LE ARTI TRA LE DUE GUERRE – Urbanistica, architettura, disegno industriale

Il modulor di Le Corbusier

LE ARTI TRA LE DUE GUERRE

Premessa

Al pari e forse più della letteratura, l’attività artistica, nel periodo tra le due guerre, si presenta ricchissima di idee e di opere, tanto da non poter essere ricondotta sotto un’unica definizione. Alcuni studiosi, comunque, adottano per questi anni, l’espressione di “epoca del funzionalismo” perché nelle arti (e nell’architettura in particolare) l’esigenza più avvertita sembra essere quella di operare in funzione della vita associata, della città, dell’ambiente che in essa si è formato.

Urbanistica, architettura, disegno industriale

La guerra aveva determinato un imponente sviluppo della tecnologia e dato impulso nuovo ai movimenti migratori verso le città. I problemi, già molto seri, di fronte ai quali si erano trovati gli urbanisti prima del conflitto, assumono ora, proporzioni macroscopiche. L’urbanistica che nella belle époque” appariva ancora come una scienza di “prospettiva”, si presenta, nel dopoguerra come un impegno da assolvere subito e su vari piani: tecnico-costruttivo, politico, igienico sanitario. L’architettura è subordinata alle linee della pianificazione urbanistica e quindi si deve esprimere col massimo della razionalità, rispettando esigenze di vario ordine: economia dei suoli, utilizzazione di una tecnologia industriale che punta sui prefabbricati (e quindi sulla standardizzazione) e che investe la produzione – già tipica dell’artigianato – degli oggetti attinenti alla vita d’ogni giorno, mobili, lampadari, stoviglie, ecc.

Questa necessità di razionalizzare è dunque il denominatore comune dei diversi orientamenti urbanistici e architettonici nella fase post-bellica. Francia, Germania, Olanda, Unione Sovietica, Paesi Scandinavi sono le nazioni in cui si affermano le “scuole” più prestigiose, dalle quali discende la moderna architettura. Vediamone sommariamente le caratteristiche.

La mano aperta di Chandigarh

Esponente del razionalismo urbanistico francese è Charles Edouard Jeanneret (1887-1965) universalmente famoso con lo pseudonimo di Le Corbusier, uno dei più grandi architetti e organizzatori di cultura del nostro tempo. L’idea da cui egli muove è che l’uomo deve essere la misura di tutto e su questa base definisce una formula architettonica che chiama “modulor”. L’edificio non disturberà l’aperta natura ponendosi come un blocco ermetico; la natura non si fermerà sulla soglia, entrerà nella casa intesa come volume librato su pilastri (‘pilotis’) in modo che sotto si circoli senza che il movimento della città venga interrotto dai blocchi massicci delle costruzioni né incanalato nei cunicoli soffocanti delle strade.

Tali concezioni saranno poi largamente seguite nella edilizia corrente e lo stesso Le Corbusier le applicherà nella progettazione dei piani urbanistici di molte città dell’Europa, del Sudamerica e della città indiana di Chandigarh (l’unica interamente realizzata). Tra le opere più stupefacenti del geniale architetto francese sono le “unità di abitazione” di Marsiglia, vere e proprie città-case.

Walter Gropius

Nella Germania tragicamente sconvolta dalla guerra e dalla disfatta, lacerata da duri conflitti sociali (e dove già le classi dirigenti e le caste militari pongono le premesse per un tentativo di rivincita), si fa strada tra gli intellettuali il bisogno di una rinascita ideale e culturale della nazione, nel quadro di una pacifica sua collocazione tra i popoli del mondo. Di questa ansia è interprete Walter Gropius (1883-1969) il quale parte dal presupposto che compito primario di un artista debba essere quello di formarsi e di insegnare. Con questa idea ben precisa (che cerca di legare, sul piano politico, alla ideologia socialdemocratica) fonda a Weimar una scuola, detta “Bauhaus” (Casa della costruzione) radunando attorno a sé pittori, scultori, architetti. Gropius tenta di stabilire, tra l’arte e l’industria, un rapporto razionale che investa tutti gli aspetti della produzione destinata al consumo individuale. Un unico principio costruttivo deve perciò guidare l’artista nel delineare la forma dell’ “oggetto” creato, sia esso una città o una poltrona. Nasce con la Bauhaus, il moderno concetto di disegno industriale, come opera funzionale a un ambiente già studiato nelle sue forme e dimensioni dai piani regolatori.

