ALLA SERA
Ugo Foscolo
È questo un sonetto di rara perfezione: qui tutto ciò che forniva materia d’ispirazione agli altri sonetti – il dolore per la morte del fratello, il ricordo delle proprie sventure, l’esilio e il sentimento struggente per la patria lontana, il presagio della morte – si trasforma in una meditazione, dolente eppure distaccata dalle cose terrene, sul “nulla eterno” che la contemplazione della sera suggerisce.
Forse perché della fatal quiete
tu sei l’immago, a me si cara vieni,
o sera! E quando ti “corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all’universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni. *
* forse perchè sei l’immagine della morte, mi sei cara (a me si cara… ); d’estate, quando ti corteggiano nuvole e placidi venti e d’inverno, quando dal cielo nevoso porti sulla terra notti lunghe e burrascose, sei sempre bene accetta, invocata; poiché occupi le vie più segrete del mio animo, placandolo con dolcezza.
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge, *
* mi fai errare col pensiero sulle vie che l’uomo percorre nel suo andare verso la morte, mi induci a meditare sulla quiete assoluta del nulla; intanto questo tempo infelice (reo) fugge veloce e porta con sé gli affanni tra i quali esso stesso, insieme a me, si consuma. E mentre io guardo, o sera, la tua pace, si calma almeno per un momento il mio spirito combattivo (cioè le passioni e l’ansia di soddisfarle).
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