FILOSOFIA E SENSO COMUNE – L’UOMO-MASSA

L’UOMO-MASSA

Uno dei motivi più tradizionalmente ricorrenti nella letteratura morale e nella critica del costume, è la polemica o semplicemente il fastidio verso tutto ciò che è folla, massa, collettività, mescolanza o anche solo comunanza di sentimenti, gusti, volontà, pensieri.
Ora sincera, ora affettata e snobistica, ora pervasa da superbia aristocratica. ora venata di un intimismo solitario nemico dei rumori della piazza. la posizione di protesta o di insofferenza verso l’agglomeramento umano in quanto tale è rintracciabile in tutti i tempi, sia pure in forme e con significati diversi.
Il famoso verso di Orazio: “Odi profanum vulgus et arceo” (“odio il volgo profano e me ne guardo”), ha dato un simbolo e una formula letteraria a questo atteggiamento spirituale reso estremamente ambiguo dal fatto che in esso istanze legittime si intrecciano a motivi e a punti di vista assolutamente inaccettabili, intonati ad un aristocraticismo retrivo.
L’età moderna e contemporanea, come tutti sanno, ha visto un enorme incremento quantitativo e qualitativo della dimensione “massa”.
Un incremento quantitativo: si pensi all’aumento della popolazione; e qualitativo: si pensi alle trasformazioni sociali, all’avvento delle macchine e della stampa, alla democrazia e al movimento operaio. Contro queste moltitudini nuove, la cui comparsa attiva sulle scene della storia ha costituito un immenso potenziale di nuove energie, non sono mancate voci diffidenti .e risentito: il danese Søren Kierkegaard (Copenaghen, 5 maggio 1813 – Copenaghen, 11 novembre1855) è insorto contro la vocazione del suo secolo a difesa del “singolo”, dell’esistenza nella sua singolarità irriducibile, a favore della sua apertura verso il divino; più recentemente lo spagnolo José Ortega y Gasset (Madrid, 9 maggio 1883 – Madrid, 18 ottobre 1955) ha polemizzato con fervore contro l’umanità anonima e impersonale che riempie le strade, i caffè, i treni, le spiagge, gli stadi.

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La massa, la folla, il cosiddetto “mostro dalle mille teste” è stato accusato di riassumere in sé, potenziandoli, gli aspetti meno nobili e meno raffinati del1’uomo:- fanatismo, volgarità, primitivismo, ignoranza, sullo sfondo di un paesaggio umano grigio e squallido nella sua uniformità. È evidente che accuse del genere hanno spesso avuto funzione e sapore schiettamente reazionari; esse hanno accompagnato nei secoli la politica di sfruttamento e di repressione esercitata dalle classi dominanti; coloro che le formulavano, d’altro canto, non hanno mai voluto capire o hanno finto di non capire che 1’assenza di spiritualità da essi lamentata nella massa ha la sua origine prima in uno stato di soggezione economica e sociale, e quindi anche morale e intellettuale, che proprio essi contribuivano a mantenere.
Ma questo non autorizza affatto a pensare che una indiscriminata esaltazione di tutto ciò che è folla, massa, collettività abbia un valore progressivo e rivoluzionario: né si deve dimenticare che non di rado nella storia sono state proprio le forze più autoritarie e tiranniche (si pensi al fascismo e al nazismo), a coltivare la demagogia della massa e a tentare ogni mezzo pur di trasformare gli uomini in compatti e facilmente plasmabili animali di gruppo, sempre pronti a credere, a obbedire e a combattere.

