Sono pienamente d’accordo con le avvertenze che mi sono state fatte una prima e seconda volta sull’argomento del Jazz. Credo che nel cogliere efficacemente alcuni tratti del problema d’una ‘evoluzione’ o meno del jazz, qualcuno abbia finito col perdere di vista l’analisi delle prerogative individuali e sociali della razza negra, ancorate al jazz come alla sua odierna espressione musicale, cioè il be-bop. (Esisterebbe anche una “tendenza-cool”, promossa dai celebre Lester Young, maestro di C. Parker). Egli cita, in fondo al suo discorso, la rivoluzione dello stile-jazz operata dal gruppo del Minton’s Playhouse, tra cui primeggiò il più grande “bopper”.
Lester Young |
Charlie Parker, cui vanno ascritti, appunto, l’andamento e l’affermazione della forma bop. A questo punto, è bene fissare qualche considerazione. C’è stato un Parker “prima maniera” (la sua collaborazione con Gizzy Gillespie, inizi del 1945; pochi dischi all’attivo, che non sono ancora vero bop); un Parker in coppia col fenomeno Miles Davis (solista di tromba), la cui produzione (1945-47) rivela un talento eccezionale e prolifico: Hot House, Billie Brounce, Lover Man, Ko-Ko, Cool Blues, ecc.
È nel ’47 che il duo Parker-Davis segna, si può dire, lo sfogo centrale d’un bop classico, ricercatissimo (quintetti stabili da concerto, sezioni ritmiche alquanto moderate, esecuzioni d’insieme, poche le eccezioni soliste dei vari ‘chorus’, ecc.).
Charlie Parker |
L’ultimo Parker è difatti sceso a indulgenze commerciali. Una sua serie di dischi denunzia una palese mediocrità, accarezzata com’è dall’influsso delle composizioni afro cubane, diffuse dall’America Latina fino all’occidente europeo.
Louis Armstrong |
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