CULTURA E IDEOLOGIE NEL PRIMO NOVECENTO

CULTURA E IDEOLOGIE NEL PRIMO NOVECENTO

Caratteri generali

Nessun secolo nuovo fu mai accolto, nella storia, con l‘entusiasmo riservato al Novecento. Per quanto i decenni che l’avevano preceduto non fossero stati precisamente idilliaci, pur tuttavia l’Europa nel suo insieme non era stata sconvolta da guerre generali. Lo sviluppo delle industrie e dei consumi, un innegabile miglioramento delle condizioni di vita, l’incessante evoluzione della scienza e della tecnica, tutto si riassumeva in una parola che da sola apriva gli animi alla speranza di un futuro ancora migliore: progresso.

Un ottimismo non ingiustificato, del resto, per chi si apprestava a festeggiare la nascita del nuovo secolo: nessuno avrebbe potuto infatti prevedere che nel volgere di soli quindici anni il mondo sarebbe precipitato nel baratro della guerra, e avrebbe vissuto uno dei momenti più tragici dell’intera sua vicenda.
Certo, il passaggio del capitalismo dalla libera concorrenza al monopolio, l’avvento minaccioso dell’imperialismo e dell’epoca colonialista, col loro triste bagaglio di violenze ai danni di popoli inermi, avrebbero potuto far sorgere dei dubbi sulle sorti, a breve scadenza, di quella che fu definita l’età felice, la “belle époque“. E però i fatti stavano, al momento, a giustificare la visione di un progresso, sicuro e tranquillo sul piano economico (con l‘attenuazione degli scontri di classe e. l’allontanamento dello spettro della rivoluzione) ed esaltante su quello della conoscenza, della cultura, degli ideali.

 Friedrich Hegel

Basti pensare alla enorme portata culturale della rivoluzione scientifica che maturò in quegli anni e al ribollire di idee e di orientamenti nuovi che caratterizzò la cultura del tempo. Una cultura il cui obiettivo principale fu quello di operare una rottura netta con la filosofia del positivismo, dominante negli ultimi decenni dell’Ottocento.

Contro il positivismo si mossero non solo le correnti, che si richiamavano alle dottrine di Hegel e soprattutto di Marx (quest’ultima divenuta ormai materia viva di scontro politico, oltre che ideale), ma anche nuove filosofie che attaccavano il vecchio modo di pensare, accusandolo di aver ridotto entro i limiti di aride e immutabili leggi, la complessa realtà della natura, negando ogni valore alla volontà e all’azione umana.

Antonio Labriola

In Italia – ma con un’opera che travalica i confini nazionali per affermarsi a livello europeo – Antonio Labriola (1843-1904) porta la sua critica al positivismo, riaffermando la validità delle concezioni marxiste nella loro più autentica interpretazione. Ancora in Italia, Benedetto Croce, già seguace del Labriola, sollecita il ritorno alla filosofia di Hegel, proponendo una nuova visione della storia. Per Croce, tutta la realtà deve essere intesa come storia (“storicismo assoluto”) ovvero come prodotto dello spirito umano (“idealismo“).

Assertore di nuovi orientamenti filosofici, in senso antipositivistico, fu il francese Henry Bergson (1859—1941), per il quale la realtà sta nello svolgersi, nel divenire della vita, che è creazione continua, “slancio vitale”. Una tale realtà può essere appresa solo mediante l’ “intuizione”, poiché l’intelligenza – e quindi la scienza – ci offre di essa una immagine frammentata, parziale, utile per i nostri scopi pratici ma incapace di renderne l’intima essenza.
Per l’americano William James (1842-1910) sono l’esperienza, la volontà, l’azione che hanno, in sé, valore di verità in quanto servono a costruire un mondo ancora incompleto, irrealizzato. Questa filosofia prese il nome di “pragmatismo“, per l’importanza che essa riserva al “fatto” (pragma), all‘azione.

Friedrich Nietzsche

Una particolare corrente di pensiero, destinata a incidere in maniera rilevante nelle coscienze del tempo, fu quella che prese le mosse dalla filosofia del tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900), fondata sulla esaltazione, della forza e della volontà di potenza. Espressione di un estremo romanticismo, segno, a suo modo, della crisi che stava per investire la cultura e l’intera società europea, la filosofia di Nietzsche poneva in primo piano il ruolo che nella storia appartiene non ai fatti, ai processi oggettivi, ma al soggetto eccezionalmente dotato, al “superuomo“, capace di sottrarsi ad ogni regola convenzionale, di porsi al disopra di qualsiasi principio morale e, di utilizzare spregiudicatamente, ai suoi fini, la forza delle masse, da lui stesso dominate. Tale concezione, che aveva al suo sorgere valore di rivolta contro la morale e il comportamento borghesi, doveva alla fine esser fatta propria dalle forze più reazionarie della borghesia, quale supporto ideologico dell’espansione coloniale e della guerra, prima, del fascismo poi.

La forza di penetrazione di questa dottrina – definita “irrazionalista” – fu tale che perfino il pensiero socialista ne fu in qualche modo influenzato. Le idee di George Sorel sullo sciopero generale come arma rivoluzionaria, sulla violenza delle masse, sul diritto di alcune minoranze d’avanguardia ad affermare la propria egemonia sulle grandi moltitudini umane, altro non sono che riflessi delle teorie irrazionaliste. Va rilevato, per inciso, che quanti ebbero a sostenere con convinzione tali idee finirono ben presto col ritrovarsi a fianco dei nazionalisti, cioè con le forze dell’estrema destra dello schieramento politico. .