CASUALITÀ DELLA FOLLA

Abbiamo usato finora indifferentemente i termini di folla e massa, ma a rigore non si tratta affatto di sinonimi, di espressioni equivalenti. Chi dice folla, dice accolta occasionale di individui che si compone e si scompone con facilità estrema; dice aggregazione meccanica di tante particelle umane, nessuna delle quali riesce, sommandosi alle altre, a superare il proprio effettivo isolamento. A queste folle casuali, che si raccolgono “come una moltitudine sotto una tettoia durante l’acquazzone”, può facilmente adattarsi, osserva Gramsci, l’antico proverbio latino “senatores boni viri, senatus mala bestia”, come dire che i senatori sono dei bravi uomini, il Senato è una bestia cattiva. Spesso avviene infatti che “una folla di persone, dominate da interessi immediati o in preda alla passione suscitato dalle impressioni del momento trasmesse acriticamente di bocca in bocca, si unifichi nella decisione collettiva peggiore che corrisponde ai più bassi istinti” (“Note sul Machiavelli, la politica e lo Stato moderno”).
Al contrario, un minimo di omogeneità e quindi di compattezza caratterizza la massa. Se la folla è essenzialmente disordine, la massa è almeno tendenzialmente ordine, organicità: se le folle sono instabili, caotiche, obbedienti ad estri passeggeri, capaci di passare in breve volgere di tempo dalla acclamazione alle invettive, la massa rappresenta invece una molteplicità di individui in certo senso unificati, o da interessi affini permanenti e da comuni aspirazioni (in questo senso parliamo per esempio di masse popolari) o, più vagamente, dall’azione coesiva esercitata dalla tradizione, da una propaganda particolarmente insistente e penetrante, ecc.

IL PERICOLO DEL CONFORMISMO

Ma una volta fatta quest’ovvia e fondamentale discriminazione tra i concetti o categorie di folla e di massa, un’altra più delicata distinzione va introdotta: la distinzione tra una massa che ingoia in sé l’individuo assorbendone e annullandone la personalità in uno schema generale medio di comportamento. e una massa o complesso collettivo nell’ambito del quale ciascuno, pur sentendosi solidale con gli altri e impegnato ad un’opera comune, avverte di essere e vuole essere un io , cioè qualcosa di irripetibile e inconfondibile; e si dispone programmaticamente a filtrare tutto ciò che gli giunge dall’esterno attraverso il proprio esame critico.

Ne derivano di conseguenza due tipi, due figure ben diverse se non addirittura opposte, di uomo-massa o uomo collettivo. L’uno va nettamente respinto, 1’altro invece dev’essere proposto come l’ideale dell’uomo nuovo, uscito dalla crisi del nostro tempo.
L’uomo-massa nel senso deteriore del termine è stato giustamente paragonato ad un ciottolo levigato dal mare senza più sfaccettature e fisionomia propria. È un essere opaco, banale, privo di problematica interiore e sfornito di spirito critico: senza dialettica quindi, cioè senza mediazione, né verso di sé né verso gli altri. Ha solo superficiali certezze e ignora dubbi e inquietudini che pure sono il lievito insostituibile della vita spirituale. Permeato di psichismo collettivo, senza capacità di reazione personale, non vuole e non può pensare con la propria testa. Imbottito dei luoghi comuni della propaganda giornalistica, radiofonica, cinematografica, social, crede quello che credono gli altri, sente come sentono gli altri. Il suo codice di valori non proviene da una matura e personale elaborazione o da una accettazione meditata; è semplicemente quello che accoglie dalla gente, dal mondo ufficiale, dalle autorità costituite. La crescente meccanizzazione e automatizzazione della vita quotidiana, fatto di per se stesso grandemente positivo, si ripercuote su di lui appiattendone ulteriormente la spiritualità, standardizzandolo in maniera ancor più radicale. L’uomo-massa ha paura di essere solo e cerca costantemente la compagnia dei molti: non già perchè lo spingano ideali di lotta e di costruzione comune, ma perchè la sua tendenza fondamentale è quella di seguire la corrente, di aderire, di conformarsi. È, in una parola, il Conformista, non in senso lato – tutti in certo modo siamo conformisti perchè tutti siamo immersi in un ambiente culturale dato e perchè l’originalità assoluta è un assurdo – ma nel senso specifico e cattivo della parola.

