ENEIDE – Virgilio

Fuga di Enea da Troia (1598)
Olio su tela di Federico Barocci
(Roma, Galleria Borghese)
.

ENEIDE

Publio Virgilio Marone

ANTEFATTO

Troia è caduta nelle mani dei Greci ed è messa a ferro e fuoco: tutti i suoi difensori sono stati uccisi, lo stesso Priamo è perito per mano di Pirro, figlio di Achille. Solo Enea, avvertito in sogno dall’ombra di Ettore che l’esorta a salvarsi con i suoi cari e “le cose sacre”, passando incolume tra le schiere dei baldanzosi vincitori e gli incendi, raggiunge la propria casa e prende il vecchio padre Anchise, il figlioletto Ascanio, la moglie Creusa, i patrii Penati, che deve portare in salvo in un’altra terra, e si avvia verso l’esilio.
Gli Dei sono benevoli verso di lui, saggio e valoroso, pio e devoto, destinato a fondare una nuova città da cui trarrà origine un fortissimo popolo che dominerà il mondo.
.
Mercurio ordina ad Enea di lasciare Cartagine (1757)
Affresco di Giambattista Tiepolo
(Vicenza, Villa Valmarana “Ai Nani” )
.

ARGOMENTO

Dopo aver peregrinato per sette anni e aver affrontato mille peripezie Enea ha finalmente lasciato la Sicilia e naviga felicemente verso il Lazio, quando Giunone, memore del troiano Paride che favori Venere, si reca da Eolo e lo convince a liberare i suoi venti e a suscitare una tempesta che impedisca ad Enea di raggiungere la nuova patria assegnatagli dal destino. Allora i venti, impetuosi si precipitano sul mare, affondano, arenano, sconvolgono, sconquassano le navi dei Troiani, che a stento approdano in Libia. Appena toccata terra, Enea in compagnia del fido Acate esplora la regione, quando si imbatte in una giovane cacciatrice e da lei apprende che v’è una città vicina, Cartagine, la cui fondatrice è Didone, fuggita da Tiro dopo la morte del marito Sicheo.
Quando la cacciatrice si allontana, Enea riconosce in lei, dal suo celeste profumo, Venere, sua madre. Con Acate si avvia allora verso la città, dove si sta costruendo un magnifico tempio a Giunone. Quivi sono istoriate le pareti del tempio con episodi della guerra di Troia.
Didone, cui Enea si presenta con i suoi compagni, invita l’eroe al banchetto nel suo palazzo. Enea manda a chiamare il figlio Ascanio, perché venga e porti doni alla regina. Ma Venere, che teme la perfidia cartaginese, sostituisce il giovinetto addormentato con Cupido, reso simile ad Ascanio. Didone, già presa d’amore, grazie a Cupido, prega l’ospite che narri della caduta di Troia e della sua vita errabonda. (Libro I)
Enea comincia il racconto dal giorno che precede la rovina: i Greci, costruito un enorme cavallo di legno lo riempiono di eroi, e, simulando il ritorno, si nascondono dietro l’isola di Tenedo. Ai Troiani stupiti un Greco prigioniero, Sinone, che si finge perseguitato da Ulisse, dichiara che gli assedianti si sono decisi per il ritorno, dopo aver costruito il cavallo per propiziare Pallade crucciata, e così grande perché i Troiani non lo possano introdurre dalle porte. Il sacerdote Laocoonte, mentre consiglia di non accogliere il cavallo, è ucciso da due serpenti ed è creduto vittima della sua empietà.
Vengono dunque abbattute le mura della città per far passare il cavallo che è collocato sulla rocca. Quando tutti sono immersi nel sonno, escono dalla costruzione gli eroi achivi. Enea, cui compare in sogno Ettore, si sveglia quando già bruciano le case di Troia; egli raduna un manipolo di prodi che, assaliti e uccisi alcuni Greci, indossano le armi dei caduti per fare strage di nemici. Sopraffatti dal gran numero soccombono.
Enea, rimasto solo, corre alla reggia di Priamo, dove vede morire il vecchio re; a tal vista si ricorda del padre suo, vecchio come il re, della moglie Creusa senza difesa, del figlio Iulo. Li raggiunge e col padre sulle spalle, reggendo Iulo per mano, seguito da Creusa che presto scompare nel tumulto, si avvia nella notte. Al sorgere del mattino Enea prende la via dei monti. (Libro II)
