3 – MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA – La letteratura del comunismo e del socialismo – Marx e Engels

MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA

Karl Marx –  Friedrich Engels

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LA LETTERATURA DEL COMUNISMO E DEL SOCIALISMO 

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1. Il Socialismo reazionario
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A. Il Socialismo feudale
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Per effetto della loro propria situazione storica, l’aristocrazia inglese e quella francese erano come chiamate a lanciare dei libelli contro la moderna società borghese. Così nella rivoluzione francese del Luglio 1830, come nel movimento della riforma elettorale inglese, l’aristocrazia era di nuovo soggiaciuta all’aborrita crasse dei nuovi venuti. (Con l’insurrezione parigina del luglio 1830 veniva destituito dal trono Carlo X di Borbone, il cui potere aveva trovato l’appoggio dei grandi proprietari terrieri, e insediato al suo posto Luigi Filippo d’Orleans che difendeva gli interessi dell’alta borghesia finanziaria).

Non era più il caso di pensare ad una seria lotta politica, e rimaneva aperto il solo campo della lotta letteraria. Ma anche nell’ambito letterario la vecchia fraseologia del periodo della restaurazione (si tratta, precisa Engels in una nota all’edizione inglese del 1888, della restaurazione francese del 1814-1830, non di quella inglese del 1660-1689), era diventata cosa insostenibile. Per crearsi delle simpatie l’aristocrazia doveva ben darsi l’apparenza di perder di vistai suoi propri interessi, formulando i suoi atti d’accusa contro la borghesia solo in difesa della sfruttata classe degli operai. Si procurava così il piacere d’intonare dei canti ingiuriosi contro i suoi nuovi padroni, sussurrando loro negli orecchi delle profezie di più che sinistro augurio.
Per questa via nacque il socialismo feudale, che è per metà geremiade e per metà pasquinata, parte è eco del passato e parte è paurosa minaccia del futuro, e poi al tempo stesso ferisce proprio al cuore la borghesia per via d’una critica mordace ed ingegnosa, ma rimane sempre di effetto comico per la sua assoluta incapacità a comprendere l’andamento della storia moderna.
Per raccogliere e trarsi dietro il popolo cotesti signori inalberarono a guisa di bandiera la bisaccia del proletariato mendicante. Ma quelli che si provavano a seguirli li videro per di dietro adorni dei vecchi blasoni feudali e si dispersero dando in uno scoppio di rumorose e irriverenti risate (Immagine tratta dalla satira Germania, di Heinridr Heine – 1797-1856).
Una parte dei legittimisti francesi e la giovane Inghilterra dettero questo allegro spettacolo (Legittimisti erano per lo più aristocratici latifondisti fautori della dinastia dei Borbone. La Giovane Inghilterra venne creata nel 1842 da alcuni membri del partito conservatore (tory), tra cui fanno spicco Disraeli, Thomas Carlyle (1795-1881) e Lord Ashley. Il primo – futuro braccio destro della regina Vittoria -, tipico rappresentante della politica imperialistica inglese aveva pubblicato nel  1845 un romanzo, Sybil o Due Nazioni, in cui rimpiangeva l’antica unione tra popolo e signore feudale di contro all’attuale antagonismo tra le due “nazioni” di ricchi e di poveri. Del Carlyle si ricorda, a questo proposito significativi, Cartismo, del 2841, e Passato e Presente del 1842. Lord Ashley, conosciuto anche come conte di Shaftesbury, era stato il promotore del famoso bill delle dieci ore).
Quando cotesti campioni della feudalità dimostrano che il modo di sfruttare dei feudatari era diverso da quello dei borghesi, essi dimenticano che quel modo di sfruttare si esercitava in condizioni e circostanze affatto diverse, ed ora del tutto superate. Quando notano, che sotto al loro regime non esisteva il proletariato moderno, dimenticano di osservare che la borghesia è un necessario derivato appunto di quello che fu il loro ordinamento sociale.
Del resto usano così poco di nascondere il carattere reazionario della loro critica, che il loro principale capo d’accusa contro la borghesia è appunto questo, che sotto il suo dominio si va sviluppando una classe, che manderà in aria tutto I’ordine sociale esistente.
