BEETHOVEN, solo con la sua musica

Ludwig van Beethoven, compositore tedesco, nato a Bonn nel 1770, si trasferì a Vienna nel 1792 e ivi morì nel 1827. Ebbe vita travagliata, tormentata dalle ristrettezze economiche, dall’ìncom’prensione del pubblico e dalla sordità.  Rappresenta l’anello di congiunzione fra l’indirizzo classico ed il nuovo gusto romantico.
Celeberrime le sue nove sinfonie e l’opera “Fidelio”. Probabilmente nessun artista ha acceso la fantasia degli uomini al pari di Beethoven.

Sono stati scritti su di lui innumerevoli libri; la sua vita è stata descritta a grandi linee, in drammi ed in films. Come si spiega l’eccezionale risonanza della sua personalità? Dipende essa dal fatto che in ciascuno di noi esiste una corda che la musica di Beethoven fa vibrare? Oppure ha egli espresso ciò che tutti noi sentiamo? O forse noi tutti ne ammiriamo l’impresa sovrumana, l’indomabile volontà, la forza titanica che attraverso una lotta perenne creò proprie leggi di vita; riviviamo la tragedia che sconvolse quest’essere disperato?

La sua opera è in primo luogo caratterizzata da due elementi: libertà e solitudine.

Per giungere alla libertà, Beethoven dovette ribellarsi; per non soccombere alla solitudine dovette gettare in dono all’umanità il suo cuore traboccante d’amore.

La musica di Beethoven fu scritta per tutto il popolo, non più per una casta. Egli si propose di porre in musica i sentimenti e le passioni di tutta l’umanità. Fu il primo a scrivere musica esattamente come la sentiva, a calpestare senza esitazioni le regole teoriche ogni volta che gli sembrava necessario per estrinsecare i suoi pensieri. Le sue opere furono ispirate a problemi profondamente umani, assai lontani da quelli che avevano caratterizzato l’èra delle parrucche incipriate.

Dopo la prima crisi, che lo portò alle soglie della pazzia, vicinissimo al suicidio, ebbe inizio la lotta contro la sorte, l’eroica resistenza contro il gorgo della disperazione.

La sorte gli riservò la vittoria più completa: la sua stessa opera. Per quanto inconcepibile possa sembrarci, quasi tutte le composizioni di Beethoven, eccezion fatta per alcune giovanili, sono opera di un sordo.

“Sono felice soltanto quando riesco a superare una difficoltà…”, scrisse nel suo diario; ma la crescente solitudine che si alzava attorno a lui come una muraglia invalicabile fu una prova spaventosa.

Come tutti i grandi solitari, egli provò lo straziante desiderio di confidarsi al prossimo e accumulò in sé un oceano di sterile amore. Come tutti i grandi solitari Beethoven amò di profondo amore la natura, che sotto molti punti di vista sostituì per lui la religione. Lunghe passeggiate lo portarono nei verdeggianti dintorni della città di Bonn dove egli trovò pace e ispirazione lontano dagli uomini.

La Sinfonia pastorale (è la sesta sinfonia, eseguita a Vienna nel 1808, per la prima volta), riassunse il suo amore per la natura in un grandioso quadro descrittivo, del tutto nuovo a quell’epoca; ma non dimentichiamo che le voci del bosco, il mormorio del ruscello cui si alterna il canto degli uccelli, non furono una diretta esperienza o una lieta impressione, ma il malinconico ricordo del tempo felice in cui il suo orecchio percepiva ancora quei suoni.
Di anno in anno la sofferenza di Beethoven si aggravò, la sua solitudine si accrebbe.
Le guerre napoleoniche avevano portato grandi mutamenti nella vita viennese, l’alta aristocrazia aveva seguito l’imperatore in esilio, e la svalutazione che segue infallibilmente tutte le guerre determinava lo sfacelo di molti capitali.
Dati i contatti di Beethoven con gli aristocratici, questi fattori incisero anche nella sua vita. La stessa morte, del resto, aveva già aperto più di un vuoto nella cerchia dei suoi amici.
Ai nuovi ricchi – anch’essi caratteristici prodotti di anni turbolenti – occorreva tempo prima di giungere al livello culturale dell’antica classe dirigente. Il popolo, più che mai avido di musica, andava pazzo per l’opera italiana da un lato e per il nuovo valzer dall’altro.

Rossini, giunto a Vienna, si recò a visitare Beethoven: trovò un uomo stanco, sordo, amareggiato, che sembrava persino rimproverare al visitatore italiano di essere stato festeggiato per le strade come un trionfatore.
La miseria si insedia nella casa di Beethoven. Le sue annotazioni sul diario di Beethoven ci danno tristi notizie del malumore dei copisti non pagati, della continua lotta col personale di servizio, che a quei tempi egli cambiava tutte le settimane, dei dispiaceri procuratigli dalla tutela di un nipote, delle cento contrarietà e difficoltà, della diffidenza nei riguardi di tutti coloro che lo circondavano, degli imbarazzi economici, del problema dell’abitazione, delle malattie….

Ma lo stesso suo diario che giorno per giorno ci informano di queste miserie, scrivono pagine su pagine di creazioni musicali. Ciascuna di quelle pagine spezza una catena della tradizione, ciascuna apre nuove vie.

Beethoven è il vero ponte fra il rococò musicale, al quale le sue prime opere appartengono ancora, e il
romanticismo, il cui contenuto determina nuove forme.

Beethoven è qualche cosa di più:-non si limita ad ampliare la forma sinfonica, a includere la voce umana in una forma strumentale fino a quel momento pura, a creare una nuova tecnica pianistica, ad accrescere o diminuire arbitrariamente le frasi di una forma ciclica. I suoi ultimi quartetti, testimonianza di un altro mondo, precorrono dal punto di vista musicale la completa rinuncia all’armonia, alla melodia e al ritmo, maturata nel ventesimo secolo.

I manoscritti di Beethoven sono forse i più interessanti che ci abbia lasciato un grande musicista. La lotta veramente titanica che Beethoven combatté con se stesso per esprimere le sue idee, per la purezza dello stile, per l’estrinsecazione di tanti indicibili sentimenti, ha lasciato una traccia nelle migliaia di albi da lui tempestati di note.

Non è esagerato affermare che Beethoven ha scritto ciascuna delle sue opere venti volte, mutando, cancellando, migliorando; che dal primo abbozzo alla stesura finale è rimasto ben poco della forma originale; e che in taluni schizzi neppure una battuta ha avuto si è salvata dalla correzione dalle letture successive.

Il più grande poeta austriaco, Franz Grillparzer, scrisse l’elogio funebre, che fu letto da un celebre artista drammatico: “Era un artista, ma anche un uomo: in ogni senso e nel più alto dei sensi. Lo dissero misantropo perché si era appartato dal mondo; lo dissero insensibile perché rifuggiva delle manifestazioni del sentimento. No, chi sa di essere duro non fugge; le sottili insidie del sentimento si spuntano o si piegano contro di lui. L’eccesso di sensibilità fa temere le sensazioni. E Beethoven fuggì il mondo perché nel suo animo pieno d’amore non trovò un’arma capace di opporglisi. Si allontanò dagli uomini dopo aver dato loro tutto e non averne ricevuto nulla. Fu un solitario perché non trovò un secondo io. Ma sino alla tomba considerò gli uomini con cuore umano e paterno, e provò benevolenza e amore per tutti”.

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