La Bauhaus esercitò – ed esercita tuttora — una influenza decisiva; autentica scuola d’arte essa ha legato il suo nome a molte delle forme che oggi ci sono abituali. Molti tipi di oggetti per la produzione industriale in serie che si sono poi largamente diffusi (per esempio i mobili in tubo metallico, i diffusori di luce, la nuova struttura della grafica pubblicitaria e dell’inpaginazione) sono nati dalle ricerche analitiche della Bauhaus. Si precisa e teorizza il principio della forma standard: fondamentale, dal punto di vista tecnico, per la produzione meccanica in serie e importantissimo, dal punto di vista sociologico, per l’accordo che implica, da parte della massa dei consumatori, circa la forma più’ appropriata e più standardizzata di certi oggetti” (1). ‘

A Gropius (1), cui si devono tra l’altro la costruzione nel 1923 a Dessau, della sede della Bauhaus, capolavoro dell’architettura funzionale, si affiancò un altro insigne artista, Ludwig Mies Van Der Rohe (1886-1969) famoso per le progettazioni di grattacieli, visti come involucri di vetro sostenuti da una struttura metallica. Deve essere, infine, citato colui che, uscito dalla Bauhaus, doveva affermarsi come il più grande disegnatore industriale (o, come si usa dire oggi, “designer“): Marcel Breuer (1902-1962). Si devono appunto a lui i diffusissimi mobili in tubi metallici, considerati come vere e proprie strutture architettoniche.

In Russia, la nuova architettura sovietica ha un preciso punto di riferimento nel progetto per il “Monumento alla 3a Internazionale” (1919) esempio di ciò che verrà definito “costruttivismo“. In breve, questa tendenza punta sul “mescolamento” di tutte le arti, architettura, scultura a grandi dimensioni, scenografia, pittura. Significativamente, proprio un architetto, pittore e grafico nello stesso tempo, ne fu il massimo esponente: El Lissitzky (1890-1941). Una audacissima geometria sta alla base della concezione architettonica e figurativa del “costruttivismo“, ad esaltazione della razionalità rivoluzionaria e ad immagine di una società proiettata nel futuro.

A partire dal 1917 si afferma, in Olanda, un movimento di avanguardia, detto “neo-plasticismo” (o “De Stijl“). Ideologia di questa corrente è il rifiuto di una storia e di una tradizione che portano con sé il germe della guerra. Da qui la proposta di rimuovere dall’ambiente tutte le “forme” legate alla tradizione e di crearne di nuove. Nella pratica, i “neoplastici” utilizzano pezzi prefabbricati, usano i colori con lo stesso criterio col quale si impiegano i materiali edilizi, adoperano insomma tutto ciò che hanno a disposizione. Gli edifici sembrano seguire la logica delle costruzioni-giocattolo dei ragazzi, come se fossero realizzati, in libere forme,  da coloro stessi che devono abitarli. “De Stijl” – di cui i rappresentanti maggiori furono Gerrit Thomas Rietveld (Utrecht, 24 giugno 1888 – Utrecht, 25 giugno 1964)Jacobus Johannes Pieter Oud, comunemente chiamato J. J. P. Oud (Purmerend, 9 febbraio 1890 – Wassenaar, 5 aprile 1963), Cornelis van Eesteren (Alblasserdam, 4 luglio 1897 – Aldaar, 21 febbraio 1988) – occupa una posizione di chiaro prestigio nell’architettura moderna.

Se la natura è il luogo dove si vive, se è la sede del tempo e della storia, bisogna allora risolvere il problema del modo in cui gli uomini organizzano materialmente la loro esistenza, il loro rapporto con la natura stessa. Nessuno schema prefissato, dunque, ma interpretazione delle diverse realtà ambientali alle quali adeguare poi le soluzioni architettoniche. Questo, in sostanza, il criterio che è alla base della nuova architettura dei paesi scandinavi, dalla quale emerge la figura del finlandese Alvar Aalto
(1898-1976), la cui opera vastissima ha una manifestazione di assoluto valore nella progettazione del piano regolatore della città di Rovaniemi (Finlandia).

Frank Lloyd Wright

La tendenza della giovane cultura americana a differenziarsi da quella europea e a proporre una propria scala di valori, si palesa anche in architettura soprattutto attraverso le geniali intuizioni di Frank Lloyd Wright (1869-1959).
Questi aveva esordito in polemica con il “gigantismo” che sembrava presiedere alla crescita delle metropoli statunitensi, proponendo la realizzazione di aree residenziali, armoniosamente inserite nell’ambiente naturale – la campagna, in modo specifico – per consentire agli abitanti un contatto non occasionale con la natura e il godimento di uno spazio sufficiente, affrancato dalla congestione dei quartieri urbani. Wright cioè rifiutava il condizionamento imposto dal vorticoso giro d’affari delle città e dalle pretese dei magnati dell’industria, preferendo accordare il suo interesse alle esigenze degli strati cittadini del ceto medio. Egli concretò questa sua visione nelle “Prairies Houses” (case della prateria), tentando di risolvere il problema del rapporto tra forme architettoniche e ambiente naturale. In seguito le posizioni di Wright si evolsero, pesando su di lui molteplici influenze culturali (come quelle orientali, ad esempio, a cui si ispirerà costruendo a Tokio l’Hotel Imperiale) che lo indurranno a sperimentare forme e metodi costruttivi nuovi.

(1) dopo l’avvento del nazismo Gropius si trasferì prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti dove continuò, sia pure con minor rigore la sua opera.

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