CARBONERIA E MASSONERIA

I CARBONARI

Non si sa in quale anno la Carboneria abbia cominciato a svolgere la sua attività nel Mezzogiorno (a Nord essa si diffuse in epoca più tarda), né si hanno notizie precise sulle sue origini. La tesi più comunemente accettata vuole che essa derivi dai Bons Charbonniers, una setta segreta nata in Francia ancor prima della rivoluzione francese: il tramite fra le due sette sarebbe stato costituito da settari francesi venuti in Italia con le truppe napoleoniche.

Anche il luogo in cui essa mise le prime radici è incerto e si è parlato della Basilicata e della Calabria.
Nella prima edizione della sua opera su Murat Angela Valente mise infatti in rilievo alcuni documenti, dai quali si poteva congetturare l’esistenza in Basilicata, già nel 1807, di gruppi carbonari. Quei documenti furono giudicati apocrifi da Nino Cortese, che li ritenne redatti in epoca certamente più tarda, ma nella nuova edizione del suo lavoro, pubblicata più tardi, la Valente è ritornata sull’argomento, ribadendo la sua tesi.
Quanto alla Calabria,l’apparizione in essa dei primi nuclei carbonari viene collegata con l’attività che svolse in quella regione il francese J. P. Briot. Il Briot aveva tatto parte, appunto, della società dei bons cousins charbonniers ed aveva svolto attività cospirativa. In Italia aveva favorito all’isola d’Elba la fondazione di una loggia massonica e pare che anche dopo essere giunto in Calabria abbia continuato ad occuparsi di attività segrete, giacché in una lettera del 1808 chiese a sua moglie di inviargli i suoi incartamenti massonici.
Se non ci sono prove sicure che sia stato proprio il Briot a diffondere in Italia le idee dei bons charbonniersè però molto probabile che alla diffusione della Carboneria abbiano contribuito, in una misura che è difficile stabilire, settari francesi (e si potrebbe ricordare, a questo proposito, che anche il movimento giacobino fu favorito dagli elementi democratici che appartenevano alle truppe francesi scese in Italia).
In realtà i legami tra i settari di stati diversi furono sempre assai forti, ed anche molto complessi ed intrecciati. Ciò non significa però che la Carboneria sia stata trapiantata in Italia dall’esterno. Essa infatti, per l’ampiezza che assunse e per la stretta aderenza che vi fu tra i suoi obbiettivi politici e la situazione italiana, ed in particolare meridionale, può essere considerata come un movimento che ebbe radici assai profonde nella società italiana della Restaurazione, e soprattutto in quella del Mezzogiorno.
.     
Il problema del rapporto tra la Carboneria e le altre società segrete, sia del suo tempo sia degli anni precedenti, va perciò impostato in una prospettiva assai vasta. Della Carboneria vennero certamente a far parte uomini che avevano già svolto attività settaria in altre organizzazioni, e che portarono ad essa il contributo della loro esperienza cospirativa e fecero sentire ai gruppi carbonari l’influenza di alte ideologie.
Ma non si deve dimenticare che la diffusione della Carboneria in Italia era stata preceduta dalla rivoluzione francese e che anche in Italia c’era stato un periodo in cui era stato possibile dare una certa diffusione a quei concetti di libertà e di democrazia che, prima del 1789, erano stati affermati nel segreto delle sette.
I carbonari, in realtà, più che rifarsi alle idee massoniche, ripresero quelle che erano state ampiamente dibattute nel periodo rivoluzionario e che, proprio per questa ragione, non erano più patrimonio soltanto di ristretti gruppi intellettuali, ma erano ampiamente conosciute anche dal popolo.
Fu proprio l’opera di propaganda svolta da giacobini e repubblicani a dare, più tardi, alla propaganda carbonara la possibilità di una profonda penetrazione e di una larga diffusione.
Non si può comprendere il carattere di massa assunto dal movimento carbonaro nel 1820-1827 senza tener presente il fatto che esso operò, per quanto riguarda le richieste di libertà e democrazia, su un terreno che era stato già ampiamente dissodato e seminato.
.     