Abbandonata la spiaggia troiana, approda poi in Tracia, ma poiché fa fu assassinato un figlio di Priamo, Polidoro, deve lasciare la terra maledetta. A Delo, l’oracolo di Apollo, interrogato, risponde che si cerchi la terra degli avi. Anchise suppone che questa sia Creta, dove i profughi fondano una città, Pergamea; ma la peste li caccia da quel luogo.
Enea ha una visione: gli appaiono i Penati e gli dicono che la madre antica è la terra Ausonia, donde venne Dardano. Approdano quindi alle isole Strofadi: le Arpie predicono che Enea fonderà la sua città in Italia, ma dopo aver mangiato per fame le mense.
Arrivano ad Azio, donde approdano a Butroto. Andromaca, la vedova di Ettore che ha sposato l’indovino Eleno, appena vede Enea e le armi troiane, sviene per la commozione.
Dopo un patetico colloquio, Enea, ripreso il viaggio, sbarca nel porto di Venere, che è il primo approdo sul suolo italico. Arrivato in vista di Scilla e Cariddi, volge a sinistra e prende terra presso l’Etna, nel luogo dei Ciclopi; costeggiata quindi la Sicilia, entra nel porto di Drepano. Qui muore Anchise e così finisce il racconto di Enea. (Libro III)
La regina non sa ormai più dominare la sua fiamma: le nozze si compiono in una grotta, ma la felicità è breve. Giove manda ad Enea Mercurio a rimproverargli la sua inerzia e a ricordargli il regno d’Italia. Enea, obbediente, ordina di preparare nascostamente la flotta e rimane inflessibile alle preghiere della disperata Didone. AI mattino, mentre la flotta troiana si allontana, la regina si trafigge su un rogo dopo aver maledetto i Troiani e predetto loro la vendetta di Annibale. (Libro IV)
Enea, giunto ad Erice nel primo anniversario della morte di Anchise, offre libagioni e vuole che la data sia celebrata con gare. Ma Giunone manda Iride che persuade le donne a dar fuoco alla flotta per porre fine ai disagi della lunga peregrinazione. Tizzi ardenti sono gettati sulle navi che vengono salvate da un acquazzone provvidenziale.
Enea, fondata la città di Aceste, dove restano le donne e gli invalidi, parte per l’Italia con i migliori Troiani.
Quando è già in vista dell’Italia, Palinuro, il timoniere della nave, vinto dal sonno, precipita in mare col timone. Enea, preso il governo della nave, si avvicina all’Italia. (Libro V)
Approda a Cuma, presso la spelonca della Sibilla, scende nell’antro dove il dio profetico annuncia nuovi pericoli e nuove sventure, e, dopo essersi munito di un ramoscello sacro dalle foglie d’oro, fatti sacrifici a Proserpina e a Plutone, va per il regno sotterraneo delle ombre, finché giunge alla palude Stigia. Là sono Caronte e Cerbero, il cane trifauce.
Nel Limbo trova i bambini e i suicidi; più oltre, nei campi del pianto, le anime dei morti per amore, fra le quali Didone che lo respinge; più avanti i guerrieri caduti sui campi di battaglia.
Enea depone il ramoscello d’oro alla reggia di Plutone e nei Campi Elisi incontra Anchise che gli mostra le anime dei discendenti: i re Albani, Romolo, la gente Giulia. Ed anche i grandi cittadini della repubblica: Cesare, Pompeo, i due Marcelli, Claudio e il giovane Marcello nipote di Augusto. Enea torna infine fra i compagni. (Libro VI)
Arrivato alle foci del Tevere, l’eroe manda ambasciatori al re Latino che li accoglie benignamente riconoscendo in Enea il genero straniero annunciatogli dagli oracoli. Ma Giunone chiama a sé Aletto perché susciti la discordia e faccia sì che Amata, la moglie di Latino, non voglia che la figlia sposi uno straniero, quando già è stata promessa a Turno, re dei Rutuli. Questi, infatti, raduna i suoi. Tutto il Lazio è in armi e passano in rassegna i guerrieri italici: Mezenzio, Lauso, Catillo, Cora, Messapo, Clauso, Ufente, Umbrone, Virbio, Turno e da ultimo Camilla, la vergine guerriera. (Libro VII)
Secondo il consiglio del Dio Tiberino Enea risale il corso del Tevere finché giunge a Pallanteo, una povera città di pastori, dove si presenta al re Evandro che gli concede ospitalità e stringe con lui alleanza: Pallante, figlio del re, lo seguirà.
Durante il banchetto Enea ascolta la narrazione delle imprese di Ercole che ivi uccise Caco, onde nacque il culto dell’eroe. Accompagnato dal re, visita quei luoghi che un giorno saranno famosi: l’ara massima, la selva, asilo di Romolo, il Lupercale, il monte Tarpeio.
