RODOLFO D’ASBURGO-LORENA (Rudolf Franz Karl Joseph von Habsburg-Lorraine)

Rodolfo d’Asburgo-Lorena
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Rodolfo d’Asburgo-Lorena, Arciduca d’Austria e Principe della Corona d’Austria, Ungheria e Boemia (Vienna, 21 agosto 1858 – Mayerling, 30 gennaio 1889), arciduca d’Austria Principe ereditario d’Austria, Ungheria e Boemia era figlio di Francesco Giuseppe I Imperatore d’Austria, Ungheria e Boemia e di sua moglie ed imperatrice Elisabetta. Sarebbe dovuto essere l’erede al trono di Francesco Giuseppe, ma la sua morte, avvenuta per suicidio insieme alla sua amante, la baronessa Maria Vetsera, nel casino di caccia di Mayerling, nel 1889, impedì questo, destando scalpore in tutto il mondo e alimentando voci di cospirazione internazionale.

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Rudolf Franz Karl Joseph von Habsburg-Lorraine
Arciduca d’Austria
Nascita – Laxenburg, Impero austriaco, 21 agosto 1858
Morte – Mayerling, Austria-Ungheria, 30 gennaio 1889
Luogo di sepoltura – Cripta Imperiale, Vienna
Dinastia – Casato d’Asburgo-Lorena
Padre – Francesco Giuseppe I d’Austria
Madre – Elisabetta di Baviera
Consorte – Principessa Stefania del Belgio
Figli – Arciduchessa Elisabetta Maria d’Austria
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Rodolfo, un principe dall’animo tormentato, Maria Vetsera una fanciulla esaltata da un amore impossibile: ecco i protagonisti della misteriosa tragedia di Mayerling che pose fine a un amore che non poteva aver futuro
La contessa Maria Larisch si accostò al cugino Rodolfo d’Asburgo e gli sussurrò all’orecchio, con aria di maliziosa complicità:
“Ho un messaggio Per te”.
“Da parte di chi?”… domandò il figlio di Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria.
“Di una ragazza”… rispose Maria Larisch.
Rodolfo scosse le spalle, annoiato. Egli era ormai, stanco delle sue avventure amorose almeno quanto la moglie, Stefania del Belgio, che lo esasperava con la sua gelosia.
“Non ti interessa il messaggio?”… lo stuzzicò Maria Larisch, facendo l’atto di allontanarsi.
“Che cosa dice?”…s’informò Rodolfo con fredda cortesia, cercando di mascherare il proprio disinteresse con un sorriso.
“Poche parole. Eccole, esattamente come mi sono state dette: *Una che le vuol bene le manda un saluto affezionato*.”
“Non c’è altro?”
“Finito”
“E chi è la ragazza?”
“Una creatura meravigliosa: la baronessina Maria Vetsera”.
Compiuta la sua ‘missione’, Maria Larisch accennò un inchino e si allontanò. Rodolfo d’Asburgo non la trattenne. Aveva cose ben più gravi cui pensare. E poi, a dire il vero, non gli andava di prendere troppo sul serio quella che, probabilmente, era solo l’infatuazione di un’adolescente.
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IL RIBELLE DI CASA D’AUSTRIA
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 La baronessina Maria Vetsera
Il colloquio che ho riferito avvenne nel mese di settembre del 1888. A quell’epoca Rodolfo d’Asburgo, l’unico figlio maschio dell’imperatore Francesco Giuseppe, aveva da poco compiuto i trent’anni, essendo nato nel castello di Laxenburg, nei pressi di Vienna, il 21 agosto 1858. Schietto per natura, al contrario della maggior parte dei membri della famiglia imperiale, Rodolfo aveva un volto su cui si riflettevano, come in uno specchio, anche i moti più segreti dell’animo. Non sapeva e non voleva fingere. Per questo, tutti erano al corrente del profondo contrasto che lo divideva dal padre, il severo Francesco Giuseppe.
Secondo Rodolfo, l’impero austriaco si stava avviando verso la catastrofe. Per scongiurare il peggio occorreva rinnovare la politica retriva della corte, venire incontro ai bisogni del popolo, accogliere le idee liberali del secolo e volgerle a proprio vantaggio.
Insomma, questo strano erede di un’antichissima casa regnante ammirava la rivoluzione francese, stimava la repubblica, odiava gli imperi di Russia e di Prussia con tutto ciò che essi rappresentavano.