Carboneria e Massoneria

Certo, con la Massoneria, e soprattutto con quella di rito scozzese, la Carboneria ebbe qualche debito; anche di rilievo, sia per quanto riguarda l’organizzazione settaria, sia per quanto riguarda alcuni aspetti ideologici. Sulle somiglianze e differenze tra Carboneria e Massoneria, uno storico delle società segrete, Angelo Ottolini, osservò:
.     
“Le due associazioni non furono rivali: l’una però lasciava libertà di coscienza, era piuttosto razionalista, dottrinaria, universale e chiusa ai ceti popolari; l’altra non solo non faceva questione religiosa, ma si rivolgeva a persone d’ogni qualità e ceto principalmente della classe borghese, favoriva e assecondava il sentimento religioso e, mirando al miglioramento della classe, infondeva principi di libertà e d’indipendenza. Mentre gli associati alla Massoneria si consideravano fra loro ‘fratelli’ e con questo nome si chiamavano e si riconoscevano, gli associati alla Carboneria si dicevano ‘buoni cugini’. I Massoni si riunivano nelle ‘ logge’, i Carbonari nelle ‘ vendite’; il luogo materiale di riunione dei Massoni dicevasi ‘tempio’, quello dei Carbonari ‘baracca’; ‘profani’ dicevansi gli estranei alla congrega massonica, ‘pagani ‘gli estranei alla Carboneria. La Massoneria rendeva omaggio al ‘ Grande Architetto dell’Universo’ e la Carboneria ‘alla Gloria del Grande Maestro dell’Universo’. Le cerimonie erano identiche o quasi, così il linguaggio simbolico, i gradi, la disciplina. La Carboneria fu quindi una Massoneria di carattere eminentemente popolare con tendenze politiche nazionaliste e religiose. La sua dottrina era fondata sul Vangelo, su sentimenti mistici, umanitari e di patria, e per questo fu abbracciata anche da numerosi sacerdoti, i quali col loro prestigio concorrevano a far proseliti”.
.     
La chiara esposizione che l’Ottolini fa dei caratteri della Carboneria e della Massoneria va però integrata con alcune osservazioni. In primo luogo va ricordato che è assai difficile dare per la Carboneria una definizione che sia valida per tutti i tempi e per tutte le regioni. Essa infatti fu un movimento complesso che nel periodo francese ebbe aspetti diversi da quelli che assunse nel 1817 o nel 1820-1821. E se in Romagna e soprattutto nel Mezzogiorno cercò di estendere la sua influenza fra le masse popolari, in Lombardia, invece, si diffuse soprattutto tra gruppi d’intellettuali.
Quanto alla religiosità carbonara, è difficile dire fino a che punto fosse sentita e fino a che punto, invece, il linguaggio religioso servisse soltanto come un efficace strumento per l’opera di penetrazione e diffusione della setta.
.     
La Carboneria, in realtà, pur rifacendosi ad alcuni aspetti razionalistici dell’ideologia massonica, non fece della ragione un mito, il motore immobile dell’opera civilizzatrice. La ragione per i massoni avrebbe dovuto distruggere gli effetti dell’ignoranza e della superstizioni, riportando gli uomini all’innocenza e bontà dei tempi antichi.
Nel rituale scozzese templare per il 29° grado era detto:
.     
“La giustizia e l’amore del bene regnarono nei tempi antichi fra gli uomini, ma la corruzione della morale, l’ignoranza, la superstizione e il fanatismo riuscirono finalmente ad allontanarli dalla loro società. Nacquero da ciò l’orgoglio, le vessazioni dei potenti, la schiavitù dei deboli, le ingiustizie, i delitti, gli assassinamenti, i massacri, le atrocità d’ogni genere, e tutti i vizi abominevoli che diffamano il genere umano. Rendere con tutti i mezzi possibili la Giustizia di nuovo trionfante fra gli uomini, vendicare i torti sofferti dai deboli, punire l’orgoglio e il dispotismo di coloro che abusano del loro potere, giudicare con severità inesorabile le loro colpe: ecco il grande e glorioso oggetto di questo grado”.
.     
Indubbiamente, parte di queste tesi confluì nella Carboneria. Ma per i massoni l’attuazione del programma indicato sopra avrebbe dovuto essere opera di pochi spiriti eletti, che sarebbero stati la guida di tutta l’umanità.
Nel grado 32°, ad esempio, sebbene si affermasse che la prima di tutte le leggi fu la legge agraria, cioè la sola che concretamente potesse spingere alla rivoluzione le masse contadine, si toglieva a questa affermazione ogni possibile valore democratico, giacché si sosteneva che il governo peggiore è “quello di molti” mentre il migliore è il governo “di pochi in cui hanno parte i soli veri sapienti”.
Si diceva che la virtù sarebbe stata premiata ed il vizio sarebbe stato punito solo “rendendo gli uomini eguali perfettamente”, ma si trattava di un’eguaglianza imposta dall’alto.
Un dato importante dell’attività carbonara sarebbe stato invece l’appello diretto alla borghesia ed anche agli strati popolati, la richiesta di una costituzione che avrebbe permesso la formazione di strutture politiche liberali, aperte ad un’evoluzione in senso democratico, cioè proprio quel “governo di molti”, che la Massoneria aveva respinto.
.     

