SALARIO, PREZZO, PROFITTO, SCIOPERO

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SALARIO, PREZZO, PROFITTO, SCIOPERO

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Ho letto Salario, prezzo e profitto di Marx e anche alcune note di un libricino che il 20 maggio 1865 Marx scriveva ad Engels: “Non si può condensare un corso di economia politica in un’ora”.
Così io adesso direi: “Non si può condensare un corso di economia politica in un post profano come questo. Accenno, comunque, che Salario, prezzo e profitto (tradotto da Togliatti per la “Piccola biblioteca marxista”, è un rapporto letto da Marx in due sedute al Consiglio generale dell’Associazione Internazionale degli Operai (I Internazionale) il 20 e il 27 grugno 1865, nel quale sono confutate le argomentazioni dell’owenista John Weston secondo cui l’ammontate della produzione nazionale è qualcosa di fisso e la somma dei salari reali è un importo fisso, è una grandezza costante.
Partendo da questa impostazione assolutamente sbagliata, quel Weston traeva due paradossali conclusioni:

1) che un aumento generale dei salari non porterebbe nessun utile agli operai

2) che perciò le organizzazioni di lavoratori (le trades unions) agivano dannosamente quando promuovevano agitazioni e scioperi per un aumento di salari.

Marx dimostrò che un rialzo generale dei salari provocherebbe una diminuzione, si, del generale profitto ma non eserciterebbe alcuna influenza sui prezzi medi delle merci o sui loro valori. Quanto al profitto, non è precisabile nè un minimo nè un massimo dello stesso: si può solo dire che il massimo del profitto è determinato solamente dal minimo “fisico” dei salari (quel loro ammontare, cioè, che rappresenta il minimo necessario per la sussistenza in vita dell’operaio) e dal massimo fisico della giornata di lavoro (dalla maggiore lunghezza, cioè, della giornata lavorativa sopportabile dalle forze dell’operaio).

La determinazione del livello reale del profitto, dice Marx, “viene decisa soltanto dalla lotta incessante fra capitale e lavoro; in quanto il capitalista cerca costantemente di ridurre i salari al loro limite fisico minimo e di estendete la sua giornata di lavoro al suo limite fisico massimo, mentre l’operaio esercita costantemente una pressione in senso opposto” (quanto alla giornata di lavoro, si tenga presente che Marx scriveva quando ancora essa aveva dimensioni inumane; e la sua graduale riduzione è stata, nei tempi successivi, appunto conquistata in quella lotta di classe, aspra e continua, fra capitale e lavoro. Tutto, infatti, si riduce, come mette in rilievo Marx, “alla questione dei rapporti di forza tra le parti in lotta”).

E’ chiaro che come il capitalista, proprio per lo sviluppo dell’industria moderna tende al salario più basso, l’operaio ha l’interesse e la tendenza opposti e ognuna delle parti si vale dei propri mezzi di lotta. Di fronte a quelli usati dal capitalista per strozzare economicamente l’operaio, questo non ha che un mezzo solo: incrociare le braccia. SCIOPERO.

Lo sciopero è la forma fondamentale di difesa economica e politica che la classe lavoratrice può mettere in atto per la tutela dei suoi diritti nel confronto dei capitalisti. Esso è un fenomeno connaturato alla esistenza delle classi sociali ed al mantenimento stesso di un minimo di democrazia e di libertà nell’oppressivo regime capitalistico. E’ un diritto che dà concretezza a quello di associazione sindacale in quanto il suo esercizio permette ai lavoratori di contrapporre una pressione economica alla pressione economica del capitale.

Lo sciopero, come fatto rivendicativo di libertà e di giustizia sociale, non può considerarsi solamente conquista dei lavoratori ma di tutta la società umana poichè, mentre dal punto di vista economico costituisce una potente arma per il progresso generale, per lo sviluppo delle condizioni di vita dei singoli paesi, come dimostra ampiamente la storia del movimento operaio, dà ai cittadini, sul terreno morale, possibilità di sentirsi padroni delle proprie forze e di impiegarle solo quando lo ritengano opportuno e conveniente.

Di fronte agli scioperi, la parte più gretta della borghesia (nè escludiamo ceti medi ossia piccola borghesia) non tardò a schierarsi contro gli scioperanti che le creavano disagi, che guastavano le sue abitudini e le sue comodità (mi riferisco specialmente agli scioperi dei servizi pubblici).

Nel 1904, quando in Italia fu fatto, e trionfò, il primo sciopero generale, la borghesia ne fu così atterrita e indignata che Giolitti credette poter contare appunto su questi sentimenti per sciogliere la Camera e far le elezioni; ma i socialisti non perdettero che pochi seggi alla Camera.
Nel primo dopoguerra, quando, attraverso gli scioperi, i lavoratori posero le loro rivendicazioni e la loro volontà di non pagare le spese della guerra imperialista, fu sulla irritazione, appunto, della piccola borghesia che il fascismo potè trovare simpatia ed avere una base di sostegno. Il piccolo borghese, disturbato nelle sue comodità, non si chiede per quali ragioni i lavoratori siano costretti a scendere in lotta, ma simpatizza senz’altro col crumiro. E, a proposito di questa simpatia per il crumiro c’è un aneddoto che al suo tempo, nel primo dopoguerra, fece scandalo nella classe operaia. Riguarda l’onorevole Turati. Durante uno sciopero delle ferrovie viaggiava un treno con personale crumiro. Ci fu chi ebbe la bella idea di fare una sottoscrizione tra i viaggiatori a favore di quel personale: e Turati, che era fra i viaggiatori, vi partecipò.
Tornando allo scritto di Marx, egli, dopo aver confutato pretese ragioni addotte da quel signor Weston così concludeva in difesa dell’attività delle Trade-unions:
“Le Trades Unions compiono un buon lavoro come centri di resistenza contro gli attacchi del capitale; in parte si dimostrano inefficaci in seguito a un impiego irrazionale della loro forza. Esse mancano, in generale, al loro scopo perchè si limitano a una guerriglia contro gli effetti del sistema esistente, invece di tendere nello stesso tempo alla sua trasformazione, di servirsi della loro forza organizzata come di una leva per la liberazione definitiva della classe operaia, cioè per l’abolizione definitiva del sistema di lavoro salariato”
Questo motto rivoluzionario, affermava Marx, gli operai dovevano scrivere sulla loro bandiera, invece della parola d’ordine conservatrice: “Un equo salario per un’equa giornata di lavoro”.

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CAPITALISMO E DISOCCUPAZIONE – L’ESERCITO DI RISERVA

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