Figurarsi come Francesco Giuseppe dovesse giudicarlo.
L’imperatore aveva un altissimo concetto della propria missione di sovrano, era un “funzionario” modello, testardamente attaccato alla tradizione, riteneva pericolosa ogni novità. Egli era convinto in buona fede che l’impero si sarebbe tenuto in piedi non cambiando nulla. E Rodolfo, con le sue idee ribelli, gli faceva francamente paura.
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UN MATRIMONIO DA CANCELLARE
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Stefania del Belgio e Rodolfo d’Asburgo
Nel settembre del 1888, quando la baronessina Maria Vetsera si affacciò all’orizzonte di Rodolfo d’Asburgo, il contrasto tra l’imperatore e il figlio era arrivato a un momento drammatico.
A Vienna, negli ambienti della corte, dove molti erano sinceramente affezionati a Rodolfo, si temeva il peggio.
Francesco Giuseppe aveva un potere assoluto su tutti i membri della famiglia imperiale. Egli non divideva le cure dello Stato con nessuno di essi e, tanto meno, col principe ereditario, che non aveva quindi alcuna possibilità di esercitarsi concretamente nell’arte del governo, preparandosi a ricevere la complessa eredità di diritti e di doveri che questa comporta.
Ora Rodolfo era stanco di una situazione che non gli consentiva alcuna via d’uscita. Egli non voleva assistere da spettatore al declino di un impero che, così pensava, sarebbe finito nelle sue mani quando purtroppo il gioco era fatto e non era più possibile arrestarne lo sfacelo.
Ma che fare? Rischiare il tutto per tutto sollevandosi apertamente contro il padre? Promuovere una congiura militare che lo aiutasse a salire sul trono al posto di Francesco Giuseppe?
Rodolfo aveva ereditato dalla madre, l’infelice Elisabetta, la vena di dolce follia, di esasperato romanticismo dei principi di Baviera da cui ella discendeva. Era perciò in buona parte un velleitario, un sognatore che si smarriva facilmente a contatto con la realtà.
Un ramo di pazzia, del resto, serpeggiava da secoli anche nel solido sangue degli Asburgo, per via di Giovanna la Pazza.
Rodolfo, quindi, in quel fatale autunno del 1888, era un uomo profondamente in crisi sia come principe sia come marito. Egli, infatti, era giunto alla conclusione che il primo atto da compiere per affermare la propria indipendenza dovesse essere quello di sciogliere il matrimonio che lo legava a Stefania del Belgio. La decisione, indubbiamente assai grave, non era però dettata da motivi sentimentali. A suo tempo, Rodolfo aveva amato Stefania ed era stato felice con lei, che era giunta a Vienna quando aveva appena diciassette anni ed era un’adorabile ragazzina dai grandi occhi innamorati.
Il fatto che poi il matrimonio fosse naufragato nella noia non giustificava un così violento desiderio di rottura. Rodolfo voleva riacquistare la libertà per poter avere quel figlio maschio, quell’erede diretto che Stefania non gli poteva dare.
Dopo la nascita di una bambina, i medici avevano sentenziato che Stefania non avrebbe più potuto diventare madre.
La mancanza di un erede faceva sentire Rodolfo come un ramo isolato degli Asburgo, un ramo sterile che in qualunque momento poteva essere tagliato via senza eccessivo danno per la famiglia imperiale.
E chi erano coloro i quali lo avrebbero soppiantato? Uomini retrivi come suo padre, uomini che avrebbero continuato, se il destino lo avesse loro concesso, I’opera di “seppellimento” dell’impero condotta per il momento da Francesco Giuseppe.
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IL TESCHIO E LA RIVOLTELLA
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Marie Alexandrine Freiin von Vetsera (Vienna, 19 marzo 1871 – Mayerling, 30 gennaio 1889) fu una baronessina austriaca, celebre amante dell’erede al trono d’Austria-Ungheria Rodolfo d’Asburgo-Lorena (figlio di Elisabetta di Baviera, detta “Sissi”, e di Francesco Giuseppe I d’Asburgo).
Maria Vetsera si era innamorata del principe Rodolfo solo vedendolo qualche volta al Prater, di sfuggita, probabilmente nella primavera dello stesso 1888.
Ella era nata il 19 marzo 1871 e aveva trascorso quasi tutta l’infanzia e l’adolescenza girando per il mondo, secondo gli spostamenti del padre, un piccolo nobile ungherese che si era dato alla diplomazia. La madre di Maria era una bellissima orientale, figlia di un banchiere di Costantinopoli.