Gli Illuminati

Tra le sette che diedero un contributo di idee e di uomini alla Carboneria occorre ricordare gli Illuminati di Adam Weishaupt. Il Weishaupt si fece iniziare alla Massoneria ma si convinse “che con gente di tale fatta ci fosse da combinare niente di buono, tanto che prese la risoluzione di dare vita ad una nuova società segreta, che si ponesse il duplice fine di avviare ‘gradualmente’ gli iniziati alle verità dell’idea egualitaria e che nello stesso tempo cercasse di prendere in mano le redini dello Stato onde realizzare dall’alto i postulati della loro dottrina”.
La setta degli Illuminati, sorta nel 1776, sebbene i suoi obbiettivi ultimi fossero assai più avanzati di quelli massonici non pensava però nemmeno essa ad un movimento dal basso, quale sarebbe stato quello organizzato dai carbonari, e le società segrete erano considerate il solo strumento di cui potesse servirsi l’umanità per la sua rigenerazione.
“Queste associazioni” era detto in uno scritto degli Illuminati fin dai tempi più antichi “costituirono gli archivi segreti della natura e dei diritti umani; mediante esse l’uomo si risolleverà; principi e nazioni scompariranno dalla terra, senza alcun ricorso alla violenza; I’umanità ritornerà ad essere un’unica famiglia e la terra sarà il soggiorno beato di uomini ragionevoli. Soltanto la morale introdurrà questi mutamenti, ma quasi insensibilmente. Ogni padre di famiglia sarà, come Io furono un tempo Abramo e gli altri patriarchi, sacerdote e signore assoluto della propria famiglia e la ragione l’unica legge degli uomini”.
Ma, pur con questi elementi di fiducia illuministica nella forza civilizzatrice della ragione, l’ideologia degli Illuminati, come si è già detto, fu assai avanzata per quanto riguardava il futuro assetto dell’umanità, ispirandosi ad idee egualitarie, e proprio per questo essi poterono influire sull’ala più democratica della Carboneria.
Anche i carbonari democratici vollero far scomparire i principi dalla terra e furono per la più completa eguaglianza. Ma il raggiungimento di questi obbiettivi non si sarebbe realizzato attraverso l’opera della ragione, ma con la concreta attività politica, svolta anche in direzione delle masse popolari.
.     
Si è detto sopra della difficoltà di trovare dei caratteri comuni alla Carboneria in tutti i luoghi ed in tutti i periodi in cui essa svolse la sua attività. Ciò non significa però che non possano essere individuati degli elementi tali da dare un’immagine chiara delle fondamentali differenze che vi furono tra la Carboneria e le altre sette.
Ha osservato il  Berti che “nella misura in cui una sintesi può essere tentata non v’è dubbio che la Carboneria fu essenzialmente un tentativo di ricupero dei ceti popolari da parte degli ex-giacobini, della intellettualità progressiva ed avanzata, tentativo che si estese contemporaneamente ai basso clero e alla bassa forza dell’esercito che erano stati i quadri naturali del massismo (il movimento di massa della Santafede) e che saranno anni dopo in larghissima parte i quadri dirigenti locali della Carboneria”.
Queste osservazioni mi sembrano valide per quanto riguarda la Carboneria degli anni che vanno dal 1817 al 1821.
Il Berti osserva ancora che la parte moderata della Carboneria si volse al popolo per evitare che esso si portasse su posizioni reazionarie, come era accaduto nel 1799, mentre la parte più avanzata si volse alle masse popolari, per portare anch’esse ad ideali di libertà e di democrazia. Ed anche questa osservazione mi sembra giusta.
.     

