2 – UGO FOSCOLO – Vita e opere

UGO FOSCOLO

La vita

La letteratura neoclassica italiana tocca, con la poesia di Ugo Foscolo, il suo vertice e, insieme, il suo superamento. Niccolò Foscolo (era questo il suo primo nome, cui più tardi preferì quello di Ugo) nasce a Zante, isola greca del gruppo delle Ionie allora governate dai veneziani, da padre italiano – Andrea – e da madre greca, Diamantina Spathis,  il 6 febbraio 1778.

Nel 1792 Foscolo, che aveva compiuto a Spalato i primi studi, si trasferisce a Venezia. Qui vive una duplice esperienza: letteraria, perché vi compone i primi versi, e politica, partecipando ad azioni cospirative contro il governo della Repubblica Veneta e manifestando in seguito, apertamente, la sua simpatia per Bonaparte, sceso intanto in Italia alla testa del suo esercito.

Nel 1797, dopo aver subito la prigione a causa delle sue idee, Foscolo si reca a Bologna per arruolarsi nel corpo dei “Cacciatori a cavallo” della Repubblica Cispadana. Nella città emiliana compone l’ode “A Bonaparte liberatore” per esprimere le speranze che “il liber’uomo Niccolò Ugo Foscolo” e gli Italiani ripongono in Napoleone.
Speranze ben presto deluse: col Trattato di Campoformio, Bonaparte cede Venezia all’Austria, dimostrando quanto poco gli interessino le aspirazioni degli Italiani. Foscolo è nuovamente costretto all’esilio e sceglie Milano, col suo animatissimo ambiente politico e culturale. Qui stringe amicizia con Giuseppe Parini e Vincenzo Monti e collabora col giornale “Il Monitore italiano“.
La sua posizione è ora polemica nei confronti dei Francesi. Rivendicando la piena indipendenza e il rispetto della dignità degli Italiani, Foscolo sostiene, sul “Monitore”, la necessità di unire il paese. ”Questa intemperanza – scrive – di moltiplicare le Repubbliche, manifestando il piano francese, può far conoscere altresì agli Italiani che la loro unione è temuta, e che da questa unione risulterebbe l’acqùisto di una influenza attiva nel sistema politico, il ritorno di quella dignità che piangiamo da secoli perduta”.
Di nuovo a Bologna nel 1798, Foscolo comincia la stesura delle “Ultime lettere di Jacopo Ortis“, che interrompe l’anno seguente. L’offensiva austro-russa provoca infatti la caduta del dominio napoleonico in tutta l’Italia del Nord e Foscolo, uomo d’azione, decide di battersi ancora a fianco dei Francesi. Partecipa alla difesa di Genova agli ordini del generale Massena. Proprio durante l’assedio della città, nel corso del quale resta ferito, Foscolo ripubblica la “Ode a Bonaparte” con una premessa, tuttavia, che invita il grande generale a non lasciarsi tentare dall’ambizione della tirannide.
Sempre a Genova, scrive l‘ode “A Luisa Pallavicini caduta da cavallo“. Nel 1806, dopo la vittoria francese di Marengo, torna a Milano dove lavora all’edizione definitiva dello “Jacopo Ortis“. Nel 1803 scrive l’ode “Alla amica risanata” e i dodici sonetti che, con i “Sepolcri” e le “Grazie” costituiscono il meglio della sua produzione poetica.
Dal 1804 al 1806 è in Francia, quale capitano di fanteria della divisione italiana: qui traduce dall’inglese il “Viaggio sentimentale” di Lawrence Sterne (1713-1768) e scrive la “Notizia intorno a Didimo Chierico” una sorta di ironica autobiografia. Rientrato in Italia, nel 1807, compone e pubblica il carme dei “Sepolcri“.

A causa della sua sempre più netta opposizione ai Francesi, s’inizia per Foscolo un periodo assai difficile, tanto che qualche anno più tardi, nel 1811, ritiene opportuno abbandonare Milano e trasferirsi a Firenze, dove realizza l’ultima, e incompiuta, delle sue opere poetiche: le “Grazie”. Nel capoluogo lombardo ritorna ancora una volta nel ‘l4. L’impero napoleonico è ormai crollato e gli Austriaci – ridiscesi in Lombardia da padroni – gli offrono la direzione d’un giornale, quasi a ricompensa dei sentimenti antifrancesi che l’avevano animato. Ma Foscolo è troppo fiero per accettare: i suoi ideali di indipendenza lo fanno schierare contro ogni oppressore, austriaco non meno che francese, e sceglie, ancora e volontariamente, la via dell’esilio. È un itinerario non lieto che lo porta in Svizzera e poi, nell’autunno del 1816, a Londra.