Maria Vetsera aveva occhi d’un azzurro cupo, un nasino grazioso e impertinente che dava un sapore piccante al suo volto leggiadro, capelli neri e lunghissimi. In casa la sua passione per il principe ereditario era conosciuta da tutti, ma non veniva presa, sul serio da nessuno.
Così, anche la contessa Maria Larisch considerò in un primo momento l’infatuazione di Maria Vetsera niente di più che una bambinata, e forse per questo si prestò a portare a Rodolfo il messaggio d’amore delta baronessina.
La ragazza invece faceva sul serio e non tardò a chiedere alla contessa Larisch di essere presentata a Rodolfo d’Asburgo.
“Oh, questo no! – rispose la donna – Devi sapere che ‘i lupi’ come Rodolfo non possono che mangiare ‘gli agnellini’ come te”.
Il gusto dell’intrigo, tuttavia, prese presto il sopravvento sugli scrupoli di Maria Larisch, che acconsentì a organizzare un incontro al Prater tra il principe Rodolfo e la baronessina innamorata.
Ma qui accadde ciò che la contessa non aveva previsto: Rodolfo rimase fin dal primo momento incantato dal fascino della piccola Vetsera e in seguito si sorprese a desiderare ardentemente di rivederla presto.
II 5 novembre 1888, accompagnata sempre dalla contessa; Maria Vetsera salì di nascosto nella carrozza di Bratfisch, il fidato cocchiere di Rodolfo, e raggiunse il palazzo imperiale. Qui, a una porticina di servizio, li attendeva un vecchio servitore, che guidò le due donne fino all’appartamento privato del principe.
Rodolfo fu gentile e premuroso con le due ospiti. Ma i suoi occhi avevano un luccichio febbrile; il suo volto appariva pallido e stanco.
Maria Vetsera notò che egli aveva sullo scrittoio un teschio e una rivoltella. Gli domandò perché stessero lì e il principe sorrise enigmaticamente, senza tuttavia rispondere.
Poi le chiese di tornare presto, presto!
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IL GIORNO DEL DESTINO
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Maria Vetsera non si fece ripetere l’invito. Aveva dato per sempre il suo cuore al principe triste e non pensava che a renderlo felice, a essergli vicino, tenera e rasserenante, nei momenti di sconforto, a scacciare dalla sua mente l’ombra sinistra di quel teschio e di quella rivoltella, certo non a caso posti con tanta evidenza sullo scrittoio.
Così, tra un convegno clandestino e l’altro, complice sempre la contessa Larisch, si arrivò al 13 gennaio dell’anno successivo.
Il giorno dopo la baronessina scriverà a una amica: “Ieri sera fui da lui, tra le 7 e le 9. Perdemmo tutti e due la testa”.
Due giorni dopo Maria Vetsera comprò da un gioielliere un portasigarette d’oro sul quale volle che fossero incise le parole: “13 gennaio, grazie al destino”.
Naturalmente l’oggetto, che costava ben 480 corone austriache, era un regalo per Rodolfo.
Dal canto suo, anche il principe fece dei regali alla baronessina. Eccone il nudo elenco: un portasigarette d’acciaio con fermaglio di zaffiro, che recava inciso all’interno il nome del donatore; un braccialetto; un anello di ferro, a forma di fede nuziale, che portava incise all’interno le lettere I.L.V.B.D.T., cioè le iniziali delle parole che formavano la seguente frase:
“ln Liebe vereint bis in den Tod” (uniti nell’amore fino alla morte).
Ma perché parlare di morte nel presentare un regalo ispirato dall’amore e indirizzato a una fanciulla non ancora ventenne?,
La tragedia che scoppierà improvvisa e clamorosa nella notte tra il 20 e il 30 gennaio ha in questa frase sibillina il suo primo annuncio sinistro.
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ENTRA IN SCENA FRANCESCO GIUSEPPE
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Francesco Giuseppe I 
Rodolfo non andava d’accordo con il padre, come abbiamo visto. Ma perché il contrasto assumesse forme aperte, drammatiche, occorreva che scoccasse una scintilla particolare. Questa fu offerta dalla richiesta, avanzata dal principe al papa, di annullamento del suo matrimonio con Stefania del Belgio. Il pontefice non rispose direttamente, ma informò di tutta la faccenda l’imperatore d’Austria. Francesco Giuseppe convocò allora il figlio nel suo studio e, alla presenza di pochissimi testimoni, gli fece una scenata terribile, al termine della quale gli impose seccamente di rompere la sua relazione con la baronessina Vetsera.