Il filone democratico

La “turba” carbonica, cioè la massa che avrebbe dovuto essere diretta dagli elementi carbonari nel momento della rivoluzione è un elemento nuovo nell’attività settaria, ed è tale da caratterizzare la Carboneria (o almeno l’ala più radicale), in senso democratico. La propaganda tra gli strati più poveri veniva svolta anche da sette collegate con la Carboneria o dirette da carbonari.
Il Maroncelli dichiarò a questo riguardo alla polizia austriaca:
.    .     
“Certo Amussi di Forlì, ora defunto, aveva concepito l’idea di affratellarsi con la gente del vulgo, onde ispirare alla stessa principi liberali conformi alla setta massonica che sola allora esisteva. In questo modo Forlì presenta una massa di gente numerosa imbevuta d’idee liberali, e la plebaglia che nelle altre città della Romagna non è che un complesso di briganti è in Forlì animata dei veri principi”.
.
Ma anche nella vera e propria Carboneria erano in realtà ampiamente presenti gli strati popolari, e, se la direzione del movimento restò nelle mani della borghesia, la presenza di artigiani, contadini e piccoli borghesi contribuì a portare la Carboneria su posizioni democratiche avanzate, quali sono, per esempio, quelle espresse nel “catechismo del terzo grado carbonaro” che fu sequestrato nel 1818 a Fratta Polesine, dopo la scoperta di una Vendita.
.      
Questa scoperta costituì il colpo più duro ricevuto dalla Carboneria nel Nord, prima delle repressioni del 1921. Nel processo che ne seguì furono inflitte tredici condanne a morte, poi commutate in pene detentive di varia entità.
Tra i condannati ci fu Fortunato Oroboni e proprio nelle sue carte fu scoperto il “catechismo” a cui ho accennato sopra, che rappresenta uno dei più importanti documenti dell’ideologia carbonica.
Ne ricordo anzitutto il giuramento: “Giuro odio eterno ai Tiranni; giuro di distruggerli sino all’ultimo rampollo con tutte le forze della mia mente e del mio braccio. Giuro di ristabilire il regno vero della Libertà e dell’Eguaglianza. Se manco a questo giuramento, se io mentisco e se manifesto questo grande segreto ai nostri B.C. inferiori ed ai Pagani, prego i miei B.G.M. a trafiggermi immediatamente ed a farmi subire le stesse pene che abbiamo fatto soffrire al Tiranno”.
.     
Venivano qui ripresi elementi dell’ideologia massonica, ma nel corso della cerimonia, la polemica contro la Massoneria si faceva esplicita, pur nella riaffermazione di una discendenza ideale.
.     
D – Chi siete voi?
R –  Il figlio primogenito dei Cavalieri Massoni.
D –  Che avete ereditato da essi?
R – Coraggio, costanza e perseveranza.
D – Quale fu l’oggetto di quelli illustri Cavalieri?
R – Di distruggere i governi opera della mano degli uomini e ristabilire una saggia Teocrazia sotto i loro auspici, esercitando essi il supremo sacerdozio.
D – Giunsero essi al termine dei loro travagli?
R – No, G.L. Ten., non vi giungeranno mai perché si sono associati ai troni e invece che questi servano ai loro progetti i Cavalieri Massoni servono alle loro mire.
D – Qual sorta di rispetto porterete voi dunque a questi nostri primogenitori dei quali dimostrate disistima?
R – Gli riguarderò come miei maestri nel maneggio delle armi, ma non li associerò alla mia intrapresa, se prima non divengano Carbonari”.
.     
Ma l’importanza di questo “catechismo” non è tanto in questa chiara precisazione dei rapporti tra Massoneria e Carboneria quanto nel fatto che esso rispecchia le tesi della parte più avanzata del movimento, per le decise affermazioni contro la proprietà privata, che vi sono contenute.
Rispondendo alla domanda “cosa farete per la causa della libertà?”, il carbonaro affermava: “favorirò con tutte le mie forze e a costo della mia vita la promulgazione e la esecuzione della Legge agraria, senza la quale non v’è libertà, poiché la proprietà particolare è un attentato contro i diritti del genere umano, cioè di ciascun individuo della gran famiglia”.
.     