L’uomo-massa di cui stiamo parlando non è un tipo ideale, un paradigma di individuo presente in tutti i tempi e in tutte le situazioni. Anche se alcuni suoi caratteri sono certamente riscontrabili in tutte le epoche e in tutti i regimi, egli va essenzialmente situato in un periodo storico che corrisponde a quello della società capitalistica nella fase del suo irrigidimento monopolistico. L’era dell’individualismo borghese, che offriva un panorama sociale vivacemente contrastato e che garantiva possibilità più o meno larghe di autonomia, è ormai definitivamente tramontata e sui suoi resti l’avvento del monopolio ha dato luogo ad un fenomeno imponente di livellamento e di massificazione, distruttivo dell’individualismo e delle autonomie del periodo precedente.
La concentrazione dei capitali e dell’organizzazione produttiva, l’accentramento statale e la conseguente burocratizzazione, una tecnicizzazione vertiginosa a cui non si accompagna un adeguato sviluppo della coscienza morale e della personalità intellettuale, una standardizzazione della produzione che tende a standardizzare il consumatore nei suoi gusti e nelle sue esigenze: ecco alcuni dei connotati più salienti della società borghese contemporanea.
In essa agisce sempre più fortemente la spinta totalitaria, ora validamente contrastata, ora passivamente subita, delle oligarchie economiche; ed in essa esistono le condizioni più propizie per una vasta proliferazione di uomini-massa nel senso deteriore: larghe schiere di piccola borghesia conformista, masse più o meno numerose di lavoratori spiritualmente sottomessi, uomini immersi nella affannosa routine quotidiana, che vivono una vita superficiale e spersonalizzata.

THE GOOD MIXER

In America, dove la struttura economica incarna meglio e più potentemente che altrove la tendenze di sviluppo in senso totalitario della società borghese, il fenomeno ha raggiunto proporzioni impressionanti. I più attenti osservatori europei sono concordi nel sottolinearlo.
L’America – narrava Alberto Moravia in una delle sue corrispondenze d’oltre Atlantico – è il paese in cui il saggio o il racconto dello scrittore viene rimaneggiato e rimanipolato dalla redazione della rivista perchè fautore ha avuto il torto di rivelare uno stile troppo personale; in cui a scuola l’elemento di giudizio forse più importante è dato dal grado di “adjustment” dimostrato dall’alunno, dal grado cioè di adattamento all’ambiente, dalla sua attitudine a stare in riga coi colleghi. Tanto è maggiore l’apprezzamento, quanto minore l’aspirazione ad essere conspicuous, cioè notevole, rimarchevole.

L’America ufficiale di oggi, così profondamente diversa dall’America di ieri, patria per antonomasia dell’individualismo pionieristico, diffida delle personalità libere e anticonformiste, ha paura di chi vuol tener fede alla propria indipendenza di giudizio e addita nell’Average Man, l’uomo modello, colui che neppur si sogna di mettere in discussione il decalogo del buon cittadino fedele alle istituzioni. L’Average Man, cioè l’uomo medio, l’uomo comune, nutrito di pubblicità e di cultura in pillole e dotato di gusto univoco in fatto di film e di cravatte, viene anzi cosi propagandato e mitizzato che ne nasce una specie di fanatismo, di compiaciuta psicosi.
“L’uomo nuovo americano – scrive sempre Moravia – sente che è un ingranaggio, vuole essere un ingranaggio, e non desidera essere
altro che un ingranaggio. E, sia detto per inciso, non essere un ingranaggio o un “good mixer” (uno che si mescola bene con gli altri, un buon maschiatore) può risultare addirittura pericoloso… Chiunque infatti manifesti con la parola o con l’atteggiamento il desiderio di distinguersi, di differenziarsi, può suggerire ai suoi colleghi o compagni o coabitanti il seguente sillogismo: si differenzia, dunque odia il modo di vivere americano e l’America; odia l’America, dunque è un traditore, è un commy (comunista), una probabile spia, un uomo da evitarsi, da mettere sotto processo e così via. Il che equivale a dire che in America c’è un formidabile conformismo fondato sul generico e comprensivo slogan: The american way of life (Il modo di vita americano)”.

