SOCIALISMO E FASCISMO – Antonio Gramsci

SOCIALISMO E FASCISMO

La pubblicazione di Socialismo e fascismo (Einaudi), il volume delle opere gramsciane che comprende gli scritti del 1921 e del 1922, porta un contributo assai importante allo studio di uno dei periodi politicamente più tormentati e difficili della vita di Antonio Gramsci. Sono gli anni durissimi della scissione di Livorno e dell’affermarsi del fascismo, gli anni in cui il nuovo partito comunista cerca di darsi solida organizzazione classista ed internazionalista. Il Comitato Centrale del partito, é costituito, in grande maggioranza, da seguaci di Bordiga e l’indirizzo politico del P.C. d’I. è fortemente venato di settarismo. Lo stesso Gramsci, in realtà, non ne é del tutto immune e la sua polemica contro i socialisti e soprattutto contro Serrati ha toni talvolta troppo aspri.
Le sue pagine vive e pungenti, sono di indubbia efficacia; manca però in alcuni scritti l’ampia visione politica che Gramsci avrà qualche anno più tardi, manca la capacità di dominare l’intero corso degli avvenimenti. Lo stesso Gramsci, del resto, guarderà a questo periodo della sua vita e della storia del partito comunista con atteggiamento fortemente critico. Ma per comprendere questi scritti non dobbiamo metterci dall’angolo visuale di chi giudica criticamente perché sa come poi sono realmente andate le cose; dobbiamo invece costantemente riportarci alla situazione di quegli anni, anni, come si é detto, durissimi, e ricchi di avvenimenti e processi politici di cui non era facile prevedere lo sbocco. Lo stesso fascismo era un fenomeno nuovo, con aspetti apparentemente contraddittori, e non era facile comprenderne il carattere.
Va detto che a questo riguardo Gramsci vide molto più chiaramente dei suoi compagni di partito, che, in generale, sottovalutarono il pericolo fascista ed in quasi tutti i suoi scritti sul fascismo c’é una forte sottolineatura dei suoi elementi reazionari. In un primo momento, in realtà, Gramsci ne mise in rilievo anzitutto i caratteri piccolo-borghesi. “Il fascismo” scrisse “é stata l’ultima rappresentazione offerta dalla piccola borghesia urbana nel teatro della vita politica nazionale”. Ma fascismo significava anche, per la borghesia, scelta della lotta armata e gli operai dovevano essere pronti a rispondere con gli stessi mezzi. “Al primo tentativo fascista” affermò Gramsci “deve seguire rapida, secca, spietata, la risposta degli operai e deve questa risposta essere tale che il ricordo ne sia tramandato fino ai pronipoti dei signori capitalisti”. Nelle posizioni di Gramsci va sottolineato però anche il tentativo di individuare i contrasti interni delle forze di destra (e ciò avveniva mentre da parte dei comunisti si tendeva a confondere in un solo blocco di forze avverse tutti in altri movimenti apolitici, compresi i socialisti). “Non vi pare” chiedeva Gramsci “che sia un po’ esagerato il sistema invalso da un po’ di tempo in qua di parlare di borghesi, di fascisti, di legionari, ecc. come di una cosa sola, di un unico blocco inscindibile e compatto?”. Questa capacità di analizzare il movimento fascista nelle sue diverse componenti lo portò ben presto a darne un giudizio più comprensivo ed esatto, che andava oltre l’identificazione tra fascisti e piccoli borghesi e gli permetteva di indicare con estrema chiarezza la gravità del pericolo che veniva dall’estrema destra. “Il colpo di stato dei fascisti” scrisse “cioè dello stato maggiore, dei latifondisti, dei banchieri, è lo spettro minaccioso che incombe su questa legislatura”. E quando Dino Grandi organizzò a Bologna una riunione di estremisti fascisti che accusò Mussolini di moderazione, Gramsci riuscì a veder chiaro nella crisi del fascismo, giudicandola un fatto interno, un momento di “riorganizzazione e migliore funzionamento reazionario, giacché il movimento fascista tendeva ormai a diventare un’organizzazione omogenea, aderente alla borghesia agraria, senza debolezze ideologiche, senza incertezze nell’azione”. E, se per qualche giorno sembrò dar troppo peso alle esitazioni di Mussolini, comprese poi che, se pure la parte più moderata avesse aderito ad un’azione parlamentare, tenuta solo sul piano politico, “la parte intransigente, che esprimeva la necessità della difesa diretta e armata degli interessi capitalistici agrari avrebbe proseguito nella sua azione caratteristica antiproletaria”. Perciò Gramsci non diede nessun valore al patto di pacificazione tra socialisti e fascisti.
Altre questioni importanti che possono essere studiate attraverso gli scritti di questo volume sono l’atteggiamento di Gramsci verso la scissione di Livorno a al congresso di Roma (il secondo congresso del P.C. d’I., in cui vennero approvate delle “tesi sulla tattica” di contenuto estremistico).
A Livorno Gramsci non prese la parola e, per conoscere la sua posizione sono perciò indispensabili gli articoli che scrisse in quei giorni. Di grande interesse é soprattutto Il congresso di Livorno, in cui egli ripropose un problema su cui più tardi sarebbe tornato ripetutamente: la questione dei rapporti tra città e campagna, che in Italia si poneva come questione dei rapporti tra Nord e Sud. Nell’articolo Gramsci indicò anche assai lucidamente i caratteri che il partito comunista avrebbe dovuto assumere sia sul piano interno che su quello internazionale. Di non minore interesse sono i suoi interventi al congresso di Roma ed i resoconti di due riunioni della sezione comunista di Torino: nella prima, precongressuale, Gramsci criticò le tesi presentate dalla direzione e affermò la necessità del fronte unico con le altre forze proletarie; nella seconda, tenuta dopo il congresso, Gramsci difese le tesi di Roma, che egli aveva approvato soltanto per non rompere l’unità del partito in un memento particolarmente difficile, ma ne limitò fortemente la portata, dicendo che esse “in linea sostanziale e di principio” non erano in contrasto con quelle dell’Esecutivo dell’Internazionale, in cui si sosteneva il fronte unico. In realtà, nel 1921 e nel 1922, Gramsci fu talvolta costretto dalle esigenze della disciplina di partito a difendere tesi che non condivideva, e questo fatto rende la raccolta di scritti contenuta in Socialismo e fascismo di lettura piuttosto difficile, giacché per la comprensione del punto di vista di Gramsci e per la sua esatta collocazione nell’ambito delle polemiche condotte dai comunisti, occorre distinguere le posizioni assunte da Gramsci soltanto per sostenere la linea ufficiale del partito da quelle che furono frutto di un’elaborazione personale ed originale.

VEDI ANCHE . . .

L’ORDINE NUOVO – Gramsci, Togliatti, Terracini e Tasca

GRAMSCI e la cultura contemporanea

PASSATO E PRESENTE – Antonio Gramsci

SOCIALISMO E FASCISMO – Antonio Gramsci

VIVERE DA ANARCHICI – Armando Borghi e Vittorio Emiliani

GRAMSCI E MACHIAVELLI – Quaderni del carcere