LA SACRA SINDONE

La Sindone fotografata da Giuseppe Enrie (1931). In alto l’immagine dorsale (capovolta), in basso quella frontale. Ai lati delle immagini si vedono le bruciature dell’incendio del 1532 e i relativi rattoppi (rimossi nel 2002)

A CHI APPARTIENE QUEL VOLTO?

È la testimonianza fotografica della morte di Cristo?

Un reliquario della cappella dei duchi di Savoia, a Torino, é custodita una pezza di tessuto che misura circa 5 metri per 1,30 e che reca l’impronta di un’immagine umana vista di fronte e di spalle. Approssimativamente quattro volte per secolo, il tessuto viene esposto e migliaia di pellegrini si affollano a vederlo, con la ferma convinzione di contemplare i lineamenti di Gesù Cristo.

La Santa Sindone di Torino é una delle reliquie cristiane più gelosamente custodite del mondo. È anche una delle più controverse. Si crede che questo tessuto di lino sia il sudario in cui Cristo fu avvolto prima di essere posto nel sepolcro. L’immagine del Salvatore sembra essersi impressa sul tessuto, come se si fosse trattato di una lastra fotografica.

Che sia stato o meno quello di Cristo, il sudario é stato oggetto di molte ricerche, che hanno portato alla luce numerosi fatti stupefacenti e posto problemi di difficile soluzione. Si ritiene che il sudario sia stato tenuto in un nascondiglio durante tre secoli, al tempo delle prime persecuzioni contro i cristiani. In seguito fu acquistato dagli imperatori bizantini di Costantinopoli, e rimase in quella città finché cadde nelle mani dei Crociati, nel 1204. I Crociati portarono la reliquia in Francia, nella cattedrale di Besançon, dove sfuggi per miracolo ad un incendio (1849). Infine, nel 1432, il sudario fu donato ai duchi di Savoia.
Dopo essere stato lievemente danneggiato in un altro incendio, questa volta nel palazzo ducale, fu trasferito nella cattedrale di Torino, e là si trova dal 1578.

L’immagine frontale presente sulla Sindone nel negativo fotografico

Le prime fotografie

Nel 1898, Secondo Pia, un fotografo di reperti archeologici, scattò le prime foto del sudario e scopri con vivo stupore che 1e negative presentavano un’immagine molto più netta di quella che appariva sul tessuto.

Yves Delage, un noto medico francese, effettuò allora una approfondita ricerca sulla reliquia e comunicò le sue conclusioni all’Accademia Francese delle Scienze, nel 1902. Il suo collega Paul Vignon ipotizzò che le macchie visibili sul tessuto fossero originate da trasudazione e dalle spezie di cui il lenzuolo era impregnato. Il dottor Delage riferì che l’immagine era il ritratto, perfettamente particolareggiato, di un uomo che era passato attraverso una brutale serie di torture, culminate nello strazio della crocifissione.
Il viso portava le tracce di diversi colpi; il naso era stato ferito; si notavano gravi ematomi e gonfiore sulla guancia destra; la palpebra destra appariva bruscamente contratta. Macchie di sangue sulla fronte e sulla nuca indicavano che la pelle era stata perforata da oggetti acuminati.

L’intero corpo, a eccezione di mani, piedi e viso, era coperto di piaghe, il che faceva pensare a una flagellazione eseguita da due persone con staffili a doppia corda, terminanti con palle di piombo o d’osso. Tali piaghe erano particolarmente gravi sul torace e sull’addome. Le spalle presentavano ferite tali da far presumere che l’uomo avesse trasportato un oggetto pesante. Entrambe le ginocchia erano piagate, come per delle gravi cadute. Tanto i polsi quanto i piedi presentavano ferite, che potevano essere state causate da chiodi.

Le ferite ai polsi 

Le ferite ai polsi erano localizzate immediatamente dietro la base della mano. Vi era, inoltre, una larga ferita sul lato destro del torace, fra la quinta e la sesta costola, molto chiaramente visibile e con una corrispondente chiazza di sangue e di un altro liquido incolore, forse il fluido di un polmone perforato.  Il corpo di Gesù Cristo era stato cosparso di aloe in polvere ma, contrariamente al costume ebraico, non era stato lavato né unto, forse per via d’una frettolosa sepoltura.

Delage concludeva cosi la sua relazione: “Da una parte, abbiamo il sudario, probabilmente impregnato di essenze, che ci fa pensare all’Oriente, escluso l’Egitto, e inoltre un uomo crocifisso che e stato anche flagellato. Dall’altra, abbiamo una relazione di fatti, appartenenti alla storia e alla tradizione, che ci dice che Cristo fu sottoposto in Giudea allo stesso trattamento di cui decifriamo le tracce sul corpo la cui immagine è rimasta impressa sul sudario”.