Intanto Venere, che ha ottenuto da Vulcano le armi per il figlio, gliele porta, bellissime, istoriate con i principali fatti della storia romana. (Libro VIII)
Turno, approfittando dell’assenza di Enea, assale il campo dei Troiani cercando di incendiare le navi che Giove trasforma in ninfe del mare. Durante l’assedio al campo Niso volontariamente si offre di andare ad avvisare Enea del pericolo che stanno correndo i Troiani: fedele amico gli si aggiunge Eurialo.
Ottenuto l’ambito incarico, escono di notte, attraversando il campo dei nemici immersi nel sonno e ne l’anno strage. Ma, sorpresi da una pattuglia nemica che li insegue, Eurialo è preso: Niso, sentendo perduto l’amico, ritorna indietro a vendicarne la morte: ma cade sul corpo di Eurialo. Le teste dei due giovani, infitte su picche, sono esposte agli occhi dei Troiani.
I Rutuli, esultanti, attaccano con tale audacia da riuscire a forzare la porta per la quale irrompe Turno che, tuttavia, separato dai suoi, deve fuggire per il fiume. (Libro IX)
Giove aduna il concilio degli Dei e lamentandosi che i numi si siano occupati della guerra, protesta che si deve lasciare libero corso al destino. Enea con l’alleato Tarconte, capo degli Etruschi, è già in cammino con le loro forze riunite.
La sua nave avanza per prima, seguita da tutta la flotta, finché giunge in vista del campo troiano. Turno, appena vede Enea, si precipita ad impedire lo sbarco e nella zuffa affronta e uccide Pallante, fregiandosi poi del balteo cesellato del caduto.
Enea, che vuol vendicare la morte dell’amico, cerca invano Turno trasportato da Giunone lontano dal campo. Ecco allora entrare in azione Mezenzio, che semina la strage fra le schiere troiane e alleate. Enea muove contro di lui e lo ferisce da lontano con l’asta e già Io minaccia con la spada quando Lauso, il giovinetto figlio di Mezenzio, interponendosi, riceve il colpo diretto al padre e muore. Mezenzio, che si era ritirato presso il fiume, ritorna, benché ferito, in battaglia ed affronta irato e dolente Enea, galoppandogli intorno tre volte senza riuscire a ferirlo, finché Enea con un colpo di lancia gli uccide il cavallo e poi con la spada uccide anche lui. (Libro X)
All’alba avviene la solenne sepoltura di Pallante che in funebre corteo è accompagnato dal padre Evandro. Si pattuisce una tregua per seppellire i caduti. Da una parte e dall’altra si celebrano i funerali degli innumerevoli morti mentre in Laurento si vorrebbe far decidere la guerra da un duello fra Turno ed Enea.
Affidato il comando della cavalleria alla vergine Camilla, Turno si apposta in un’imboscata. Ma Camilla è uccisa da Arunte e con la sua morte costringe Turno ad uscire in campo aperto nella pianura per accorrere alla difesa di Laurento.
Il sopraggiungere della notte fra sospendere le operazioni. (Libro XI)
Per evitare inutile spargimento di sangue il Rutulo offre di battersi in duello con Enea: chi vincerà avrà come consorte Lavinia. Si giurano i patti, ma la ninfa Giuturna, troppo temendo per il proprio fratello, mescolandosi alla folla dei Rutuli, riesce a suscitare disordini e a far sì che una freccia ferisca un alleato di Enea. Anche Enea rimane ferito: ma prontamente risanato ritorna in campo terrorizzando i nemici che si danno alla fuga.
La regina Amata si uccide; i Rutuli ormai non hanno più speranza.
Turno, compresa la gravità del momento, vuole una morte degna della sua nobiltà: accorso alle mura, invita Enea a battaglia. I due si scontrano con indicibile furore, ma Turno, infranta la sua spada sull’armatura di Enea, è costretto alla fuga, inseguito dall’eroe.
Gli Dei decidono che i Troiani vincano.
Turno è perduto; atterrato e ferito chiede grazia ad Enea il quale, impietosito, sta per donargli la vita, quando, vistogli indosso il balteo di Pallante, ricorda il giuramento di vendetta e trafigge Turno col colpo mortale. (Libro XII).
.
Enea e Acate sulla costa libica (1520)
Dosso Dossi (+?-1542)
National Gallery of Art, Washington, DC
Olio su tela cm 58,7 x 87,6
.