DEI SEPOLCRI – Ugo Foscolo

Ritratto di Ugo Foscolo (1801–1802)
Andrea Appiani (175–1817)
Olio su tela cm 88 x 72
Milano, Pinacoteca di Brera

DEI SEPOLCRI

Ugo Foscolo

Questo Carme di 295 endecasillabi sciolti, fu scritto sul finire del 1806 e pubblicato a Brescia l’anno successivo. A ispirarlo fu la suggestione provocata dal decreto napoleonico di Saint Cloud che imponeva, per motivi igienici, la sepoltura dei morti fuori delle mura cittadine, in cimiteri appositamente costruiti. Il decreto stabiliva, in ossequio al principio dell’eguaglianza, che le lapidi fossero per tutti di un’unica dimensione e le iscrizioni controllate, a tutela della verità e del decoro. Al suo ritorno dalla Francia, Foscolo aveva parlato della questione con Pindemonte e a quest’ultimo poi inviò il carme. scritto sotto forma di lettera poetica.

Se questi furono gli stimoli esterni e occasionali per la stesura dei “Sepolcri“, occorre tener presente, come motivo più di fondo, la suggestione culturale che in quegli anni esercitava la poesia cosiddetta “sepolcrale” – tipica delle letterature nordiche – e soprattutto l’importanza letteraria assunta dal tema della tomba e della sua natura consolatrice.

Il senso dei “Sepolcri” sta dunque nel tentativo di dissolvere l’immagine tetra, orrida della morte – come annientamento senza possibilità di scampo – e di affermare invece la possibilità di morire senza angoscia. Angoscia che può essere compensata dalla certezza di continuare a esistere nel ricordo dei sopravvissuti, di rivivere nell’illusione. Da qui la funzione dei sepolcri, come luogo di raccoglimento e di convergenza della pietà e del culto degli amici e dei familiari; della tomba come simbolo delle memorie di una famiglia attraverso il tempo, capace di realizzare la continuità tra passato e presente; del sepolcro,  infine, come testimonianza della civiltà dell’uomo.

I “Sepolcri” esprimono, in maniera sublime, questa visione fortemente romantica del Foscolo e costituiscono uno dei più alti documenti poetici di tutta la nostra storia letteraria.

Ho già accennato ai motivi ispiratori e al significato generale dei “Sepolcri“. Propongo quindi la lettura dei versi del carme – come Foscolo aveva classicamente chiamato la sua composizione. Ricopio qui un brano tratto dal “Compendio di storia della letteratura italiana” di Egidio Curi (Edizione Zanichelli, Bologna) che serve opportunamente da riassunto dell’opera.

“Si chiede il Foscolo, nella prima parte del suo carme, se il sonno della morte sia meno duro e irreparabile qualora venga dormito in una tomba adorna e decorosa, anziché.in un sepolcro abbandonato e deserto. E risponde a se stesso che, dileguandosi ogni bene e ogni speranza, col sopraggiungere della morte, ed essendo, tutto ciò che è umano e naturale, destinato a scomparire o a trasformarsi, per una forza operosa che traveste ogni cosa, le tombe sono inutili. Ma se la ragione induce l’uomo ad una affermazione così sconsolata, perché egli vorrà privarsi del conforto che può donargli l’illusione per la quale, anche dopo la morte, egli non è morto del tutto? E perché una simile illusione dovrà venir tolta ai superstiti i quali, piangendo e pregando presso le tomba di un caro estinto, coltivano appunto l’illusione che esso sia tuttora in vita? È anzi, un dono divino questo legame che unisce, oltre la morte, i vivi e gli estinti; e solo colui che ha coscienza di non lasciare, morendo, alcun rimpianto dì sé, non si cura del suo futuro sepolcro, e muore infelice. E infelici sono i popoli che hanno perduto la memoria dei loro grandi morti, come milanesi, i quali hanno trascurato la tomba del loro Parini. Ma il culto delle tombe non è solo una pietosa illusione, essa è bensì un fondamento di civiltà, tant’è vero che questo culto sporse col nascere del consorzio civile, quando gli uomini primitivi cominciarono a nutrire rispetto di  se stessi e dei loro simili, e non fu tale da ispirare ribrezzo e terrore, ma fu sentito come una manifestazione della perennità della vita, come una religione di memoria, come un perpetuarsi di affetti e speranze. Certo, di fronte al valore che hanno le tombe inglesi presso le quali le fanciulle si recano a pregare per la vittoria del loro Nelson, le tombe italiane, che nulla dicono alle coscienze e ai cuori contemporanei, altro non sono che un’inutile forma di fasto di cui vanamente si compiace il dotto, il ricco ed il patrizio vulgo.
A questo “vulgo” il poeta oppone se stesso, che, morendo, non lascerà beni materiali agli amici, ma di “liberal carme l’esempio”. E all’Italia del tempo suo oppone l’Italia eroica che ancora parla solenne dalle tombe di Santa Croce: giacché le urne dei forti ispirano a grandi imprese le anime generose. E come dalle tombe di Machiavelli, di Michelangelo e di Galilei trasse conforto la generosa tristezza di Vittorio Alfieri, così da quelle stesse tombe verranno . a trarre gli auspici gli Italiani quando saranno rinati alla speranza, come trassero gli auspici dalle tombe dei loro padri i Greci che seppero vincere a Maratona.

Da quell’eroica impresa sorse la leggenda, che sempre aleggia intorno alle sepolture, e dalla leggenda fu ispirata la poesia, unica forza capace di sopravvivere alle distruzioni del tempo nel compito solenne di eternare la grandezza e il dolore degli uomini”.

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