GIOSUÈ CARDUCCI – Vita e opere

GIOSUÈ CARDUCCI

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Ormai le idealità di rinnovamento che avevano animato il Romanticismo italiano avevano perso ogni vigore; la Scapigliatura e il Verismo, che avevano rappresentato un tentativo di trasformazione culturale, avevano avuto breve durata. Alla fine del XIX secolo si andò sempre più affermando una nuova tendenza letteraria che, in reazione al Romanticismo, riproponeva la restaurazione dell’autorità dei classici italiani. Figlio di quest’epoca di transizione, di trapasso tra il vecchio e il nuovo, è Giosuè Carducci. Il poeta nacque a Valdicastello (Lucca) nel 1835; il padre era un medico condotto di simpatie carbonare che, per motivi di lavoro, soggiornò in varie località della Toscana. Giosuè lo segui con la famiglia, completò gli studi a Firenze e si laureò in lettere alla Scuola Normale di Pisa. Dedicatosi all’insegnamento, ben presto cominciò a pubblicare le prime poesie ma, a causa delle sue idee repubblicane, per tre anni fu sospeso dall’attività didattica. In seguito riprese ad insegnare; nel 1860, a soli venticinque anni, fu nominato professore di letteratura italiana all’università di Bologna. Qui lavorò fino al 1904, esercitando un magistero autorevole e prestigioso; tra i suoi allievi, molti divennero famosi, primo fra tutti Giovanni Pascoli.
Carducci dedicò tutta la sua vita all’insegnamento, all’attività critica e alla produzione poetica, scandita da numerose raccolte di versi. Colpito da diversi lutti (tra cui il suicidio del fratello e poi la morte del figlioletto Dante di appena tre anni), il poeta risiedette sempre nel capoluogo emiliano, ove nel 1878 ricevette la visita della regina Margherita e del re Umberto I. Questo avvenimento fece gridare allo scandalo i gruppi democratici e repubblicani, che l’accusarono di tradimento; tuttavia ormai in quell’epoca Carducci andava attenuando il suo spirito polemico, sia politico che letterario, e si era avvicinato alle idee monarchiche.
Nel 1906 ebbe, primo fra gli italiani, il premio Nobel per la letteratura; si spense a Bologna l’anno successivo, nel 1907.

Deluso dal sentimentalismo e dalle rievocazioni storiche in cui si era perso il Romanticismo, Carducci si propose di ripristinare i valori morali e civili esaltati da Alfieri, Foscolo e Leopardi. Credeva quindi nella necessità di ritornare al passato, perseguendo una via opposta a quella indicata dai veristi, che invece avevano preferito rivolgersi alla realtà presente, con tutti i suoi problemi.
La ripresa della lezione morale dei classici italiani e latini, insieme alla polemica antiromantica, caratterizza le prime due raccolte poetiche: Juvenilia e Levia Gravia (1868). Questi volumi, pur possedendo parti valide, mostrano le incertezze dell’esordiente, ma già preludono allo stile elaborato della maturità. Alla fase successiva, animata da ideali repubblicani e venata dall’anticlericalismo, appartiene la terza raccolta, Giambi ed Epòdi (1867-69). I versi sono pervasi dallo spirito polemico e dalla satira politica, uniti all’esaltazione dei valori di giustizia, di libertà e di popolo, visti come i motori della storia dell’umanità.
Le opere successive appartengono al periodo più equilibrato e maturo, ove il classicismo diviene armoniosa espressione dei sentimenti. Si tratta delle Rime nuove (1861-87) e delle Odi barbare (1877-89) che, attraverso un linguaggio più sereno e disteso, toccano i temi tipici della produzione carducciana. Tra questi spiccano il culto della storia, in cui aleggia la nostalgia per i momenti eroici del passato contrapposti alla delusione del presente; la rievocazione malinconica della fanciullezza e della giovinezza trascorse in Maremma, anche esse trasfigurate in visioni solari e piene di vita; l’attaccamento agi affetti familiari, mitigati dalla tristezza e dal pudore. Come poeta della storia Carducci raggiunge risultati di grande arte nei componimenti Il Comune rustico.., Il Parlamento.., Sui campi di Marengo.., Faida di Comune. Invece la vena più intima e lirica emerge nelle splendide poesie Traversando la Maremma toscana.., Davanti San Guido.., Idillio maremmano.., e Pianto antico.
Le due raccolte poetiche della maturità tentarono anche di proporre nuove soluzioni metriche, imitando la scansione dei versi dei Greci e dei Romani. Carducci cercò inutilmente di sostituire la metrica moderna, fondata sull’alternanza degli accenti (sistema accentuativo), con quella antica, che si basava sull’alternanza di durata nella pronuncia delle sillabe (sistema quantitativo). Perciò egli chiamò queste odi “barbare”, perché era consapevole che tali sarebbero apparse all’uomo antico e alla maggioranza degli italiani.
Nell’ultima raccolta, Rime e ritmi (1898), ritornano i temi della storia, dell’infanzia e degli affetti familiari, ma informe abbastanza ripetitive.
Pur conservando una notevole padronanza dei mezzi espressivi, il tono dei componimenti diviene più celebrativo e oratorio, raggiungendo talvolta l’enfasi nazionalistica.
Questo tipo di poesia a carattere propagandistico sarà successivamente ripreso e ampliato da D’Annunzio; la parte migliore della produzione carducciana è senza dubbio la precedente, ove il poeta esprime la sua ispirazione più autentica. Occorre infine precisare che Carducci viene considerato l’ultimo grande classicista, per la cura riposta nello stile e per il gusto delle immagini nitide, perfette. Alcuni componimenti (Visione.., Alla stazione in una
mattina d’autunno.., e Nevicata) per la suggestione dei versi e per la ricchezza dei simboli e delle sensazioni percettive, si avvicinano alle liriche del poeta francese Baudelaire, presagendo la futura poetica dell’età del Decadentismo.

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