Carboneria e contadini poveri

Ma fino a che punto queste posizioni spinsero i carbonari ad un’effettiva azione politica a favore dei contadini poveri?
La Carboneria poté operare apertamente soltanto negli otto mesi di governo costituzionale napoletano, ed è in questo periodo che occorre cercare una risposta a tale domanda. Durante quei mesi ci fu un solo movimento di occupazione di terre, nel distretto di Vallo, ma si trattò di un movimento piuttosto ampio e che ebbe una certa risonanza nell’opinione pubblica, giacché se ne discusse anche in parlamento.
Per qualche tempo sembrò che l’agitazione dovesse allargarsi ed anche ad Eboli, come scrisse l’intendente al ministro degli interni, serpeggiò “un’occulta voce di volersi dividere fra il Popolo i vasti terreni appartenenti a quella Comune”. L’intendente aggiunse che “in una Società Segreta fu proposto l’anarchico soggetto d’invadere i terreni suddetti; da qualche onesto cittadino fu combattuto, per cui l’affare rimase indeciso”.
Fatto ancora più significativo, alcuni deputati, tra cui Rosario Macchiaroli , alla cui attività settaria ho già accennato, appoggiarono i contadini e portarono sulle loro posizioni l’intero parlamento, che si oppose all’invio delle truppe di linea contro di essi.
La parte più avanzata della Carboneria, dunque, quando fu possibile ad essa svolgere un’aperta attività politica, cercò di dare un concreto contenuto alle affermazioni sulla “legge agraria” scritte nei “catechismi”.
.     
La definizione del Berti che ho ricordato sopra e che individua uno dei più importanti caratteri della Carboneria negli anni che vanno dal 1817 al 1821, cioè la ricerca di un legame con le masse, mi sembra invece meno valida per quanto riguarda il periodo napoleonico, in cui, come si è detto, apparvero nel Mezzogiorno i primi nuclei carbonari.
Durante il decennio francese l’atteggiamento della Carboneria fu oscillante ed incerto. Anche se con i napoleonidi molte illusioni sulle possibilità di uno sviluppo delle strutture politiche in senso liberale erano cadute, le trasformazioni economiche e sociali a cui esse avevano dato l’avvio, continuavano a tener desta nella borghesia la speranza di arrivare ad un più diretto esercizio del potere, senza correre il pericolo di una frattura rivoluzionaria e senza accostarsi ai Borboni.
.
.     

