COME SI GUARDA UN’OPERA D’ARTE

COME SI GUARDA UN’OPERA D’ARTE

Esprimere un giudizio sicuro intorno all’opera d’arte non è da tutti, ma l’educazione del gusto può e deve insegnare a distinguere e a vedere; mediante un esercizio assiduo e volenteroso, l’attitudine a comprendere si risveglia, s’abitua e si raffina. Come per la musica è necessario l’orecchio, cosi per le arti del disegno è indispensabile l’occhio che ricorda, che confronta, e che riconosce. Le notizie storiche, i caratteri degli stili e le doti peculiari degli artisti sono il sussidio elementare del critico, che dev’essere – secondo la dottrina di Benedetto Crocephilosophus additus artifici. L’arte commercialmente graduata dagli antiquari ha ben diverso valore negli studi; se essa è “un’aspirazione chiusa nel giro di una rappresentazione”, i suoi capolavori non possono essere che impressioni dello spirito fermate dalla fantasia con piena unità di modi e di mezzi. Quando gli elementi non si mostrano. fusi, ed il vano tentativo di coerenza li disgrega e li mette in contrasto, il lavoro meccanico ed imperfetto scopre le manchevolezze di un discepolo o di un copista.
Francesco De Sanctis, superando il pregiudizio del “contenuto” e della “forma”, che distingue nell’Ottocento due scuole d’estetica, considera l’arte pura forma, ossia pura intuizione. Il principio innovatore della critica è fatto valere da Benedetto Croce, il quale – più seguito che contradetto nel campo letterario – ha, in questi ultimi anni, qualche seguace anche fra gli storici dell’arte. L’entusiasmo lirico e la fantasia creatrice non sanno adattarsi ad un piano commento: l’interprete e l’esegeta insegnano a leggere, ma si arrestano dinanzi all’essenza dell’opera artistica, che chiede al critico di riprodurla e caratterizzarla con quel senso estetico di cui i dati storici sono i primi materiali. Chi entra nella Cappella Sistina e ne guarda il soffitto, non può né ascoltare la gretta predica di un cicerone né badare ai doppi asterischi di una guida stampata. Il cielo tempestoso, percorso dal genio dell’artista, confonde ed attrae; la sua potenza cosmica ha il mistero dei primitivi ed i sublimi richiami di una fede insolita, che si ribella e si innalza dall’ansia dei profeti al vasto silenzio della creazione che continua ad attuarsi.
In questo poema delle origini, cui mancano i paesaggi e gli incanti della natura, vibrano tutti i segni dell’infinito; il dominatore, che ha reso la pienezza del suo ispirato tormento, dal gesto più ieratico al supplizio più duro, rifiuta gli ardimenti della luce ed i riposi dell’ombra, le estasi e le contrizioni, e si sprofonda nel gran sogno biblico della “Genesi”, inquadrandone i fatti con i ritmi e le dissonanze d’un’architettura vivente, agitata dal pensiero. Quando lo stupore contemplativo, che desta l’originalità dello smisurato affresco, fa si che il critico sia quasi in uno stato di grazia, egli può interrogare le singole figure, sentendosi nel cerchio di una umanità superiore, la quale non ammette né riserve né restrizioni nel comprendere. La sensibilità tesa nello sforzo, che diviene un insuperabile godimento estetico, sa poi discendere all’analisi dei particolari, al bisogno dei confronti e ai dubbi scientifici intorno alle mosse di alcuni corpi; ma l’unità formidabile resta sempre eguale a se stessa: ha le doti dell’assoluto e la terribile virtù dell’inimitabile. Un frammento di quella tragedia che fu la tomba di Giulio II, il Mosè – nel “movimento represso” e nell’istinto sovrumano -, si conferma fratello dei profeti dipinti, e non lascia presagire il fragore e la disperata violenza del Giudizio Universale. In esso l’instancabile ardore del vecchio protesta con il suo più arduo pessimismo: la fede e la passione precipitano nell’altezza e nell’abisso; in ogni individuo vibra il medesimo cuore e si riflette il medesimo temperamento dantesco nei castighi e nelle mistiche astrazioni della preghiera. Nella cappella dei papi, il filosofo di tutte le arti, eccitato dalle visioni d’oltretomba, intuisce l’eterno: la realtà che non è né finta, né ricostruita, né favolosa.

Credono taluni che per guardare l’opera d’arte sia utile capovolgere l’ordine da me proposto, facendo precedere il giudizio estetico dall’analisi e dalle notizie storiche. A mio avviso, un metodo critico di tal genere non esiste, come non esiste una pratica popolare dell’arte, che alcuni difendono con troppa apprensione didattica. Ad ogni pretesa teorica del classificatore e del grammatico sfugge tanto un ritratto di Leonardo quanto una Madonna di Raffaello, e però l’unico consiglio che si deve dare ai giovani e agli inesperti è quello di vedere e di rivedere, di paragonare, di distinguere e soprattutto d’intendere e di sentire. Dall’amatore che studia esce il conoscitore che arriva spesso alla verità inoppugnabile del battesimo critico, prima che le scoperte degli archivi confermino il suo giudizio. Anche l’architettura ha i propri caratteri inconfondibili; due soli elementi statici – la linea retta e la curva – ne compongono l’alfabeto ed il vocabolario, onde il Brunelleschi ha ricavato le snelle sagome della più delicata armonia costruttiva ed il Bernini le più mosse inversioni ed i più fantastici adattamenti della materia.

Il sentimento come unità e infinità dell’opera d’arte richiede la propria storia, che arriva al postulato: “tutto arte in quanto arte”. La storia e la critica dell’arte sono indissolubili: superano il contenuto passandovi dentro, e storia significa svolgimento del pensiero e ricerca del sentimento: realtà unica.

Colonnato in Piazza San Pietro, Vaticano in Roma – Bernini (Fonte immagine: Pinterest) 

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