MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA – Karl Marx e Friedrich Engels

MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA

KARL MARX E FRIEDRICH ENGELS

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Il Manifesto del partito comunista venne pubblicato a Londra nel 1848 da Karl Heinrich Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895).

Questa è un’opera di capitale importanza nella storia del pensiero moderno, perché ad essa si sono ispirati vasti movimenti politici che hanno in gran parte mutato la scena mondiale, e che ancora continuano a determinare e condizionare gli schieramenti in ogni nazione. A questo Manifesto si ispirano tutti i partiti comunisti che agiscono nella vita politica di oggi, sia pure con differenze specifiche di interpretazione, e talvolta addirittura attraverso drammatici contrasti (si pensi, ad esempio, al contrasto tra Cina e U.R.S.S. del secolo scorso).
L’opera, in sé, non è molto vasta. Essa si compone di quattro brevi capitoletti, che riguardano rispettivamente:
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1) la divisione in classi, che è sempre esistita in ogni società ed in ogni momento storico
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2) il ruolo fondamentale svolto dal proletariato, cioè dalla moderna classe degli operai, nel promuovere un radicale mutamento della situazione
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3) la critica degli altri progetti di rinnovamento della società, considerati troppo deboli ed insufficienti
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4) la discussione di una serie di problemi strategici riguardanti la futura lotta del proletariato, anche in rapporto all’esigenza di stipulare alleanze con i vari movimenti democratici che, verso la metà dell’Ottocento, agivano nei diversi paesi europei.
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Si tratta dunque di un disegno ampio e complesso; è nonostante i molti anni trascorsi dal suo apparire, il Manifesto si legge ancora oggi come un’opera attuale e ricca di indicazioni. Soprattutto, essa viene letta come un diretto incitamento all’azione, come è implicito nel suo stesso titolo: ‘manifesto’ significa infatti, in questo caso, progetto politico e culturale, lanciato al fine di una comune presa di coscienza dei problemi da affrontare.
Pur con le differenze prima ricordate, questo è il progetto cui ancora oggi si appellano i comunisti di tutto il mondo.
Per afferrare meglio il senso delle cose che leggiamo in questo volumetto, conviene dare qualche indicazione sul pensiero di Marx ed Engels, entrambi tedeschi, ma costretti ben presto ad emigrare in Inghilterra per sfuggire alle persecuzioni politiche cui erano sottoposti in patria. L’Inghilterra era, nel secolo scorso, rifugio di tutti i perseguitati d’Europa. Naturalmente, a noi non interessa distinguere tra i contributi di Marx e quelli di Engels per quanto riguarda l’elaborazione della dottrina cui oggi si richiamano i comunisti: nei tanti anni passati insieme, è chiaro che essi finirono per influenzarsi a vicenda, e spesso non è facile attribuire all’uno o all’altro la formulazione di certe idee. Sta di fatto comunque che, tra i due, Marx fu I’uomo di maggiore spicco: a lui si deve la stesura de Il capitale, il massimo monumento teorico di questa concezione ideologica, uno dei più importanti prodotti della cultura di tutti i tempi.
Dal suo nome, del resto, deriva l’attuale denominazione di quanti si richiamano a questa ideologia, e cioè i ‘marxisti’: e si noti che al pensiero marxista si riallacciano non soltanto i comunisti, ma molti socialisti.
Riprendendo e sviluppando le idee di vari pensatori precedenti, anche di ispirazione socialista, Marx ed Engels svilupparono una teoria che è stata variamente definita come ‘socialismo scientifico‘ o come ‘materialismo dialettico‘.
Secondo questa concezione, la storia si presenta come un succedersi di rotture più o meno violente dell’equilibrio sociale, cui succedono nuovi provvisori equilibri. Gli equilibri sono dovuti al fatto che, in un dato momento storico, la classe dei cittadini che detengono il potere impone un certo assetto politico. Le rotture si hanno invece quando le classi sottoposte a sfruttamento si muovono per rovesciare la situazione presente, talvolta attraverso vere e proprie rivoluzioni.
La società è infatti divisa in classi, individuabili a seconda delle condizioni economiche (proprietari terrieri e contadini; industriali e operai, ecc.). Naturalmente, ciascuna di queste classi è divisa al suo interno in vari livelli: ma in generale si può dire che ogni classe si riconosce in determinati interessi, che sono spesso in contrasto con gli interessi di altre classi.
La politica non è altro, a ben vedere, che il tentativo di spostare la situazione in favore degli interessi dell’una o dell’altra classe, secondo i rapporti di forza che si creano in ogni momento.
Marx ed Engels hanno spinto fino in fondo le conseguenze di questa impostazione, osservando che la ‘struttura’ della società, ossia l’assetto generale delle forze produttive e dei rapporti di forza che operano nella società (ad esempio, nell’Ottocento, il rapporto tra la borghesia ed il proletariato), influenza anche ciò che essi chiamano ‘sovrastruttura’, vale a dire le idee politiche e artistiche, e le concezioni spirituali.
La sovrastruttura è il riflesso della struttura sociale. Per esempio, i codici di giustizia che vengono elaborati in ogni dato momento storico corrispondono sempre ai precisi interessi delle classi dominanti, le quali tendono a mantenere il più a lungo possibile la propria condizione di privilegio. Tali norme vengono sempre presentate dalle classi dominanti come dei valori assoluti, quasi fossero ispirate da principi certi ed immutabili: ma il marxismo ha mostrato che, in questo campo, l’obiettività non esiste.