“Se non posso sposare Maria, mi ucciderò”…, replicò Rodolfo.
“Ebbene, ucciditi!… urlò l’imperatore – Vorrà dire che non vali nemmeno la pallottola di cui ti servirai!”
Questo drammatico colloquio avveniva nel primo pomeriggio del 26 gennaio. La sera successiva ebbe luogo un ballo all’Ambasciata di Germania, per festeggiare il compleanno di Guglielmo II, imperatore da pochi mesi.
Maria Vetsera vi partecipò con la madre. Era, quello, il suo ingresso ufficiale in società per l’occasione, indossava un vestito azzurro chiaro, orlato di giallo.
Quando Stefania del Belgio, che rappresentava l’imperatrice Elisabetta assente da Vienna, passò in mezzo agli invitati, tutti s’inchinarono cerimoniosamente. Solo Maria Vetsera rimase rigida, gli occhi fissi su Rodolfo che, in grande uniforme, accompagnava la moglie.
Mentre lo scandalo già dilagava per le sale, sussurrato rapidamente di bocca in bocca, la baronessa Vetsera afferrò la figlia per il braccio e la costrinse a inchinarsi. Poi la trascinò via, furente.
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LA LUNGA NOTTE DI MAYERLING 
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Castello di Mayerling
La mattina dopo, di buona ora, Rodolfo d’Asburgo lasciò Vienna diretto al castello di caccia di Mayerling, situato sulle colline boscose al di là della stazione climatica di Baden. Di qui, mandò poi il fedele Bratfisch a prendere Maria Vetsera.
Mayerling era il rifugio segreto di Rodolfo. Portandoci la sua giovane amica, egli aveva già deciso di non uscirne più vivo?  E Maria era al corrente di tutto?
E per questo, il 18 gennaio, aveva improvvisamente vergato il proprio testamento?
Queste domande, e le cento altre suscitate dal sanguinoso dramma che impressionò l’Europa e il mondo, non hanno avuto una risposta precisa e forse non l’avranno mai.
C’è chi sostiene che il principe si uccise perché stava per essere scoperto un complotto politico-militare che avrebbe costretto il padre a denunziarlo e ad affidarlo alla giustizia; chi invece avanza l’ipotesi mostruosa che in realtà Maria Vetsera fosse figlia naturale di Francesco Giuseppe e che l’imperatore avesse rivelato la tremenda verità al figlio nel drammatico colloquio del 26 gennaio; chi infine è del parere che Rodolfo fosse affetto da un male inguaribile,
Di certo, c’è soltanto questo: Mayerling non fu soltanto la tragica conclusione di un amore che non poteva avere futuro. Rodolfo si sarebbe ucciso comunque. Maria gli chiese di morirgli accanto ed egli accettò.
Come si svolsero i fatti è abbastanza noto. Giunta a Mayerling quel fatale lunedì, Maria Vetsera rimase chiusa nelle stanze di Rodolfo e nessuno, tranne il servo Loschek, seppe della sua presenza nel castello.
Per tutto il giorno 29, Rodolfo e Maria prepararono minuziosamente la loro fine. Scrissero delle lettere di addio, ascoltarono le canzoni cantate da Bratfisch, bevvero dell’ottimo vino.
Fu un lungo accomiatarsi dalla vita.
Alle undici di sera, tutto il castello era immerso nel silenzio.
Rodolfo, che aveva indetto per la mattina del 30 una battuta di caccia cui aveva invitato due suoi amici, il duca Filippo di Sassonia-Coburgo e il conte Hoyos, si alzò all’alba.
Maria dormiva ancora.
Egli le si avvicinò delicatamente, le puntò la canna della pistola alla testa, quindi fece fuoco.
La baronessina morì all’istante, nel sonno.
Poco dopo il servo Loschek bussò alla porta.
Rodolfo gli aprì, apparentemente tranquillo.
“Fa preparare la carrozza per la caccia – gli disse – e intanto dà l’ordine che preparino la colazione. Deve essere pronta tra un’ora”.
Il servo sparì.
Il principe chiuse la porta, andò a prendere dei fiori e li sparse sul corpo ormai inerte di Maria; poi le si stese accanto, sollevò la mano e le stringeva la pistola e, quando sentì il freddo della canna contro la nuca, schiacciò il grilletto…….