LE ARTI FIGURATIVE IN ITALIA

LE ARTI FIGURATIVE

Architettura ed urbanistica

Il concetto neoclassico di imitazione di uno stile tradizionale recava in sé un germe di decadenza che si sviluppò nel Secondo Ottocento con fatali conseguenze per l’architettura. Tramontata l’aristocratica civiltà neoclassica, frutto artificiale dell’Impero napoleonico, infranto l’ideale classico per il rivoluzionario movimento del Romanticismo che, in architettura, volge l‘interesse alle forme gotiche, si determina in Francia ed in Inghilterra un movimento culturale “neogotico“.

Esso influì specialmente sul destino dei monumenti antichi oggetto di restauri totalitari ad opera di Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc (Parigi, 27 gennaio 1814 – Losanna, 17 settembre 1879)  e della sua scuola, restauri che purtroppo snaturarono parte del patrimonio del passato.

In Italia, dove la tradizione nazionale si identificava col Romanico e col Rinascimento, dilagò piuttosto una maniera che fondeva caratteristiche di tutti gli stili.

Pietro Selvatico (Padova, 27 aprile 1803 – Padova, 26 febbraio 1880), nel 1852, fissava infatti modelli di stile per ogni tipo di costruzione per la chiesa il “gotico”, per il cimitero il “romanico“, per il palazzo il “Rinascimento”.

In tanta decadenza pochi edifici .meritano una segnalazione per le loro qualità costruttive: il “palazzo Margherita” a Roma, opera di Gaetano Koch; il “Palazzo di Giustizia”, sempre a Roma, di Guglielmo Calderini; il “Monumento a Vittorio Emanuele”, ideato da Giuseppe Sacconi.

Maggiore attenzione per queste prove di architettura stilistica meritano le esperienze del novarese Alessandro Antonelli che, adottando moderne teorie di architettura funzionale, costruì 1a “cupola di San Gaudenzio“, a Novara, e la “Mole Antonelliana”, a Torino.

A proposito di urbanistica ottocentesca, si deve notare che essa divide, con l’arte del restauro, la responsabilità di radicali distruzioni di “ambienti monumentali” italiani, ma che ha anche il pregio di aver attuato sistemazioni felici; tra queste eccelle il “Piazzale Michelangelo” di Firenze con lo sfondo della splendida passeggiata del Viale dei Colli, opera di Giuseppe Poggi.

SCULTURA

Anche nella scultura, il primo Ottocento è un’età di regresso rispetto alla grande fioritura che aveva avuto il dono del genio di Antonio Canova. Il periodo di transizione dal Neoclassicismo al Realismo si impersona in Lorenzo Bartolini (Savignano, 7 gennaio 1777 – Firenze, 20 gennaio 1850), il quale, dopo una fanciullezza umile e faticosa, studiò a Parigi nello studio di David D’Abgers.
Spirito combattivo e polemico, non tardò a mettersi a capo di un movimento innovatore nell’ambiente stesso dell’arte accademica, volto a far si che “i giovani si avvezzassero a scegliere il bello naturale, quel bello che non può essere rilevato dalla esperienza individuale e dall’esame delle opere dove i grandi maestri hanno così fedelmente espresso“.

Per convalidare con la pratica tali principi non rifuggì dall’introdurre nella scuola un gobbo, come modello di un Esopo che gli allievi dovevano scolpire. Per questa violenta contrapposizione del bello naturale al bello ideale, che era principio basilare del Neoclassicismo, si sarebbe tentati di credere che il Bartolini fosse del tutto staccato dalla tradizione, cosa che invece gli riuscì solo di rado.

Le sue più celebri sculture sono la “Carità educatrice“ e la “Fiducia in Dio”.

Non è comunque possibile parlare di una vera modernità nella scultura italiana dell’Ottocento se non alla fine del secolo di fronte alla personalità spiccatissima di Medardo Rosso (Torino, 21 giugno 1858 – Milano, 31 marzo 1928).

Spunti realistici e nostalgie romantiche, tendenti a risolvere nella luce le vibrazioni plastiche si intrecciano per  tutto il secolo concentrandosi in alcune scuole: la toscana, la piemontese e la napoletana.

In quella toscana si distingue l’opera di Giovanni Dupré (Siena, 1º marzo 1817 – Fiesole, 10 gennaio 1882) e di Adriano Cecioni (Fontebuona, 26 luglio 1836 – Firenze, 23 maggio 1886), di cui è particolarmente memorabile il gruppo marmoreo della “Madre”; in quella napoletana spicca la grandiosa e tragica personalità di Vincenzo Gemito (Napoli, 16 luglio 1852 – Napoli, 1º marzo 1929), autore dei notissimi “Acquaiuolo” e “Pescatore”; anima della scuola piemontese è Carlo Marochetti (Torino, 14 gennaio 1806 – Passy, 28 dicembre 1867), celebrato autore di statue equestri (“Il duca di Orleans”, “Riccardo Cuor di Leone”) delle quali quella ad “Emanuele Filiberto”, a Torino dà la misura delle sue qualità.

Pittura

Anche nella pittura si ebbe una reazione al Neoclassicismo influenzato dal Canova, col movimento del “‘purismo” e soprattutto col così detto “romanticismo storico“, capeggiato dal veneziano Francesco Hayez (1791-1882). Questi sostituisce ai soggetti ricavati dalla mitologia e dalla favola quelli tratti dalla storia vissuta e sofferta dagli uomini, per aderire alla nuova sensibilità romantica ispiratrice della poesia e della letteratura europea. I temi sono attinti preferibilmente alla storia delle repubbliche italiane che doveva suscitare, nell’animo degli Italiani, l’orgoglio comunale e favorire il movimento risorgimentale.

Le sue pitture più belle sono: “I vespri siciliani”, “Il bacio di Giulietta e Romeo”, oltre ai celebri ritratti del Manzoni, del Cavour e del Rossini.

Lo stesso movimento storico-romantico rappresentato in Lombardia dall’Hayez, si riscontra contemporaneamente in Toscana ed a Roma, con maestri che vogliono reagire, in nome del realismo, alla tradizione classicistica.

In un certo senso autonoma si sviluppa la pittura napoletana, che, con i celebri maestri Giacinto Gigante, Filippo e Giuseppe Palizzi, Domenico Morelli e Gioacchino Toma, creò paesaggi e scenografie di precisa bellezza e di grande suggestione.

In Toscana, infine, ad opera del Signorini e del Fattori, il romanticismo storico si risolve nella scuola dei Macchiaioli.

.