Muovono rimprovero alla borghesia, non d’aver prodotto un proletariato in genere, ma d’aver prodotto un proletariato rivoluzionario.
In pratica pigliano parte attiva politica a tutte le misure violente contro la classe operaia, e nella vita di tutti i giorni, ad onta della lor gonfia fraseologia, s’accomodano a raccogliere gli aurei pomi, e a barattare mercantilmente tutta la cavalleria della fede, dell’amore e dell’onore con la lana di pecora, con la barbabietola e con l’acquavite.
Come preti e signori feudali si accompagnarono sempre in passato, così accade ora del socialismo clericale e di quello feudale.
Non c’è cosa più facile del dare un po’ d’intonaco socialistico all’ascetismo cristiano. Non si è forse espresso il cristianesimo contro la proprietà privata, contro il matrimonio e contro lo stato? E non ha esso predicato i sostitutivi della carità, del mendicare, del celibato, della mortificazione della carne, della vita monastica e della chiesa?
Il socialismo cristiano non è se non l’acqua benedetta con la quale il prete consacra il rancore degli aristocratici.
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B. Il Socialismo piccolo-borghese
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L’aristocrazia feudale non è la sola classe andata in rovina per opera della borghesia; e non è quella le cui condizioni di vita sole vengano a deperire, e spariscano, in seno alla moderna società borghese.
Nei piccoli borghesi del Medio-Evo e nei contadini piccoli possidenti erano come i precursori della borghesia moderna. Nei paesi, nei quali il commercio e l’industria son poco sviluppati, cotesta classe continua a vegetare, a canto alla borghesia che sviluppasi in grandezza.
Nei paesi, nei quali la civiltà moderna è fiorente, si è formata una nuova piccola borghesia, che di continuo oscilla fra il proletariato e la borghesia, e come parte complementare della società borghese si va sempre di nuovo rifacendo. Gli individui che la compongono vengono di continuo ricacciati dalla concorrenza giù tra le fila del proletariato, e vengono appressarsi il momento nel quale per effetto dello sviluppo della grande industria dovranno del tutto sparire come parte indipendente della società moderna, e saranno surrogati, così nel commercio e nella manifattura, come nell’agricoltura, dai fattori, agenti e garzoni. (Si intende con ciò, in senso lato, la piccola borghesia impiegatizia).
Nei paesi nei quali, come in Francia, la classe dei contadini costituisce più della metà della popolazione, era naturale che quegli scrittori i quali scendevano in campo in favore del proletariato e contro la borghesia, usassero nella loro critica del regime borghese la stregua del piccolo borghese e del piccolo possidente contadino, e che pigliassero partito per gli operai da un punto di vista piccolo borghese. Così si venne formando il socialismo piccolo-borghese. Sismondi è il capo di cotesta letteratura, così per l’Inghilterra, come per la Francia.
Cotesto socialismo analizzò con grande acume le contraddizioni che sono inerenti ai rapporti moderni della produzione. Mise a nudo la ipocrisia, che è in fondo alle ottimistiche esposizioni degli Economisti. Dimostrò in modo irrefutabile gli effetti deleteri delle macchine e della divisione del lavoro, e poi la concentrazione dei capitali e della proprietà fondiaria, la sovrapproduzione, le crisi, la inevitabile sparizione dei piccoli borghesi e dei piccoli possidenti, la miseria del proletariato, la anarchia nella produzione, le stridenti sproporzioni nella distribuzione della ricchezza, la guerra industriale fra le nazioni portata fino allo sterminio, la dissoluzione degli antichi costumi, degli antichi rapporti familiari, delle nazionalità antiche.
Ma quanto al contenuto positivo di ciò che vuole cotesto socialismo, o mira a ristabilire gli antichi mezzi di produzione e di scambio, e con essi gli antichi rapporti di proprietà e di società antica, o pensa di far rientrare per forza i mezzi moderni della produzione e dello scambio nel ristretto quadro degli antichi rapporti di proprietà, che quei mezzi appunto spezzarono, e dovevano spezzare! In tutti due i casi esso è al tempo stesso reazionario ed utopistico.
