbe grandi ripercussioni in Europa e, naturalmente, in Italia. Attorno all’enciclica si consolidò un movimento di democrazia cristiana che ebbe in Giuseppe Toniolo (1845-1918) il più autorevole esponente. Per contro gli strati cattolici più conservatori videro nella “Rerum novarum” poco meno che una minaccia all’ordine sociale.

VEDI ANCHE . . .  

L’EPOCA DELL’IMPERIALISMO

L’ITALIA NELL’EPOCA DELL’IMPERIALISMO – LA QUESTIONE MERIDIONALE

CULTURA E IDEOLOGIE NEL PRIMO NOVECENTO

VEDI ANCHE . . . 

IL LAVORO NELLA COSTITUZIONE

MOVIMENTO SINDACALE

I SINDACATI – LA CLASSE OPERAIA – LO SCIOPERO

SALARIO, PREZZO, PROFITTO, SCIOPERO

CGIL – Confederazione Generale Italiana del Lavoro

MOVIMENTO OPERAIO AMERICANO – I.W.W.

CAPITALISMO E DISOCCUPAZIONE – L’ESERCITO DI RISERVA

GIUSEPPE DI VITTORIO – Sindacalista italiano

GIUSEPPE MASSARENTI – Le lotte sindacali di Molinella

CAMILLO PRAMPOLINI – Il Socialismo evangelico 

.