VITA NUOVA – Dante Alighieri

VITA NUOVA

Verso gli ultimi anni del Trecento, quando la sua Beatrice era morta, Dante raccoglieva le rime scritte in vita e dopo la morte di lei, via via che amore e dolore lo erano venuti ispirando; faceva precedere a ciascuno dei componimenti poetici una prosa, ove narrava dell’occasione onde era sorto il componimento; e, secondo il costume scolastico, a ciascun componimento aggiungeva un’altra prosa, didascalica, che insegnava in quante parti esso si divide e ne chiariva qualche difficoltà. Non si esclude che — scritto il libretto quando la Morte aveva già trasformato la fanciulla in angelo – il poeta abbia potuto fare delle aggiunte, a meglio determinare la figurazione della donna celeste: come e certo che non tutte le liriche per Beatrice egli raccolse nella Vita Nuova.

Ma che cosa narra il giovane poeta? Poche cose, e umili in sé. A nove anni, racconta egli di aver veduto per la prima volta la fanciulla di quasi un anno minore di lui, che gli uomini chiamavano Beatrice, i quali non sapeano che si chiamare; forse perché ella irradiava la beatitudine a intorno a sé, e le conveniva quindi quel nome, che poteva non essere quello del battesimo.
Bastò quella vista perché il fanciullo si sentisse puro, e passasse senza nessun turbamento dei sensi per gli anni della prima adolescenza. Dopo nove anni, Dante la rivide; e ne ebbe il primo saluto; né egli ebbe da lei nulla più che un saluto mai. Ne fu beato: sognò di lei: di lei e di Amore: un sogno profetico di morte, giacché il presentimento di morte accompagna nel giovinetto il gaudio dell’amore. Ma il gioviane Dante si sente pieno di dolcezza e di carità per tutti; e cerca della bellissima: la segue in chiesa, dove ella ascolta parole della Vergine. I suoi occhi fissano lei, ma lo sguardo cade, o sembra cadere, su un’altra gentildonna, e c’é chi crede che egli ami quest’altra donna. Dante – che vuol tenere nascosta a tutti la sua passione vera – finge di corteggiare quest’altra donna, dello schermo, com’egli la chiama; e compone rime per lei. E, dopo quella, serve a una seconda donna dello schermo ; cosi vivamente e indiscretamente, che Beatrice gli toglie il saluto.

Si raccoglie allora nella sua camera, avvilito, a piangere e Amore gli appare: e lo ammonisce con oscure parole ad essere più costante nel suo amore. Per consiglio poi di alcune gentili donne, il giovane si propone di cantare direttamente a Beatrice, e di lei. Rimane a lungo con desiderio di dire e con paura di cominciare, tanto la materia gli pare difficile; ma un giorno, camminando lungo un bel fiume, la sua lingua parlò “come per se stessa mossa”: e disse Donne, ch’avete intelletto d’amore; cioè il primo verso della prima canzone della Vita Nuova. Ed ecco la parte più delicata del delicatissimo libro: dove Beatrice appare più che donna mortale, un angelo che il Paradiso rivuole per sé, e che Dio, per pietà degli uomini, e per loro conforto, lascia sulla terra ancora per poco tempo: un miracolo venuto dal cielo in terra. E gli uomini si sentono migliori nel suo salute; e provano vergogna di tutte le loro miserie.

L’amore di Dante è estasi, contemplazione, storia di beatitudine interiore, senza esterni episodi; se così non vogliamo chiamare quello della morte del padre di Beatrice: nella quale occasione Dante parla, o immagina di parlare, con le donne che avevano veduto la figliola piangente. Anch’egli si ammala poco dopo; e l’idea della morte della bellissima, che gli nacque, sino dalla prima apparizione di lei, in quel suo abbattimento fisico e morale prende forma concreta. Nel travaglio febbrile, sogna di un terremoto e di un cataclisma. Un amico lo guida a Beatrice che riposa nella morte e nella pace, e gli angeli tornano su in Cielo, con una nuvoletta davanti. Si sveglia pronunciando il nome di lei, che però, per fortuna, non è inteso dagli astanti.
Ma, quella visione era come un annunzio. II 19 giugno del 1290 Beatrice muore veramente, e Dante lascia a mezzo, una canzone, che si era proposto di scrivere in onore di lei, e rompe nei più disperati lamenti. Scrive una lettera latina ai principi della terra, cioé, probabilmente (benché, anche interpretando cosi, questa manifestazione di cordoglio sembri molto singolare) ai principali cittadini.* Senza di lei, la città gli pare un deserto, come Gerusalemme al profeta Geremia; e compone in quell’anno di lutto rime piene di desiderio di morte.