E il nazionalismo – componente ideologica, come abbiamo visto, dell’imperialismo moderno – rappresentò la bandiera della controffensiva che le classi conservatrici scatenarono, di fronte all’estendersi del movimento dei lavoratori e dei loro partiti.

Scrive lo storico Rosario Villari:

“All’internaz’ionalismo socialista e agli ideali umanitari di collaborazione tra i popoli, i nazionalisti contrapposero l’idea della lotta tra le nazioni come strumento necessario di progresso; al principio della solidarietà sociale (che ispirava la legislazione protettiva del lavoro e le riforme democratiche) l’individualismo e il disprezzo del popolo; al sistema parlamentare una concezione autoritaria e dittatoriale del potere che oscillava tra le forme monarchico-assolutiste dell’antico regime e il modello napoleonico. Come alternativa. popolare al principio socialista della lotta di classe, i nazionalisti proposero l’esaltazione esasperata dei valori nazionali e patriottici, la lotta fra le nazioni, il razzismo. L’affermazione del diritto delle “razze superiori” a dominare i popoli arretrati apparteneva già alla pratica e alla teoria del colonialismo: ad essa si aggiunse la difesa della purezza della razza, che diede un nuovo fondamento ideologico all’antisemitismo e’ nuova materia alle discriminazioni e ai contrasti etnico-razziali all’interno del mondo evoluto e della stessa Europa.
L’esaltazione della guerra fu infine il tema centrale dell’ideologia nazionalista, il più adatto a esprimere in sintesi tutte le sue componenti autoritarie, eroiche, irrazionaliste, antiumanitarie ed estetizzanti. Su questo terreno avvenne l’incontro tra l’ideologia nazionalista, il conservatorismo tradizionale e la spinta imperialistica del capitalismo giunto alla fase della esasperata concorrenza economica fra le nazioni; e fu proprio per questa convergenza che il movimento di idee, che era apparso all‘inizio come farneticazione di letterati decadenti in cerca di popolarità, si trasformò in concreta forza politica eversiva”.

Forza politica che trovò spazio e momenti di aggregazione in tutta Europa. In Francia si era organizzata attorno al gruppo della “Action française“, diretto da Charles Maurras (1868-1952); in Italia attorno alla rivista “Il Regno“, diretta da Enrico Corradini (1865-1931) e che si giovava della collaborazione di letterati quali Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Giuseppe Prezzolini. Per i nazionalisti italiani l’alternativa alla democrazia borghese – alla “Italietta” giolittiana – e, soprattutto, allo “ignobile socialismo”, era il ricorso alla guerra affinché l’Italia, nazione “proletaria”, potesse imporre i propri diritti alla espansione e alla conquista di nuovi Spazi vitali.

Sotto la pressione della politica imperialistica delle grandi potenze, in un fermento di idee irriducibilmente contrapposte, la “belle époque” si avviava al suo funesto epilogo.

Paul Verlaine

La letteratura del decadentismo

L’avvento dell’epoca dell’imperialismo portò dunque a un capovolgimento di quelli che erano stati i grandi ideali del XIX secolo, aprendo nella cultura europea una crisi di ampie dimensioni. Una crisi che nel campo specifico della letteratura assunse un insieme di caratteri non del tutto omogenei ma che possono ricondursi sotto la comune definizione di “decadentismo“.

Questo termine – come molti altri nel passato (“barocco“, “romanticismo“, “impressionismo“, ecc.) – fu coniato per esprimere una valutazione negativa: esso sintetizzava la critica mossa da certi ambienti letterari francesi all’opera di alcuni scrittori i quali, per tutta risposta, crearono attorno al 1880 un raggruppamento che chiamarono, in segno di sfida, “decadente“. Si trattava di Jean Arthur Rimbaud (1854-1891), Paul Verlaine (1844-1896), Stephane Mallarmé (1842-1898), fondatori e insuperati interpreti di questo nuovo indirizzo della letteratura europea (***). Un indirizzo che nonostante il suo nome non testimonia certo di un periodo di decadenza artistica, bensì’ di una fase di particolare travaglio della cultura continentale sottoposta alle laceranti sollecitazioni di una società in grave fermento.

Vediamo, in sintesi, gli elementi peculiari del decadentismo:

l) rottura col passato o, per lo meno, esaltazione di quanto di nuovo veniva proponendosi rispetto alla tradizione;

2) disprezzo e rifiuto delle abitudini, dei modi di pensare, delle leggi della società del tempo, così come essa era organizzata (rifiuto cioè della morale borghese;

3) esaltazione dell’individualismo sia in senso attivo (l’uomo forte, destinato ad emergere dalle masse e dominarle), sia passivo, come espressione della totale solitudine dell’uomo e della sua incapacità di comunicare con gli altri, con la società;

4) culto della violenza, tanto collettiva (la guerra) che individuale (il dominio del “superuomo”);

5) evasione dalla società;

6) totale sfiducia nella scienza e nella ragione umana, incapaci a comprendere la realtà, che può essere colta, soggettivamente, solo dall’artista;

7) rifiuto di qualsiasi tecnica o regola letteraria basata sulla logica. e continua invenzione di tecniche e forme che, proprio per non essere logiche, possono consentire di cogliere, mediante la forza della suggestione, quegli aspetti della realtà che la ragione non potrà mai conoscere.

(***) Poeti di altissima levatura, essi ispirarono la loro opera a quella geniale e rinnovatrice di un altro grande della poesia d’ogni tempo, il francese Charles Baudelaire (1821-1867), che insieme all’americano Edgar Allan Poe (1809—1849) deve essere considerato l’iniziatore della letteratura moderna.

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