Il suo soggiorno nella metropoli inglese segna, dopo un esordio brillante, l’avvio di una dolorosa parabola discendente. La sua natura impulsiva e scontrosa contribuisce a isolarlo: trascorrerà gli ultimi anni perseguitato dai creditori, in una penosa condizione di miseria (per affrontarla dà lezioni private), nascondendosi sotto falsi nomi, confortato solo dall’amore della figlia Floriana. La sua esistenza si conclude, a soli 49 anni, a Turnham Green presso Londra, il 10 settembre 1827.

La personalità del Foscolo

Come poeta e come uomo, Foscolo reca l’impronta di un’epoca contraddittoria, in cui ciò che è vecchio non è ancora del tutto scomparso, e il nuovo non ancora interamente sorto. Sul piano letterario Foscolo riassume – e nobilita – la tradizione classica italiana, contemperandola all’affermarsi delle idee romantiche. Ma ciò che veramente unisce e caratterizza tutta l’opera foscoliana, proiettandola vigorosamente nel futuro, è l’ideale politico della indipendenza  nazionale, è il senso fortemente avvertito dei valori culturali che la nazione ha avuto in eredità da un passato luminoso. Foscolo fu consapevole dei contrasti della sua epoca e della difficoltà estrema di una loro soluzione: le delusioni politiche, tanto più aspre quanto più ferme e coerenti erano le sue idee; l’inquietudine che lo spingeva ad agire, in ogni occasione, e a non essere passivo spettatore degli eventi; la sua stessa tormentata vita sentimentale, tutto concorse a determinare in lui un amaro pessimismo.

Drammatica è la contrapposizione – che egli percepisce in tutta la sua ampiezza – tra l’intima e insopprimibile ansia di libertà e la dura realtà della situazione oggettiva. A questa realtà, guardata senza illusioni, Foscolo comunque non si arrenderà mai, scegliendo, anche quando scarsa o nulla è la fiducia nel risultato, la via dell’azione, del combattimento.

È questo l’insegnamento morale più alto che viene dalla vicenda umana e poetica del Foscolo. Il senso dell’esistenza intesa come continua conquista, l’esaltazione degli affetti e dei sentimenti più nobili, dei quali la sua opera è permeata, pongono il poeta di Zante più che come ultimo rappresentante dell’esperienza neoclassica, come primo grandissimo esponente della cultura romantica italiana.

Le opere

Il romanzo autobiografico – Il vero ingresso nella storia della letteratura Foscolo lo compie con un romanzo
scritto in forma epistolare: le “Ultime lettere di Jacopo Ortis“, di cui è evidente il “carattere autobiografico. Nello sventurato protagonista è infatti identificabile la figura dello stesso autore. Semplice è la struttura del romanzo, costituita appunto dalle lettere che Jacopo Ortis ha inviato all’amico Lorenzo Alderari e che questi, appresone il suicidio, ha pubblicato, con una breve premessa, quali testimonianze di una dolorosa esistenza.

Altrettanto semplice è la vicenda tratteggiata nelle lettere: costretto a fuggire da Venezia, dopo la consegna della città agli Austriaci, Jacopo Ortis si rifugia sui Colli Euganei, per ritrovare pace e raccoglimento, e dimenticare l’amara esperienza politica. Nella tranquillità del suo eremo incontra una giovane donna, Teresa; di cui s’innamora. Jacopo nutre la speranza di una serena felicità, ma è breve illusione: la ragazza è promessa a un giovane del luogo, che può offrirle una vita ben più certa e quieta di quanto non possa un esule. Jacopo se ne rende conto e si distacca da Teresa e dalle colline venete, iniziando un disperato vagabondaggio per l’Italia oppressa dallo straniero. La visione continua e ossessiva della patria calpestata e della inerzia degli Italiani induce il giovane a una estrema, tragica decisione: torna a Venezia per rivedere ancora una volta sua madre e poi si uccide.

Evidentemente l’importanza del romanzo non risiede nell‘esile intreccio della vicenda, ma nella piena dei sentimenti, che sgorgano tumultuosi e irrefrenabili, di indignazione per le sorti d’Italia, di ribellione contro il destino. L‘identità tra lo scrittore e il suo personaggio è, in questo, totale. Per struttura, per espressione e significato, l’ “Ortis” è la prima opera letteraria italiana che si possa definire già compiutamente romantica.

Le odi – Odi e sonetti sono composizioni ché forniscono un ritratto abbastanza preciso dell’autore e delle sue passioni, in politica come nell’amore. In esse si avverte più sensibilmente il peso che la tradizione classica esercita sul Foscolo. Un Classicismo non esteriore, non formale come quello del Monti, ma piuttosto corrispondente al bisogno, intimamente sentito dal poeta, di ordine, di rigore, di chiarezza. Nessuna concessione, quindi, al virtuosismo fine a se stesso. La visione pessimistica del Foscolo non muta: solo egli la stempera, con la forma neoclassica, nella contemplazione della bellezza, dell’armonia universale.