Ma l’immagine della donna morta comincia a venir meno nell’anima del giovine di venticinque anni, di fronte al fascino di una donna reale. Mentre un giorno piange, si accorge che da una finestra una gentile donna giovane e bella lo sta guardando con pietà. Dante è commosso da quella pietà e prova per quella donna un sentimento, che egli vorrebbe reprimere e che é molto ,simile all’amore. Scrive per quella gentile qualche rima, dove il contrasto fra l’amore alla morta e questo alla viva trova espressioni di delicato vigore: e la cerca; e si accorge, con dolore, con rimorso, che egli non ha pin la forza di restar fedele a una memoria, e combatte con i suoi pensieri, e maledice i suoi occhi. Ma dal profondo della coscienza Beatrice risorge; ricompare a Dante, in visione, così come egli la vide, la prima volta, immagine di purezza immacolata. Egli, con tutta l’anima, di nuovo ritorna a lei. E Beatrice ricomparisce al poeta in una finale  mirabile visione, dei quali particolari il poeta non sa e non può dir nulla. Forse gli si presentò, indefinito, il trionfo di Beatrice nel cielo, e il primo nucleo della Divina Commedia, certo Dante si propone di non parlare più di Beatrice, sinché non possa dire di lei quello che non fu detto mai di alcuna. E il racconto di amore termina con un ringraziamento a Dio, “qui est per omnia saecula benedictus”.

E veramente il libro è di tanta purità, che potrebbe essere letto da un santo e da un asceta. È un amore che sa di chiostro, assai più che di mondo. È un’adorazione fervida ed umile; ed un tremore come davanti al soprannaturale. Una volta Dante è presentato a Beatrice in un circolo di donne, e deve appoggiarsi alla parete per non svenire dallo sbigottimento. Nessuna nota fisica determina Beatrice: appena si sa del suo pallore: “color di perla”. Ma v’é di più. Per tutte le pagine del racconto sono soppresse le note della realtà. Non occorre un nome proprio di persona o di luogo. Quel Dante che nella Commedia sarà il poeta sovrano del reale, del caratteristico, del concreto, nella Vita Nuova rifugge da ogni rappresentazione determinata; la divina estasi dell’amore sarebbe troppo turbata e “distratta” da ogni nota della povera realtà quotidiana. Un solo accenno realistico è nella data della morte di Beatrice; ma il mistico, ragionando sul numero nove, che compare in quella data, trova modo di affermare la divinità di Beatrice, essendo nove il numero del Miracolo, come multiplo di tre, simbolo di Dio trino.

Questa indefinitezza nel racconto dantesco, e questi misteri, come il ritorno del numero tre, e le frequenti visioni, hanno fatto pensare a molti che Beatrice non abbia avuto esistenza alcuna reale ; e che essa fosse una allegoria: forse della Grazia divina, che parla al cuore degli eletti, sin dai primissimi anni della vita.
E il fatto che Dante stesso attesta nel Convivio che la donna gentile, di cui s’invaghi dopo la morte di Beatrice, era la filosofia: e il fatto che nel Paradiso Beatrice ricompare, certamente, come simbolo ed allegoria, recano un grande sostegno a quella ipotesi. Ma ciò non esclude che Beatrice e la donna gentile si presentassero principalmente al poeta senza nessuna determinata allegoria. L’allegoria può essersi sovrapposta poi alla loro immagine. Certo è chi legge senza preconcetti sente vivissime nella Vita Nuova le note di un amore vero: come nella timidezza del poeta, nel suo tremore dinanzi alla divina. Un amore purissimo, ma reale, fu questo di Dante; che rimase come il centro di tutta la sua vita interiore.

Quanto al valore artistico della Vita Nuova diremo che, per la prima volta nelle letterature neolatine, si ha una esplorazione ingenua e delicata della vita del sentimento, in una prosa che ha tutta l’efficacia della sincerità e della semplicità. Le rime sono da principio rigide e dure; ma poi si ingentiliscono, si rammorbidiscono. La prima canzone, in lode di Beatrice, tuttoché un po’ macchinosa, e l’altra in cui Dante immagina di veder Beatrice morta, e i sonetti sulla beatitudine che spande l’apparizione di lei e il saluto, e quelli dove narra del suo innamoramento per la donna gentile e l’a1tro, pieno di lacrime, ai pellegrini passanti da Firenze, sono – e non essi soli – tra le cose più pure e squisite, che abbia la lirica italiana di tutti i tempi.

*) Questa lettera, della quale parla il poeta medesimo, non ci e pervenuta.

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