Per la manifattura la corporazione, per l’agricoltura le condizioni patriarcali: ecco la sua ultima parola.
Da ultimo, e ossia alla fine del suo svolgimento, cotesta tendenza mette capo nella prostrazione mentale di chi abbia un triste incubo.
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C. Il socialismo tedesco, ossia il Socialismo “vero”
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La letteratura socialistica e comunistica della Francia, che nacque sotto la pressione di una borghesia dominante, e quale espressione letteraria appunto di una effettiva lotta contro di quella signoria, incominciò ad avere diffusione in Germania proprio nel momento nel quale la borghesia incominciava a lottare con l’assolutismo feudale.
Dei filosofi tedeschi, dei semifilosofi e dei bellimbusti dell’amena coltura s’impadronirono avidamente di cotesta letteratura, dimenticando solo questo, che mentre immigravano di Francia in Germania cotesti scritti, non perciò immigravano dall’un paese all’altro le condizioni di vita propriamente francesi. Per rispetto alle condizioni tedesche quegli scritti francesi vennero a perdere ogni immediato carattere pratico, e assunsero l’aria di una pura e semplice manifestazione polemico-letteraria. Quegli scritti furono intesi come una oziosa speculazione sulla realizzazione della vera natura umana. Così era un’altra volta accaduto, quando nel secolo diciottesimo i filosofi tedeschi ridussero i postulati della rivoluzione francese a semplici esigenze della ragion pratica  (in riferimento alla Critica della ragion pratica di Immanuel Kant – 1724-1804), in universale, e interpretarono la volontà effettiva della borghesia francese come le leggi del volere puro, del volere quale esso dev’essere, del vero volere umano.
Il vero e proprio lavoro di cotesti letterati tedeschi consistette soltanto in questo, che essi cioè procurarono di mettere in accordo le nuove idee francesi con la loro antecedente coscienza filosofica, e ossia, a dir meglio, s’impegnarono di appropriarsi le nuove idee dal loro punto di vista filosofico.
Cotesta appropriazione s’andò compiendo a quel medesimo modo nel quale in generale si giunge ad appropriarsi una lingua straniera… e ossia traducendo.
Gli è noto in che modo i monaci del Medio-Evo usassero di raschiare i manoscritti contenenti le classiche scritture del mondo pagano antico, per poi scrivervi novellamente su le assurde leggende dei santi cattolici.
I letterati tedeschi operarono in senso inverso nel maneggiare cotesti profani scritti francesi. Essi fecero scivolare la loro insensataggine su l’originale francese, e ve l’appiccicarono. Là dove, per esempio, la critica francese si aggira su i rapporti e su le funzioni della moneta, essi scrivono “alienazione della natura umana”, e là dove la critica francese concerne lo stato borghese, essi scrivono “abolizione del dominio dell’universale astratto”.
Coteste viziate sostituzioni della fraseologia filosofica agli svolgimenti critici dei francesi, furono dagli autori stessi battezzate per “filosofia dell’azione”, per “socialismo vero“, per “scienza tedesca del socialismo”, per “dimostrazione filosofica del socialismo”.
Per questa via la letteratura francese socialistico-comunistica rimase evirata. E come essa cessava, in mano ai tedeschi, di esprimere la lotta di una classe contro di un’altra, così a ragione i tedeschi si vantano di aver superata “la unilateralità francese” e di rappresentare invece dei bisogni veri il bisogno della verità, e in cambio degli interessi del proletariato quelli della natura umana, dell’uomo in generale, dell’uomo che non appartiene a nessuna classe, e anzi non appartiene punto alla realtà, ma solo al vaporoso cielo della fantasia filosofica. Questo socialismo tedesco, che pigliava così solennemente sul serio le sue goffe esercitazioni da scolaro, e ne menava vanto all’uso dei ciarlatani, andò poco per volta e via via perdendo la sua innocenza da pedanti.
La lotta della borghesia contro la feudalità e contro la monarchia assoluta, e ossia, in una parola, il movimento liberale, s’andò facendo più serio in Germania, e specie in Prussia.
