IL CINEMA ITALIANO DEL DOPOGUERRA – LA RIPRESA

LA RIPRESA

A partire dal 1959 e per almeno un quinquennio, il cinema italiano ha una ripresa che gli consente di recuperare terreno, anche internazionalmente. Sono gli anni del boom economico, che investe anche il cinema i cui l’avvento della civiltà industriale offre evidentemente, per quanto riguarda i contenuti, ciò che aveva offerto alle altre arti. È chiaro, pero, che il cinema può far suoi i temi emergenti dalla modificata realtà sociale, a condizione di tener fede alla sua natura di spettacolo. Ben diversamente da un romanzo o da un quadro, il film ha bisogno di un pubblico vasto e deve necessariamente avere requisiti tali da garantirsi le platee.
Ma il segno dei tempi nuovi non tarda a manifestarsi; entra in crisi quel tipo di cinema “di cassetta” che negli anni ’50 puntava sulle dive, sulle ”maggiorate” fisiche; la stessa commedia “disimpegnata” cerca di rinnovarsi.

“Il processo di rinnovamento avviato tra il 1959 e il 1960 fu opera di alcuni registi isolati e diversi, ognuno dei quali aveva dietro di sé una storia personale ben definita. Il Rossellini, de’ Il generale della Rovere cercava di riprendere temi e modi del neorealismo epico; con la Grande guerra, Mario Monicelli rappresentava in chiave epico-grottesca un intenso momento di vita collettiva; Fellini sfrenava il suo temperamento barocco in un grande affresco di costume, La dolce vita; Rocco e i suoi fratelli, il melodramma moderno di Visconti, portava sullo schermo i grandi miti del sesso, della violenza, del sangue, sforzandosi di inserirli in una prospettiva di rinnovamento sociale; Antonioni con L’avventura e La notte adottava la via della provocazione intellettuale, sottilmente stilizzando le inquietudini dell’animo contemporaneo. Ognuno di questi film faceva parte per se stesso: nondimeno tutti partecipavano di una comune volontà fare del cinema lo strumento di uno spettacolare esame di coscienza collettivo; porgere alla nazione uno specchio in cui riconoscersi e giudicarsi. La lezione neorealista continuava dunque a operare, anzi esercitava una influenza determinante sulla rinascita del cinema italiano. Ma i film di questa seconda ondata neorealista rivelavano una differenza sostanziale rispetto ai grandi progenitori di un quindicennio avanti. Questi infatti nacquero da una volontà di infrangere i modi del Cinema Commerciale… le opere di cui ci occupiamo prendevano invece corpo all’interno del sistema produttivo industriale; erano finanziate dalle maggiori case italiane… Una serie di successi ridiede slancio all’industria cinematografica, incoraggiò e promosse la formazione di nuove personalità registiche, provocò lo spirito di emulazione in molti che ormai s’erano adagiati nella facilità del mestiere. Il cinema italiano conobbe una stagione feconda e felice (da Film 1964, di Vittorio Spinazzola, ed. Feltrinelli).”

È la stagione che sanziona, tra l’altro, la qualità di registi come Pontecorvo (Kapò), Vancini (La lunga notte del ’43), Zurlini (Estate violenta) e che, in particolare, vede l’ascesa a un ruolo di primissimo piano di Francesco Rosi. Questi, con Salvatore Giuliano e Le mani sulla città, dimostra come sia possibile produrre film rigorosamente impegnati sul piano del contenuto ma che non mortificano la loro funzione spettacolare.

Del resto, lo stesso Visconti si incaricava di esaltare il cinema realistico come spettacolo, con il suo Gattopardo. Tratto dall’omonimo e celebre romanzo di Tomasi di Lampedusa, il film otteneva un autentico trionfo commerciale e sollevava – come sempre accaduto per le opere di Visconti – consensi e critiche, queste ultime non ingiustificate (il Gattopardo è infatti da considerarsi opera minore, anche se contiene alcuni squarci, come le sequenze finali, in cui l’arte di Visconti prorompe irresistibile).

In maniera sobria, ma non meno esplicita, lo spettacolo era rispettato anche nei film di ricostruzione storica sui temi dell’antifascismo e della guerra, come Il processo di Verona di Carlo Lizzani, Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy, Il terrorista di De Bosio.

A contendere il primato del Gattopardo, era Fellini con il suo famoso 8 e mezzo.

Dotato di un talento spettacolare non inferiore a quello di Visconti, Fellini ha voluto opporre ai moduli del romanzo-fiume cinematografico il più interessante esperimento di supercolosso psicologico. Ma anche nel suo caso il risultato non è stato del tutto pari all’attesa.

In definitiva, da questo confronto tra i due grandi non veniva una risposta al quesito: realismo o non realismo. Entrambi avevano dato dimostrazione della vertiginosa raffinatezza delle rispettive tecniche, ma non avevano aggiunto nulla a quanto già si sapeva di loro. Questo periodo del cinema italiano si concludeva perciò con l’attivo, notevole, dei film di Rosi, e, in linea subordinata, con la rinascita della commedia satirica e di costume. Dino Risi si mostrava abilissimo confezionatore di satire d’attualita, con I mostri, La marcia su Roma e Il sorpasso, cogliendo, ben coadiuvato dalla bravura degli interpreti (da coppia TognazziGassmann per i primi due e il solo Gassmann per il terzo), vizi e virtù dell’italiano-medio e sottoponendoci a una quasi sempre graffiante caricatura.

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