TRE FASI STORICHE

In tanto grigiore non mancano però – nota consolante – degli americani intelligenti che si accorgono Del fenomeno e che riescono ad analizzarlo con notevole penetrazione, anche se poi le conclusioni appaiono deboli e insoddisfacenti. È il caso di David Riesman (Filadelfia, 22 settembre 1909 – Binghamton, 10 maggio 2002, uno studioso di psicologia sociale che ha pubblicato dei lavori interessanti sulla evoluzione del carattere americano. Il Riesman stabilisce un nesso preciso fra questa evoluzione e i mutamenti nella struttura economico-sociale degli Stati Uniti, giunge alla individuazione – non valida soltanto per gli U.S.A. – di tre .fasi storiche che esprimono tra corrispondenti tipi umani: il tradition-directed, tipico di una società ad economia precapitalistica governata da istituti e costumi che hanno la fissità della tradizione; l`inner-directed, o “auto-diretto”, tipico di una società basata sul capitalismo di concorrenza e sull’iniziativa individuale; e infine l’other-directed, l’etero-diretto che, come dice Riesman con efficace immagine, capta e registra grazie al “radar” di cui è munito le posizioni degli altri, e sulla base di esse stabilisce la propria rotta. L’etero-diretto è appunto il conformista del nostro tempo, inquadrato in una situazione economica in cui pochi grandi complessi si sono assicurati posizioni egemoniche e controllano, irreggimentandola, l’intera area sociale.

COLLETTIVISMO E INDDIVIDUAZIONE

Le caratteristiche dell’uomo-massa deteriore valgono anche, negativamente e per virtù di contrasto, a definire l’uomo collettivo la cui generalizzazione costituisce invece un fatto positivo e auspicabile, e la cui formazione è necessariamente connessa al superamento della civiltà borghese nella civiltà socialista.
Sorto sulla base di una società che ha eliminato gli antagonismi di classe, l’uomo collettivo nel senso migliore del termine è parte integrante di una comunità solidale, sente fortemente i valori corali, ma non sacrifica la propria personalità sull’altare di un malinteso spirito collettivista che trasformerebbe l’umanità in un immenso anche se perfettissimo alveare. L’uomo collettivo di questo tipo, il cittadino-lavoratore, respinge l’individualismo come proclamazione filosofica del valore assoluto della vita individuale al di sopra di ogni norma sociale; respinge l’individualismo come sistema economico-politico vigente in un dato periodo storico (*), ma afferma il principio dell’individuazione, cioè il principio dello sviluppo e dell’affinamento della personalità individuale. Individuazione non porta all’isolamento e ad una vita estraniata, ma rende invece possibile l’inserimento nella vita associata e collettiva di una personalità consapevole e responsabile, in grado di dare un contributo proprio, originale.
Individuazione nel quadro di un lavoro collettivo, può essere quindi la formula del collettivismo socialista: un collettivismo che non mette un frego sul pronome io per scrivere al suo posto un impersonale noi (su cui impostare una nuova mistica e una nuova liturgia); ma che vive ed ha senso solo nella prospettiva indicata oltre centocinquanta anni fa dal Manifesto: “… Una società in cui il libero sviluppo di ciascuno sia la condizione del libero sviluppo di tutti”.

(*) Cfr. con quanto scrive Gramsci: “È da vedere quanto ci sia di giusto nella tendenza contro l’individualismo e quanto di erroneo e pericoloso… La lotta contro l’individualismo è lotta contro un determinato individualismo, con un determinato contenuto sociale, e precisamente contro l’individualismo economico in un periodo in cui esso è diventato anacronistico e antistorico. (Passato e Presente).

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