Il socialismo “vero” ebbe così la fortunata occasione di contrapporre al movimento politico le rivendicazioni socialistiche, e di lanciare i già noti anatemi contro il liberalismo, contro lo stato rappresentativo, contro la concorrenza borghese, e così di seguito contro tutte le altre cose borghesi, libertà di stampa, diritto comune, libertà in genere, eguaglianza, e di andar predicando al popolo come esso per tal movimento borghese abbia tutto da perdere e nulla da guadagnare. Molto a proposito il socialismo tedesco seppe dimenticare, come quella critica francese, di cui esso era una misera eco, supponesse come esistente di fatto la società borghese moderna con le sue materiali condizioni di vita, e con la congrua costituzione politica; presupposti cotesti a raggiungere i quali occorreva in Germania di lottare ancora come per una conquista.
I governi assoluti di Germania, con tutto il loro codazzo di preti, di maestri di scuola, di nobiluzzi rurali e di burocratici si giovarono di tale socialismo come di spauracchio contro la borghesia, che si levava minacciosa.
Quel socialismo fu come il dolce complemento alle amare sferzate e fucilate con le quali i governi tedeschi hanno trattato le sommosse degli operai. (Ci si riferisce alle insurrezioni degli operai dell’industria tessile avvenute in Boemia e Slesia nella primavera del 1844).
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Questo socialismo “vero” mentre diventava un’arma dei governi contro la borghesia tedesca, rappresentava anche direttamente un interesse reazionario, e cioè quello dei piccoli borghesi, che così come furono tramandati dal secolo sedicesimo, e così come da quel tempo in poi sono sempre riapparsi in nuove forme, costituiscono il vero e proprio fondamento sociale delle presenti condizioni della Germania.
Conservare la piccola borghesia gli è come conservare il presente assetto sociale tedesco. Questa piccola borghesia vede nel dominio della borghesia politica ed industriale la sua sicura rovina, e ciò per due ragioni: da una parte per la concentrazione del capitale, e da un’altra parte per il venir su di un proletariato rivoluzionario. Il socialismo “vero” le parve mezzo sicuro per ovviare d’un colpo ai due pericoli. E quello si diffuse come un’epidemia.
Quella veste intessuta di ragnatela speculativa, ricamata di fiori di pomposa retorica, satura di rugiada sentimentale, quella veste si direbbe quasi trascendentale, della quale i socialisti tedeschi ricopersero quel po’ di loro “verità eterne” ischeletrite, valse ad aumentare lo spaccio della merce in mezzo a cotale pubblico.
E dal canto suo questo socialismo tedesco andò via via riconoscendo la sua propria missione, che è quella di rappresentare in stile pomposo gli interessi della piccola borghesia.
Elevò al grado di nazione normale la nazione tedesca, e fece del piccolo borghese tedesco I’uomo normale. A tutte le bassezze delle quali questo uomo normale è capace dette una significazione occulta, superiore, socialistica, in guisa che appaiono tutto il contrario di quel che sono. Venne alle sue ultime conseguenze col mettersi contro alle tendenze “brutalmente distruttive” del comunismo, e col proclamarsi imparzialmente superiore alle lotte di classe. Tranne poche eccezioni, tutto ciò che circola in Germania di scritti socialistici e comunistici rientra in codesta letteratura sudicia e snervante.
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2. Il Socialismo conservativo, ossia dei borghesi

Una parte della borghesia cerca di portar rimedio ai mali sociali, per mettere in sicuro l’esistenza della società borghese.
Entrano in cotesta categoria degli economisti, dei filantropi, degli umanitari, dei miglioratori della sorte delle classi operaie, gli organizzatori della beneficenza, i protettori degli animali, i fondatori dei circoli di temperanza, e tutta la variopinta genia dei minuti riformatori. E codesto socialismo borghese è stato per fino ridotto nella forma del sistema bello e compiuto.
Citiamo ad esempio la Philosophie de lo Misère di Proudhon.