La Carboneria nel Napoletano

Nella misura in cui credettero possibile un certo sviluppo in senso costituzionale delle strutture politiche del regno, i primi gruppi carbonari ritennero possibile anche un accordo con Murat: si può dire in realtà, che la Carboneria subì in questo periodo gli stessi ondeggiamenti dell’opinione pubblica borghese.
Quei primi nuclei, d’altra parte, non avevano un’organizzazione centralizzata né una rigida, coerente ideologia, ma le loro aspirazioni andavano in sensi diversi e talvolta anche opposti. C’erano alcuni che ritenevano di poter ottenere da Murat le libertà costituzionali, mentre altri speravano che la Costituzione potesse esser concessa da Ferdinando, sia perché questi l’aveva già concessa ai siciliani, sia perché si aveva fiducia nell’influenza che gli alleati inglesi avrebbero potuto esercitare sul governo borbonico, spingendolo all’attuazione di una linea politica liberale.
Inoltre gli atteggiamenti dei carbonari variavano da luogo a luogo.
“Nelle diverse regioni” osserva la Valente “…la Carboneria assunse colorito diverso e programma diverso: prevalentemente borbonica nella Calabria, in cui erano frequenti e facili i rapporti con la vicina Sicilia, murattiana si dimostrò nella rivolta del 16 maggio a Maglie, nel Leccese, tanto che i rivoltosi carbonari assalirono le case dei Borbonici, e con forti infiltrazioni repubblicane negli Abruzzi…”.
Nel 1813, mentre Murat era in Germania, i carbonari antimurattisti si rafforzarono.
La crisi economica, dovuta soprattutto alle guerre che avevano chiuso quasi del tutto le vie all’esportazione, aveva provocato un forte malcontento nella popolazione, ed è a questa ragione, più che all’attività svolta dagli anglo-borbonici, che va riportato il diffondersi nella Carboneria di sentimenti antifrancesi. In realtà si andava facendo sempre più strada nella borghesia la consapevolezza che gli interessi del Napoletano non concordavano con quelli della Francia e che le guerre combattute per Napoleone non giovavano al regno.
A riprova di questa consapevolezza si può ricordare che, per trovare un rimedio alla diffusione delle idee carbonare nell’esercito, si affermò che “le truppe napoletane le quali etano in viaggio verso la Patria, d’ora innanzi sarebbero state adibite solo per la difesa e l’indipendenza della Paria”.
.     
Ma il malcontento antifrancese era assai forte e Murat, nell’ottobre 1813, decise di assumere un’aperta posizione di condanna della Carboneria.
In un suo ordine del giorno fu scritto: “Il re si è dichiarato gran maestro nell’ordine massonico, e ne sarà il protettore finché si comporteranno bene. Ma non saprebbe tollerare l’esistenza di queste logge di Carbonari composte di uomini senza morale, senza fede, infine di nemici del governo e della patria. In conseguenza il re ha ordinato di chiudere tutte le logge carbonare del Reame… “.
Questo atteggiamento di Murat significa che la Carboneria non poteva essere più controllata dal governo con l’infiltrazione di elementi ad esso fedeli o con l’attuazione di una politica paternalistica, giacché essa stava assumendo una più precisa fisionomia politica, di carattere liberale e patriotico (ma intendendo ancora Napoli per patria). E, ripeto, ciò non era accaduto per influenza della propaganda antiborbonica, ma perché la borghesia, rafforzatasi sul piano economico grazie alle riforme dei napoleonidi, si andava ponendo dei più chiari obbiettivi politici.
.  .       
Si comprende anche, perciò, come la Carboneria, nel 1815, abbia accolto con favore il ritorno di Ferdinando. Non si credeva possibile, dopo il decennio, un ritorno alla situazione che aveva preceduto il periodo francese e si pensava che, sia pure in modo cauto, il nuovo regime borbonico avrebbe assunto un atteggiamento liberale. Il re tornava a Napoli con un programma di riforme e pareva che non fosse ostile alla concessione di una costituzione.
La fine delle guerre napoleoniche sembrava aprire un periodo di pacifico sviluppo economico e si sperava che ad esso si sarebbe accompagnata la formazione di strutture politiche liberali.
.     
Con la Restaurazione cominciò invece per la Carboneria un periodo assai difficile. Il nuovo ministro di polizia, il Canosa, uno dei più intransigenti reazionari che la storia dell’Italia contemporanea ricordi, assunse verso la Carboneria e, più in generale, verso tutte le forze liberali, una posizione di estrema durezza. Il Canosa tentò di scagliare contro i carbonari la setta reazionaria dei Calderari ed il paese fu così portato alle soglie della guerra civile. La gravità, della situazione creata dal Canosa spinse i borbonici più moderati ad allontanarlo, ed il Medici poté così instaurare la politica della “amalgama”, che consisteva nel tentativo di operare un ravvicinamento tra borghesia e monarchia borbonica, concedendo una certa liberalizzazione delle strutture economiche, ma senza offrire nulla sul piano politico.
.     
Ma gli elementi più avanzati della Carboneria non si accontentarono di queste concessioni e quando, nel 1817, l’esercito austriaco si allontanò dal regno, diedero vita ad un’intensa attività cospirativa.
Nello stesso, 1817, alcuni settari, tra i quali c’erano Rosario Macchiaroli e Girolamo Arcovito, che sarebbero stati tra i più illustri deputati eletti nel parlamento del 1820-1821, cercarono di istituire solidi legami cospirativi tra Napoli e la provincia, per preparare un’insurrezione carbonara. Il superamento dell’esperienza giacobina si ebbe così non solo nel senso della ricerca di un più stretto rapporto con le masse, ma anche in quello della ricerca di un solido legame tra la capitale e la provincia, affinché si avesse una spinta rivoluzionaria unitaria, spinta che nel 1799 era mancata.
A questo proposito, anzi, si ebbe un mutamento profondo: nel 1799 infatti la campagna aveva costituito, in parte, una riserva della reazione; nel 1820-1821, invece, grazie all’attività delle forze carbonare, la provincia costituì l’ala avanzata del movimento.
.     