L’ode “A Luisa Pallavicini“, scritta a Genova assediata dagli Austriaci, prende spunto da un infortunio (una caduta da cavallo) occorso a una nobildonna genovese che Foscolo non conosceva ma di cui aveva udito esaltare l’avvenenza.
Non è una dichiarazione d’amore ma l’espressione del timore che il malaugurato incidente possa aver deturpato irreparabilmente una femminile bellezza. Siamo assai lontani, come si vede, dall’onda tempestosa delle passioni che scuotevano Jacopo Ortis. Qui tutto è ricercatezza e gusto, utilizzati con la massima sincerità a elevare un inno alla bellezza.

Ancora a una donna è dedicata la seconda delle odi foscoliane; si tratta della milanese Antonietta Fagnani Arese, amata da Foscolo e appena rimessasi da una grave malattia. L’ode, che s’intitola appunto “All’amica risanata“, è assai bella, forse superiore alla prima. Torna di nuovo il tema della bellezza, ma con maggiore intensità e con più accentuato pessimismo. La morale di fondo, la conclusione cui il poeta perviene è, infatti, la constatazione che la bellezza rappresenta tutto ciò che sopravvive, immortale, a una realtà costruita sul dolore e sulla morte.

I sonetti – I dodici sonetti costituiscono – lo ricordavamo prima – una specie di ritratto in versi che Foscolo fa
di sé e delle sue passioni.

Il primo gruppo di questi componimenti (otto, pubblicati nel 1802) svolgono con la stessa impetuosità dell’ “Ortis“, i temi dell’amor di patria deluso, della disperazione, degli amori tormentosi. Pur nella loro grande dignità questi sonetti appaiono non sempre felicemente risolti, talora rigidi, fatta eccezione, forse, per quelli più specificamente d’amore (come, ad esempio, il sonetto “Meritamente, però ch’io potei…” dedicato a una giovane pisana, Isabella Roncioni, che Foscolo amò, lasciandola poi per rispettare i propri impegni militari).

Dove il tono si eleva decisamente e Foscolo attinge ad assoluti livelli d’arte è nei quattro sonetti del secondo gruppo: “Alle Muse“, “A Zacinto“, “In morte del fratello Giovanni“, “Alla sera“.

Il primo di questi è una invocazione alla poesia, da cui l’autore si sente abbandonato; il secondo è una commossa evocazione di Zante, l’isola dove nacque e trascorse l’infanzia; il terzo è dedicato al fratello, morto suicida ad appena vent’anni e l’ultimo, infine, è la contemplazione della calma serena della sera.

Il tema della tomba, già presente nell’ “Ortis”, ritorna in questi sonetti, a simboleggiare il ricongiungimento,
sul sepolcro, degli affetti familiari dispersi; aleggia il senso di una incalzante fatalità, cui non è possibile sfuggire.

Dei sepolcri (vedi capitolo a parte) – È l’opera di Ugo Foscolo più compatta e conclusa. Si tratta di un carme composto da 295 endecasillabi sciolti. Questi versi sono stati scritti in pochi mesi tra l’estate e l’autunno del 1806 ed in seguito pubblicati nel 1807 mentre il poeta era ospite dell’amata contessa Marzia Martinengo Provaglio presso Palazzo Martinengo nel centro di Brescia. L’idea alla base del poema può essere fatta risalire al 1804, quando fu emanato l’editto napoleonico di Saint-Cloud. Il 5 settembre 1806 l’editto fu applicato all’Italia. Si stabiliva insomma che tutte le sepolture dovessero avvenire fuori dalle mura cittadine; che, per ragioni democratiche, i monumenti sepolcrali devono avere tutti la stessa dimensione e che le loro iscrizioni sarebbero state controllate da una commissione speciale. L’attuazione dell’editto indusse Foscolo a meditare sulla natura e sulla filosofia della morte.

Le “Grazie” – Di questo carme, incompiuto, restano numerosi frammenti, abbozzi, varianti. Sostanzialmente esso si componeva di tre inni rispettivamente a Venere, a Vesta, a Pallade, intessuti sul tema della bellezza e dell’armonia, anche sentimentale. Un’armonia modellata su quella che informa di sé la natura, la materia dell’universoo.

Gli scritti critici – Sono una serie di saggi e appartengono quasi tutti al periodo terminale della vita di Foscolo, al suo soggiorno londinese. Smessa definitivamente l’attività poetica, distaccato ormai dalle vicende italiane cui non sembra prestare più alcun interesse, Foscolo dedica la sua attenzione ai problemi della critica letteraria. I saggi sul Petrarca, il “Discorso” sulla “Divina Commedia“, il “Discorso storico” sul testo del “Decamerone” di Boccaccio, il saggio “Della nuova letteratura drammatica italiana” – di enorme valore per acutezza di analisi e metodo di indagine – fanno del Foscolo il primo grande critico moderno.

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IL PERIODO NEOCLASSICO – Cultura e letteratura

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1 – UGO FOSCOLO – Vita e opere

2 – UGO FOSCOLO – Vita e opere

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ALLA SERA – Ugo Foscolo

VINCENZO MONTI – Vita e opere

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