Opera di un artista?

Queste parole accesero una polemica che non accenna ancora a spegnersi. Alcuni critici proclamarono che il sudario era un falso, opera d’un artista di straordinaria abilita. Ma i1 dottor Delage fece notare che il sudario non reca traccia di pigmenti colorati. E siccome è stato autenticato fin dal XIV secolo, se l’immagine è un falso, dev’essere esistito uno sconosciuto artista “capace d’eseguire un lavoro che sembrerebbe talmente complesso da esorbitare dalla portata persino dei maggiori pittori del Rinascimento”.

Il medico disse anche che gli sembrava impossibile che qualcuno sapesse tracciare “un’immagine negativa” con tanta accuratezza. Perché, egli si chiese, qualcuno avrebbe dovuto imporsi un simile sforzo? E questo in un’epoca in cui 1a fotografia era qualcosa di cui nessuno poteva immaginare l’esistenza?

Nel 1931 un altro fotografo, Giuseppe Enrie, fu incaricato di scattare delle foto della reliquia. Dopo aver esaminato accuratamente le sue lastre, risultate molto superiori a quelle del 1898, Enrie dichiaro: “Quest’impronta non è l’opera di un artista. I maggiori ingrandimenti stabiliscono il fatto che non vi è traccia di alcun tipo di tintura nel tessuto”.

L’esame radiologico

In Germania e in Italia, si formarono delle commissioni scientifiche, i cui membri eseguirono approfonditi studi sul sudario. Nel 1959, la commissione tedesca domando a Papa Giovanni XXIII di concedere che un minuscolo frammento fosse preso dal sudario per essere sottoposto a tutta una serie di esami con le più moderne attrezzature, ma la richiesta venne respinta dal cardinale Maurilio Fossati, arcivescovo di Torino. E senza alcuna spiegazione.

La tesi più fantascientifica sulla Sindone è stata avanzata più recentemente da un bizzarro scrittore tedesco, Kurt Berna, i cui unici studi ufficiali sono stati le scuole elementari e un corso da cameriere. Berna ha fatto osservare che le macchie di sangue starebbero a indicare che il cuore avvolto in quel sudario batteva ancora, dopo che il condannato era stato deposto dalla croce. Se il cuore avesse infatti cessato di battere, le ferite avrebbero smesso di sanguinare, e il sangue uscito dal corpo si sarebbe rappreso molto prima di toccare il lenzuolo funebre.

Sepolto vivo

Questa ipotesi contiene clamorose conseguenze religiose per i Cristiani e per gli Ebrei: l’Antico Testamento profetizza che il Messia sarebbe morto sulla croce! Berna sostiene invece che Cristo non fu ucciso dalla crocifissione, e neppure dalla lancia che gli trapassò il costato: secondo lui 1a ricostruzione fotografica dimostrerebbe che una lancia, infilata nel corpo come e indicato dalla Sindone, non potrebbe trapassare il cuore. Berna ritiene che Gesù potrebbe semplicemente aver perduto la conoscenza ed aver cessato di respirare a seguito delle torture che gli erano state inflitte, della perdita di sangue e dei fumi dell’aceto offertogli da un centurione romano.

Risorto per il freddo

Credendolo morto, i carnefici permisero che fosse deposto dalla croce e collocato in un sepolcro. E qui, sostiene Berna, l’aloe e gli unguenti, insieme alla temperatura rigida, potrebbero averlo fatto tornare in sé, consentendogli di
apparire vivo ai discepoli.

Non resurrezione, quindi, ma una semplice ripresa delle funzioni vitali.

La tesi di Berna, oltre a essere ridicola, non è neppure molto originale, come ricordano i due più recenti studiosi del “fenomeno Sindone”, Pierluigi Baima Bollone e Pier Paolo Benedetto (Alla ricerca dell’uomo della Sindone, 1978): “Esiste una credenza indiana la quale afferma che Gesù, sopravvissuto alla crocifissione e ristabilitosi dalle lesioni, si sarebbe trasferito a Est, alla ricerca delle tribù perdute di Israele, venendo a morte soltanto in tarda età e, per giunta, per cause naturali”.

I due autori chiudono il loro libro con le dichiarazioni di due celebri studiosi. Yves Delage: “La probabilità che la Sindone non sia il lenzuolo che ha avvolto Gesù Cristo appare di una su dieci miliardi”. E Paul De Gail, gesuita e ingegnere: “E estremamente probabile che la Santa Sindone sia quella che ha avvolto Gesù e, per quanto ora posso valutare, la probabilità che non lo sia e di 1 su 225 miliardi”.

 

IL VOLTO DI CRISTO. L’immagine impressa nella Sacra Sindone conservata nella cattedrale di Torino é eccezionale: si può considerarla il “documento fotografico” della morte di Cristo.

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