La rivoluzione del 1820

Dal 1817 al 1820 la propaganda carbonara mantenne il paese in uno stato di agitazione e di tensione, preparando il terreno alla vittoriosa rivoluzione del luglio 1820.
Tra i carbonari c’erano antichi giacobini, ma c’erano anche elementi nuovi e questi ultimi non furono tra i meno attivi. Va anche ricordato, e fortemente sottolineato, che i quadri del movimento carbonaro, in quegli anni, non furono dati solo dai possidenti, ma anche (ed in alcuni luoghi prevalentemente) da artigiani e da piccoli borghesi. Ampia fu la partecipazione della media e piccola borghesia agraria che risentiva fortemente gli effetti di una crisi economica provocata dalla caduta dei prezzi del grano, dovuta alla libera importazione, e che, in certi luoghi, non fu lontana dalle aspirazioni dei contadini.
Il 22 luglio 1820, l’intendente di Basilicata, a proposito del Senato che guidava la Carboneria lucana, scrisse al ministro degli interni:
“Nel timore di compromettersi con la Polizia, la quale non mancava de’ suoi Agenti, un gran numero di proprietari aveva ricusato di prendere una parte attiva nella riunione e ne’ travagli della Carboneria. Ciò aveva dato occasione a’ non possidenti, ed alle persone da nulla di mettersi in mezzo alle riunioni e farle servire a’ loro progetti: così il Senato si trova composto nella maggior parte di non proprietari, o di quelli di una mal sicura proprietà, i quali in conseguenza hanno un minimissimo interesse all’ordine pubblico, e possono molto sperar ne’ cangiamenti, e trovare il profitto nel disordine. Or che una tal classe di persone debba erigersi in rappresentanza della Provincia contro il voto pubblico è cosa la più strana, ed insieme la più pericolosa per la sua tranquillità”.
.     
In realtà la composizione sociale della parte più avanzata della Carboneria, il fatto che i carbonari della tendenza democratica non si preoccupavano tanto della difesa della proprietà quanto della conquista della libertà e della democrazia, spiega a sufficienza lo slancio impresso al movimento rivoluzionario nel 1820, movimento che, come è noto, ebbe inizio presso Nola con la rivolta di un gruppo di carbonari militanti nell’esercito, guidati da Morelli e Silvati (o Salvati) e che avevano stretto rapporti con Luigi Minichini.
La rivolta, che si estese rapidamente, portò alla conquista di una costituzione, l’obbiettivo più avanzato che si potesse raggiungere in quegli anni, nella situazione dell’Italia meridionale.
.     
Nei nove mesi di vita costituzionale, l’attività carbonara fu assai intensa ed anche complessa, perché i settari assunsero posizioni diverse, che andavano da quelle moderate dell’Alta Vendita napoletana a quelle più avanzate delle vendite salernitane e, in generale, della provincia.
Si ebbe anche un notevole afflusso di nuovi membri, per lo più di tendenze non radicali, che vedevano nella Carboneria uno strumento di rafforzamento delle proprie posizioni politiche; questo afflusso contribuì a portare il movimento, nel suo insieme, su posizioni prudenti e spiega perché le parole d’ordine lanciate dagli elementi più avanzati non sempre furono raccolte alla base.
Va ricordato anche che nel corso del periodo costituzionale si presentarono ai carbonari problemi organizzativi di tipo nuovo. Fu affermato in modo deciso, in alcune circolari, la necessità di mantenere solidi legami fra tutte le organizzazioni carbonare; si lamentò la negligenza di alcune vendite nell’inviare ” il quadro della loro forza carbonica”; si insistette per il regolare versamento delle quote; si sostenne l’importanza di una regolare convocazione delle assemblee; si chiese infine la rigida osservanza dei riti, come strumento di coesione interna.
 Alla Carboneria, insomma, nel regime di libertà, si posero problemi che vorrei chiamare “di partito”, più che di setta segreta.
Il fatto che essa ne abbia avuto coscienza ed abbia cercato di affrontarli mostra che la Carboneria aveva raggiunto nel Mezzogiorno una notevole capacità di azione politica, non solo nel campo cospirativo.
.     
Le vicende della Carboneria in quei mesi – i più importanti, a nostro parere, di tutta la storia del movimento carbonaro – sono state descritte dal Soriga in una pagina che è opportuno ricordare, per la precisa ed articolata analisi che egli ne traccia.
.     
“Il primo e più autorevole centro settario” scrive il Soriga “è quello di Salerno, che, rappresentando la provincia, pretendeva dirigere l’opera parlamentare secondo le sue particolari vedute, ispirate al più energico radicalismo. Quindi quello di Napoli, che mirava con l’appoggio del Parlamento, sua diretta emanazione, verso una politica moderatamente costituzionale. Da ultimo il partito militare che avendo conseguito il potere, tendeva ora a disfarsi della Carboneria, facendo rivivere il Grande Oriente di re Gioacchino, nell’intento di dominare le Vendite carboniche, mediante una sapiente infiltrazione di elementi massonici dirigenti. Conseguenza dell’attrito di queste tre frazioni, lo stato di anarchismo politico-morale in cui cadde il mondo settario del Regno, che determinò sulla fine del ’20 la fugace apparizione di tre Grandi Orienti massonici l’un contro l’altro armati, in cui vennero a rifugiarsi i capi più autorevoli del moto carbonaro, che ormai non potevano più dominare per la demagogia delle Vendite: il primo costituito dal Conte Zurlo e dai suoi amici politici, a tipo aristocratico, un altro, a tipo scozzese, che rappresentava la opposizione costituzionale democratico-borghese e un terzo a Salerno, costituito dai capi del carbonarismo locale”.
.     