Di grande interesse sono anche le idee economiche elaborate da Marx ed Engels. Essi osservano che l’epoca capitalista, ossia l’epoca della grande industria, è caratterizzata dalla concentrazione di grandi masse operaie in centri di produzione altamente sviluppati, le fabbriche, dotati di macchinari sempre più costosi e perfezionati. In cambio del proprio lavoro, l’operaio riceve un salario; ma la somma dei salari corrisposti agli operai è sempre inferiore al valore della merce prodotta, e questa differenza costituisce il ‘profitto’ del capitalista.
Tale profitto viene utilizzato in due modi: per arricchire il patrimonio personale del capitalista, e per consentirgli di fare nuovi investimenti, cioè creare nuove fabbriche e comprare nuovi macchinari. Il capitalista deve infatti lottare contro la spietata concorrenza degli altri capitalisti. Ma questa concorrenza riduce i suoi margini di guadagno: è chiaro infatti che per vendere più merci egli è costretto ad abbassarne il prezzo, e ciò fa sì che il salario degli operai non possa mai aumentare.
Marx ed Engels prevedevano anzi che il salario dovesse progressivamente diminuire, e che gli operai dovessero ridursi in condizioni di sempre maggiore povertà. Del resto, per potersi assicurare una massa di persone disposte a lavorare per guadagni sempre più miseri, i capitali avrebbero potuto contare sulla schiera dei disoccupati (ciò che essi chiamano esercito di riserva industriale), che il sistema stesso avrebbe contribuito a creare, attraverso il continuo fallimento di fabbriche che non avevano saputo vincere la concorrenza altrui.
Tutto ciò avrebbe dovuto portare in breve tempo, secondo Marx ed Engels, a drammatiche conseguenze. Da un lato il capitalismo avrebbe dovuto affrontare crisi sempre più gravi, dovute al fatto che l’enorme quantità di merci prodotte non avrebbe trovato sufficienti acquirenti; dall’altro, si sarebbe creato un contrasto insanabile tra capitalisti ed operai. Questi ultimi, infatti, nella società industriale moderna patiscono un duplice tipo di ‘alienazione’ (cioè di estraniazione), sia in quanto vengono privati del possesso degli strumenti di produzione, sia in quanto vengono privati della soddisfazione di vedere il risultato del proprio lavoro (l’operaio, in effetti, vede soltanto quel piccolo pezzo che gli passa tra le mani lungo la catena di montaggio, mentre per tutto il giorno deve ripetere, fino alla noia, le stesse operazioni manuali).
Il risultato finale di questo contrasto tra operai e capitalisti doveva essere necessariamente lo scontro finale, ossia la rivoluzione; con l’abbattimento del capitalismo si dovrebbe creare una società nuova, fondata sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione (fabbriche, campi ecc.), sul rispetto di tutti, e sulla valorizzazione effettiva delle capacità produttive di ciascuno.
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Noi viviamo in un’epoca in cui i drammatici contrasti previsti da Marx ed Engels non si sono ancora risolti. Le idee di questi due grandi sono tuttora oggetto di analisi e interpretazione, anche se sono state assunte a fondamento del proprio operare da parte di molti uomini. Certo, se dobbiamo badare al fatto che il capitalismo costituisce ancora il sistema dominante in buona parte del mondo, dobbiamo concludere che Marx ed Engels hanno avuto torto. E in effetti, alcune delle loro previsioni non si sono avverate: non si può dire, ad esempio, che il capitalismo sia crollato sotto il peso delle sue contraddizioni interne.
Indubbiamente vi sono state, e vi sono ancora, delle crisi gravissime: ma questo complesso sistema economico e sociale è stato in grado di sopravvivere, adattandosi ad esse. Né si può dire che il salario degli operai sia andato progressivamente calando (a parte in questo ultimo decennio), proprio perché i capitalisti hanno capito per tempo che per poter vendere i propri prodotti, era necessario dare all’operaio mezzi sufficienti per acquistare delle merci (occorre anche ricordare, però, la funzione svolta dai sindacati nell’ottenimento di questi aumenti di salario).
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La lezione di Marx ed Engels resta comunque intatta per ciò che riguarda il conflitto tra capitalisti ed operai, ed il senso di frustrazione (di alienazione, appunto) che colpisce questi ultimi. La visione profetica indicata dai due grandi pensatori tedeschi conserva quindi, per tutti coloro che si richiamano alle loro concezioni ideologiche, una straordinaria forza persuasiva, con il preannuncio della vittoria finale del proletariato e dell’avvento di una società senza classi (ossia, senza oppressori ed oppressi).
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Lo spirito che permea il Manifesto del partito comunista, e che ne determina lo stile, è dunque quello della entusiastica comunicazione di una certezza.
Scorrendo le pagine di questo piccolo grande volume, ci si renderà conto che Marx ed Engels mirano sì a persuadere i propri lettori attraverso il ragionamento (e si tratta anzi di un ragionare sottile e ricco), ma sono anche animati dalla convinzione di possedere una verità tale da stimolare gli altri all’azione diretta, più ancora che alla riflessione. Si noti che la comprensione del testo non è sempre agevole: più che al proletario (spesso analfabeta) della metà dell’Ottocento, questo testo si rivolgeva dunque alle avanguardie rivoluzionarie, composte per la maggior parte di intellettuali.
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