SAGESSE – Paul Verlaine

Sagesse è una raccolta assai eterogenea, non ha l’unità sotterranea e indefinibile che fa delle Fêtes galantes e delle Romances sans paroles, – come anche della Bonne Chanson, un insieme organico e compatto.
La prima edizione dell’opera risale al 1881 e compare simultaneamente da Goemaere, a Bruxelles, e presso la Librairie Catholique, a Parigi. Verlaine esce da dure esperienze: è stato due anni in carcere, ha tentato inutilmente di riconciliarsi con Mathilde, ha errato da più parti nel tentativo di reinserirsi umanamente e letterariamente, si è contraddittoriamente accostato alla religione cattolica nell’illusione di trovare in essa un approdo definitivo, e con l’intenzione di rivedere tutta la sua storia privata alla luce di quella singolare conversione, drammaticamente in antitesi e, nello stesso tempo, paradossalmente consequenziale ad essa.

All’apparenza, cosi, le intenzioni del poeta si mostrano chiare e coerenti: questa è la sua nuova poesia, quella del riscatto, della meditazione, della speranza, della redenzione finale attraverso incertezza e confusione coraggiosamente affrontate e vinte. Rinnegando come falso tutto il suo passato e giudicando “scettici e tristemente leggeri” i suoi antichi versi, Verlaine così scrive nella premessa alla prima edizione di Sagesse: “L’autore di questo libro non ha sempre professato le sue odierne convinzioni. Per molto tempo egli ha errato nella corruzione contemporanea assumendosi la sua parte di colpa e di ignoranza. Dolori ben meritati l’hanno poi ammonito, e Dio gli ha fatto la grazia di comprendere l’ammonimento. Egli, si è prosternato dinanzi all’altare per lungo tempo misconosciuto, adora l’Infinita Bontà ed invoca l’Infinita Potenza, figlio docile della Chiesa, ultimo in meriti, ma pieno di buona volontà. Il sentimento della propria debolezza e il preciso ricordo delle proprie cadute l’hanno guidato nella elaborazione di questa opera, che è il suo primo vero atto di fede dopo un lungo silenzio letterario: nulla vi si troverà, egli spera, di contrario a quella carità che egli, ormai cristiano, deve ai peccatori di cui ha un tempo e quasi dianzi praticato i detestabili costumi”.

Testimonieranno questi contristati propositi sia le molte letture (la Bibbia.., il Breviario.., Santa Teresa.., San Tommaso.., Bossuet.., Barbey.., Balmès.., de Maistre e Nicolas) intraprese dal poeta e riflesse in Sagesse in maniera assai disarticolata, anche se con ambizioni fondamentalmente unitarie; sia il tono a volte moralistico e verboso di certi attacchi e il ritmo incessante delle apparizioni salvatrici (il Cavaliere, la Dama… ). Per seguire fino in fondo le ragioni della conversione (sulla cui autenticità molto “si è scritto ) la poesia di Verlaine acquista una sua eloquente distensione, enfatizza le sue molte maiuscole, diluisce la sua forza e la sua penetrazione in frammenti di rimpianto per ciò che non si fece, a di speranza per ciò che ci si augura che avvenga.
Il verso, spesso, si fa ulteriormente sonoro, le immagini si accumulano e anche giungono a neutralizzarsi tra loro. Nei momenti di minore enfasi, prende consistenza il piano ideologico sotterraneo dell’opera, inteso a riproporre, anche oltre la consueta cifra del ricordo o della revêrie, come possibile e drammaticamente attuale in chiave di opposizione alla odierna grossolanità, alla scienza e allo spirito di Parigi, il dialogo con la saggezza d’un Racine, con le lezioni di Rollin, con un Medioevo enorme e delicato, in cui alla inevitabile gerarchia di funzioni sociali, in maniera esemplare corrisponde, secondo Verlaine, l’osservanza dei riti della religione. Ecco dunque, dopo la Bonne Chanson, un secondo. e diverso ritorno all’ordine, a volte compiaciuto nelle sue iterazioni, a volte sottilmente problematizzato nel lucido rimando a tutto ciò che dal passato può giungere fino al presente con il valore di una norma da ripristinare.

Fuori, o quasi, da questo schema, e in posizione antitetica in Sagesse assume rilievo un piccolo gruppo di liriche finali, alcune giustamente famose e antologizzate (Le ciel est,par-dessus le toit.., La bise se rue à travers.., L’échelonnement des baies… ), esse sono più direttamente collegate all’esperienza lirica di Romances sans paroles, dalla quale traggono quella loro maggiore forza evocativa, meno vincolata all’uso del luogo comune, e pertanto più incisiva, seppure, è  il caso di dirlo, occasionalmente.