 A questa pagina del Soriga vanno però aggiunte alcune considerazioni. Va osservato, anzitutto, che non è esatto parlare di “anarchismo politico-morale” e di “demagogia”, a proposito degli atteggiamenti più avanzati assunti dai gruppi carbonari. Nell’attività di alcuni di essi, nel fatto che cercarono di influire sulle decisioni del parlamento con manifestazioni popolari e con un più diretto appello alle masse, va visto il desiderio di stabilire un contatto permanente tra il popolo ed i dirigenti del movimento costituzionale. E non va nemmeno affermata un’opposizione recisa fra il parlamento ed i carbonari più avanzati, giacché questi ultimi avevano loro rappresentanti anche fra i deputati. Si può invece utilmente discorrere della divisione del movimento liberale in due schieramenti, uno moderato ed uno democratico, e fare rientrare in essi anche tutte le divisioni che vi furono nella Carboneria.

Luigi Minichini, nato a Nola nel 1783, fu una delle figure di maggior rilievo della rivoluzione napoletana del 1820-1821 e dell’intero movimento carbonaro. Nel 1817 era nella Carboneria e dal 1818 al 1820 svolse un’intensa attività, diretta soprattutto verso la borghesia e verso l’esercito. Ebbe una funzione di primo piano nei primi giorni della rivoluzione.
A proposito della sua attività durante il periodo costituzionale, il suo biografo (M. Manfredi, “Luigi Minichini e la Carboneria a Nola”, Firenze,1932), parla di demagogia, ma non ne dà nessuna prova convincente; egli stesso ricorda invece un intervento moderatore del Minichini, quando salvò gli ex-ministri Tommasi e Medici da una folla di carbonari.
Inviato più tardi in Sicilia si adoperò per l’unità tra liberali siciliani e napoletani e svolse attività carbonara (nelle “Decisioni della Gran Corte Speciale di Napoli, specialmente delegata da S.M., proferite contro dei rei contumaci, nella causa così detta di Monteforte”, Napoli, 1823, fu scritto: “Ammorbò quell’Isola del lezzo delle sue massime antisociali, ed irreligiose, istallando per dovunque delle vendite carboniche”).
Il governo, che si preoccupava della sua attività, lo richiamò a Napoli, dove, dopo la partenza del re per Lubiana, fu tra i più attivi nel tentare di mobilitare il popolo, affermando che la rivoluzione era stata tradita e che occorreva armare la popolazione.
Tentò di organizzare un corpo di volontari per la guerriglia e di promuovere movimenti insurrezionali nel porto.
In un proclama espose tesi assai radicali, analoghe a quelle di alcune sette neocarboniche sorte a Napoli dopo il 1820: “Bisogna… guardarsi da coloro che si fingono liberali e che sono intrusi nelle nostre unioni, e soprattutto da’ Ministeriali e da coloro che erano attaccati a’ Ministri arbitrari del quinquennio, i quali saranno sempre nemici , e a qualunque di loro simulazione non devesi prestar credito. Il primo passo che dovrà farsi sarà d’impossessarsi della famiglia reale, e massacrare tutti quelli che sono ad essa attaccati, mentre se questo fosse stato fatto da principio, non avremmo avuto a temere il disordine che ora ci è accaduto…
In esilio, a Barcellona, il Minichini s’incontrò con Maenza e Paladini, due carbonari della tendenza più radicale. In seguito fu in Inghilterra, in Francia e più tardi in America.
Morì a Filadelfia nel 1861.

.