I socialisti borghesi vogliono le condizioni di vita della società moderna, senza i danni e le lotte che da essa inevitabilmente derivano. Vogliono la società attuale, sottrazione fattane degli elementi che la rivoluzionano e dissolvono. Vogliono la borghesia senza il proletariato. La borghesia, come è ben naturale, si rappresenta il mondo, nel quale essa domina, come l’ottimo dei mondi possibili. Il socialismo borghese elabora cotesta confortante immagine nella forma di un sistema, o di un quasi-sistema. Invitando il proletariato a realizzare i suoi sistemi, e ad entrare nella nuova Gerusalemme, esso non intende se non di impegnare i proletari a starsene in questa società attuale, ma rinunciando alle odiose opinioni che di essa si van facendo.
Una seconda forma di questo socialismo, che è meno sistematica ma è di certo più pratica, cerca d’ispirare nella classe operaia il disgusto di ogni movimento rivoluzionario, procurando di provare, come non questa o quella mutazione politica, ma solo la mutazione delle condizioni materiali, e ossia dei rapporti economici, possa tornarle di giovamento.
Ma sotto al nome di mutazione dei rapporti materiali della vita cotesto socialismo non intende già, e in nessun modo, l’abolizione dei rapporti borghesi della produzione, il che non può aver luogo se non per le vie rivoluzionarie, ma intende solo delle riforme amministrative eseguite sul terreno stesso dei presenti rapporti della produzione, le quali per ciò nulla cambiano nei rapporti fra capitale e lavoro, e che nel caso più favorevole rendono meno costoso alla borghesia l’esercizio del potere, e semplificano l’assetto della sua finanza.
Tale socialismo borghese non raggiunge la sua vera espressione se non quando diviene una mera figura retorica.
Libero scambio! e nell’interesse della classe lavoratrice; dazi protettori! e nell’interesse dei lavoratori; carcere cellulare! e nell’interesse degli operai: ecco l’ultima parola del socialismo borghese, e la sola pensata e detta sul serio.
Perché il socialismo della borghesia consiste appunto in questo enunciato: che i borghesi sono borghesi nell’interesse dei lavoratori.
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3.Il Socialismo e il Comunismo critico-utopici

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Non intendiamo qui di discorrere di quella letteratura, che in tutte le grandi rivoluzioni moderne si fece rappresentante delle esigenze del proletariato. (Gli scritti di Babeuf e simili.)
I primi tentativi fatti dal proletariato, per dar prevalenza ai suoi propri interessi di classe, in tempi di generale effervescenza e mentre precipitava la società feudale, dovevano di necessità fallire, e così per la condizione poco sviluppata del proletariato stesso, come per la mancanza di quelle condizioni materiali della sua emancipazione, le quali non sono se non un risultato della epoca borghese. La letteratura rivoluzionaria, che accompagnava questi primi movimenti del proletariato, è nel suo contenuto di necessità reazionaria. Essa preconizza un ascetismo generale e una rozza tendenza a tutto agguagliare.
I veri e propri sistemi socialistici e comunistici, i sistemi di Saint- Simon, Fourier, Owen, ecc., appaiono in quel primo e poco sviluppato periodo della lotta fra il proletariato e la borghesia, che abbiamo tratteggiato di sopra
I ritrovatori di tali sistemi riconoscono la opposizione delle classi, e anche l’azione dell’elemento dissolvente nella società dominante. Ma non scorgono dalla parte del proletariato nessuna azione storica, nessun movimento politico che gli sia proprio.
E poiché lo sviluppo dell’antagonismo di classe va di pari passo con lo sviluppo dell’industria, gli autori di quei sistemi, non trovando già belle e date le condizioni materiali per la emancipazione del proletariato, si mettono in cerca di una scienza sociale, o di certe leggi sociali, come per creare quelle condizioni che non esistono ancora.
La loro personale attività inventiva deve tenere il posto dell’attività sociale, delle condizioni fantastiche devono essere sostituite alle condizioni storiche della emancipazione, a quella organizzazione del proletariato in classe, che si forma poco per volta, vien surrogata una organizzazione della società tutta nuova di sana pianta. La storia del mondo di là da venire si risolve per essi nella propaganda e nella messa in azione dei loro piani sociali.
Sanno sì di rappresentare nei loro disegni gli interessi delle classi dei lavoratori, in quanto sono le classi di quelli che soffrono; ma il proletariato non esiste per essi se non sotto questo punto di vista della classe dei sofferenti.
