CINEMA – Dall’arte muta al sonoro

Gloria Swanson

IL CINEMA

Dall’ “arte muta” al sonoro

La fisionomia dell’ancor giovane cinema mondiale appare sensibilmente modificata dopo la grande tempesta della guerra, sia per quanto riguarda i contenuti delle opere sia per quanto attiene ai suoi aspetti produttivi ed economici. Le cinematografie francese e italiana perdono, quasi d’improvviso, la loro già indiscussa egemonia internazionale mentre Hollywood conquista e consolida un primato che non verrà più scosso, almeno fino agli anni successivi al secondo conflitto mondiale. E se l’Europa, sul piano del cinema d’arte, ha ancora una grossa parola da spendere con quanto vengono proponendo svedesi e tedeschi (e sovietici, in particolar modo), Hollywood reagisce nell’unico modo che la, sua potenza economica le consente: accaparrandosi cioè i migliori cineasti del vecchio continente e integrandoli nel suo sistema.

È il caso degli svedesi: questi erano riusciti a produrre film di grande impegno artistico, grazie all’abilità e all’estro di registi come Victor David Sjöström (Silbodal, 20 settembre 1879 – Värmland, 3 gennaio 1960) (“Il carretto fantasma“, “Proscritti“) e Mauritz Stiller (Helsinki, 17 luglio 1883 – Stoccolma, 18 novembre 1928), (“Il tesoro di Arne“, “Il vecchio castello“) che nelle loro opere erano riusciti a trasfondere insieme, e con notevole felicità di espressione, poesia e leggenda del loro paese. Non solo: dalla vicina Danimarca giungeva ad apportare nuova, ricchissima linfa colui che sarà uno dei più grandi registi che la storia della decima arte ricordi, Carl Theodor Dreyer (Copenaghen, 3 febbraio 1889 – Copenaghen, 20 marzo 1968).

Ma prima ancora che la stella del nuovo cinema svedese potesse salire alta sull’orizzonte, Hollywood interveniva ingaggiando a suon di dollari Sjöström e Stiller (e successivamente lo stesso Dreyer) ed una attrice, ben presto elevata al rango di celebratissima diva internazionale: Greta Garbo. Meno facile fu per gli americani contrastare la cinematografia tedesca che sin dagli anni della guerra e grazie all’intervento finanziario dell’industria
(Krupp, I.G. Farben, AEG) si era data una solida struttura produttiva con la potente società UFA. Questa. aveva reclutato, a sua volta, in tutta l’Europa valenti registi che  avevano dato vita a opere di ottima fattura.

Interessante nel cinema tedesco è l’affermarsi di un modo espressionista di concepire il cinema: il film è la realtà così come la vede il suo autore, riflesso della drammatica e insieme felice condizione della cultura tedesca del primo dopoguerra. Sullo schermo prendono forma visioni da incubo, allucinate, come nel “Dottor Caligari”, di Robert Wiene, o in “Tre luci” di Fritz Lang, o in “Nosferatu” di Friedrich Murnau. Solo una breve crisi economica, intervenuta nel 1924, dava agli americani la possibilità di “parare” anche il pericolo tedesco. L’avvento, qualche anno più tardi, del nazismo completerà la decadenza e la scomparsa del cinema d’arte germanico, i cui migliori esponenti si trasferiranno, anch’essi, negli Stati Uniti.

In Francia il crollo era stato totale: la produzione era scesa a livelli del tutto insignificanti, mentre attori e registi già celebri finivano in miseria“. Max Linder poneva fine ai suoi giorni suicidandosi, mentre Méliès si riduceva a vendere giocattoli in una stazione parigina. Ma dopo un periodo di silenzio, mentre all’estremo opposto dell’Europa esplodeva, con incredibile forza, il cinema sovietico, la Francia maturò la sua rinascita. Una rinascita preparata non tanto sul piano tecnico-finanziario quanto su quello culturale. Le nuove estetiche proclamate, in pittura, dal cubismo, dal surrealismo e dal dadaismo stimolano il sorgere di un movimento “d’avanguardia“ cinematografica. Del resto, è proprio un pittore cubista, Fernand Léger, che apre questo movimento realizzando il breve, ma significativo “Balletto meccanico” ed è un pittore dada, Francis Picabia, che guida il giovane regista René Clair nelle riprese di “Entracte” (Intermezzo). Lo spagnolo, emigrato in Francia, Louis Buñuel crea con “Le chien andalou” (Il cane andaluso) e “L’età dell’oro” due capolavori di cinema surrealista.

Ma non è solo questa la sperimentazione che viene portata avanti: sotto l’influenza del cinema sovietico, si afferma anche il documentario d’ispirazione sociale. Ancora Buñuel realizza “Terra senza pane“, amara denuncia della situazione spagnola, mentre Joris Jvens, olandese, è autore di opere di violenta polemica come “Zuiderzee” e “Borinage“. L’avanguardia cinematografica francese fu, pur nella sua breve esistenza, prodiga di risultati: da essa uscì una prestigiosa “scuola” che ebbe in René Clair, Marcel Carné, Jean Vigo e Jean Renoir autentici poeti.

In Russia, Lenin – affermando che “il cinema è per noi la più importante di tutte le arti” – aveva indotto il governo sovietico a fornire il massimo aiuto ad alcuni gruppi di intellettuali e di cineasti. Anche in URSS il cinema è avanguardia: Dziga Vertov sostiene il principio del “cinema-verità” (kino-pravda), la necessità, cioè, di cogliere con la macchina da presa l‘uomo dal “vero”, rifiutando quindi attori e scenografie, ricusando ogni finzione, e affidando al solo “montaggio” la resa del film, considerato come documento di attualità.

Ma le personalità dominanti nel nuovo cinema sovietico sono Sergej Eisenstein e Vsevolod Pudovkin. Al primo si devono “La corazzata Potemkin“, uno dei più grandi capolavori d’ogni tempo, “La linea generale“, “Lampi sul Messico“; al secondo “La madre“, “La fine di San Pietroburgo” e “Tempeste sull’Asia“, tutti ispirati ai temi della rivoluzione e della formazione di una nuova coscienza nel popolo sovietico.

Rodolfo Valentino

Negli Stati Uniti, la posizione di Hollywood ebbe qualche momento di debolezza sul finire degli anni ’20. Della vecchia guardia” (i Griffith, i Mac Sennet, ecc.) era rimasto, pari alla sua grandezza, solo Charlie Chaplin. Per il resto, l’arte era assente dal cinema americano, imperando il divismo più esasperato. Era l’epoca di Rodolfo Valentino e di Gloria Swanson, delle innumerevoli e mediocri pellicole “western”. Quanto di buono viene prodotto è opera di stranieri: alcuni film cornici diretti dall’italo-americano Frank Capra e soprattutto i film d’un grande attore-regista tedesco, Erich Von Stroheim. Le sue opere (“Femmine folli“, “Sinfonia nuziale“, “Rapacità“) erano tuttavia così aspre e contrastanti con le sdolcinature del cinema americano che egli fu ben presto cacciato dai teatri di posa e obbligato a lavorare esclusivamente come attore.

Ma ormai qualcosa stava per accadere nel cinema, che ne avrebbe modificato sostanzialmente il carattere. La “arte muta”, da poco giunta al suo apice, si trovava a dover fronteggiare, senza possibilità di successo, l’offensiva del cinema sonoro.

Greta Garbo

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