Ma, come è naturale in uno stadio di poco sviluppo della lotta di classe, e data la condizione sociale di cotesti autori, accade che essi si credano come superiori a tutti i contrasti di classe. Essi vogliono migliorare la situazione di tutti i membri della società, compresa quella delle persone che vivono nelle condizioni più vantaggiose. Per ciò richiamano di continuo all’intera società senza far differenze, e anzi si appoggiano principalmente alla classe dominante. Poiché in fondo basta di aver capito il loro sistema per riconoscerlo come il miglior disegno fra tutti i possibili della miglior serietà fra tutte le possibili.
Rigettano qualsiasi azione politica, e segnatamente ogni azione rivoluzionaria; mirano a raggiungere i loro intenti per le vie pacifiche; e cercano di aprire la via al nuovo vangelo sociale per mezzo di piccoli esperimenti, che secondo l’opinione loro dovrebbero avere forza e valore di esempio, ma che in fatti, com’è naturale, falliscono.
La descrizione fantastica della società futura nasce quando il proletariato è ancor troppo poco sviluppato; cosicché esso si rappresenta appunto in modo fantastico la sua stessa situazione, secondo l’impulso primo verso una totale trasformazione della società, il quale impulso è accompagnato da vaghi presentimenti.
Cotesti scritti socialistici e comunistici contengono anche molti elementi critici. Essi attaccano tutti i fondamenti della società esistente.
Perciò hanno offerto del materiale di grande valore per illuminare gli operai. I loro enunciati positivi su la società futura, e per l’abolizione del contrasto fra città e campagna, l’abolizione della famiglia, del profitto privato, del salariato, e poi l’annuncio dell’armonia sociale, e la trasformazione dello stato in una semplice amministrazione della produzione – tutti cotesti enunciati non esprimono che lo sparire dell’antagonismo di classe, di quell’antagonismo che comincia appena a precisarsi nel suo sviluppo, e del quale gli autori di quei sistemi hanno notizia solo nelle sue prime forme indistinte e indeterminate. Per ciò quegli enunciati hanno ancora un senso puramente utopistico.
L’importanza di codesto socialismo e di codesto comunismo utopistico è in ragione inversa al fatto dello sviluppo storico. A misura che la lotta di classe svolge e si precisa, codesto fantastico disegno della lotta,
cotesta fantastica opposizione alla lotta, perde ogni valore pratico ed ogni giustificazione teorica. Gli è per ciò, che, mentre gli autori di questi sistemi erano per molti rispetti dei rivoluzionari, i loro scolari formano sempre delle sette reazionarie. Questi scolari tengono fermo alle opinioni dei maestri anche in opposizione allo sviluppo storico del proletariato, e cercano in conseguenza di smussare il contrasto di classe, e di conciliare gli antagonismi. Sognano sempre la realizzazione sperimentale delle loro utopie sociali, e cioè di stabilire falansteri (erano così chiamati i “palazzi sociali” ideati da Fourier), di creare colonie-domestiche (“Home-Colonies” chiamava Owens le sue società modello di tipo comunistico), e di edificare una piccola Icaria (il fantastico paese utopistico le cui istituzioni comuniste furono descritte  da Cabet) – rifacimento minuscolo della nuova Gerusalemme! – e per ostruire cotesti castelli in aria devono fare appello alla filantropia dei cuori e delle tasche borghesi. Poco per volta discendono nella categoria dei socialisti conservatori e reazionari da noi descritti più sopra, e da quelli si distinguono solo per una più sistematica pedanteria, e per la fede da fanatici e da superstiziosi che ripongono nell’azione miracolosa della loro scienza sociale.
Si levano quindi accanitamente contro qualunque movimento politico dei lavoratori, stimando che in quel movimento si riveli una cieca incredulità rispetto al nuovo vangelo.
Così ora si vede che gli Owenisti reagiscono in Inghilterra contro i Cartisti, e i Fourieristi reagiscono in Francia contro i Riformistiti (sono i radicali repubblicani francesi che facevano capo al giornale La Réforme).
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NB  Traduzione di Antonio Labriola
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