1 – PAUL GAUGUIN – Vita e opere

PAUL GAUGUIN

Paul Gauguin si sposò poco prima dei trent’anni, che é un’età giusta. Buona anche la scelta della sposa: Mette-Sophie Gad, una ragazza dell’alta borghesia di Copenaghen. A quel tempo Gauguin, abbandonata la carriera nella marina mercantile, lavorava come agente di cambio. Era attivo, capace. Realizzava guadagni eccellenti. Dall’unione con Mette nacquero, unto dopo l’altro, cinque figli. Ma ad un tratto, sui trentacinque anni, eccolo cambiare radicalmente e abbandonare lavoro, casa, famiglia. E perché? Per dipingere.
In un romanzo molto noto, La luna e sei soldi, lo scrittore Somerset Maugham racconta che la moglie di Gauguin quando seppe il motivo dell’improvvisa e inattesa decisione, si chiese sbalordita perché mai il marito non le avesse mai parlato della sua passione per la pittura.
Che l’infelice Mette sia stata oppure no all’oscuro del temperamento artistico del marito, l’interrogativo principale rimane però proprio questo: per quale motivo l’arte é tanto spesso incompatibile con la vita ordinata della gente comune? Se lo aveste chiesto a Gauguin, probabilmente vi avrebbe risposto: “Perché la vita della gente comune é ordinata, non é vita!”.
Il mondo in cui aveva vissuto fino a quel momento, piccolo mondo borghese dominato dalle convenzioni, gli appariva scialbo, limitato. La sua vocazione artistica aveva bisogno, per realizzarsi, di assoluta libertà: non era conciliabile con il lavoro alla banca, con le minute preoccupazioni quotidiane.
Egli lasciò quindi senza rimpianti un’esistenza che non gli era naturale e neanche gradita.

TA MATETE – Basilea. Museé d’Arte. Questo quadro, dove alcune donne stanno sedute all’ombra mentre il riverbero del sole accende le tinte delle loro vesti, dà la sensazione di un mondo fuori della realtà. Tutta la scena ci appare come avvolta in un’incantata atmosfera di viva, completa felicità.

LA SCOPERTA DELLA PITTURA

Questa tipica inadattabilità alla vita borghese, dovuta alla sua natura di artista, era accentuata dall’indole personale dell’uomo. “Se vi dicessi che discendo, per parte di madre, da un Borgia d’Aragona, viceré del Perù, non mi credereste, e direste che mi vanto”. Cosi affermava con orgoglio Gauguin. Invece, diceva la pura verità.  La sua infanzia si era svolta in un clima avventuroso. Quando Paul aveva appena tre anni, suo padre era stato costretto, per ragioni politiche, a trasferirsi con la famigliola nel paese d’origine della moglie: il Perù. Ma durante la traversata il povero uomo, colpito da un attacco di cuore, era morto all’improvviso; cosicché a Lima arrivarono soltanto la giovane vedova e i due figli. Accolti nella casa di un vecchio zio ricco e aristocratico (tra i membri della famiglia vi era perfino un presidente della Repubblica peruviana), Madame Gauguin e i due bambini avevano conosciuto un’esistenza fastosa. Il piccolo Paul rimase profondamente colpito dall’atmosfera della capitale peruviana e quando tornò in Francia (aveva solo undici anni), già gli era entrato nel sangue l’amore per le terre esotiche. La sua fantasia rimase sempre sensibile a quel fascino favoloso.
Con il suo temperamento inquieto e la nostalgia di mondi lontani che gli veniva dalle sue origini familiari, Gauguin era destinato a essere un uomo perpetuamente tormentato. Ma forse non sarebbe giunto a un atto di ribellione senza la scoperta della pittura, e più precisamente di quella impressionistica.

LA VISIONE DOPO LA PREDICA – Edimburgo. Galleria Nazionale. Le contadine bretoni, col loro abito nero e la caratteristica cuffia bianca, servirono spesso dc modello a Gauguin, Qui, le cuffie bianche hanno attratto i pittore come certi fiori strani, con petali larghi alternati a petali tortuosi.

QUASI UN INFERNO

Gauguin non voleva fare dei quadri più o meno “ben dipinti”: voleva tradurre sulla tela il proprio mondo fantastico e, come già avevano fatto gli Impressionisti, andava alla ricerca di nuovi mezzi espressivi.
Ma la stessa rivoluzione artistica degli Impressionisti era, per lui, soltanto un punto di partenza; essi avevano rinnovato straordinariamente le risorse tecniche della pittura, ma Gauguin già sentiva il bisogno di andare oltre, per una strada sua, di trovare un’ispirazione “pura”, al di là dei programmi comuni delle nuove scuole pittoriche. Anche gli Impressionisti, ormai, erano diventati una “scuola” che aveva le sue leggi, le sue regole. Gauguin sentiva in sé la spinta verso qualcosa di nuovo. Ma per scoprire che cosa fosse, gli occorrevano tempo e danaro. Dovette fare a meno dell’uno e dell’altro, tirando avanti alla meglio.

Nel ritiro di Pont-Aven in Bretagna, poi in un viaggio alla Martinica, poi a Parigi, poi an-cora a Pont-Aven, compilò la prima fase della sua esperienza, riuscendo a sopravvivere grazie ad aiuti economici di amici. Poi é la volta della sua convivenza con Van Gogh, ad Arles; i due artisti sono impegnati in un allucinante lavoro di scoperta. Il periodo si chiude col naufragio di Van Gogh nella pazzia.
Intanto Mette, che insieme coi figli viveva a Copenaghen nella casa dei genitori, non perdeva occasione per sfogare contro di lui tutta la sua amarezza di moglie abbandonata. Gauguin continuò a scriverle: decine di lettere in cui le diceva tutto: gli entusiasmi e le sconfitte, i dubbi e le ribellioni. E le diceva anche che non aveva cessato di amarla, che un giorno, raggiunto il successo (su questo, non aveva dubbi), avrebbero ricostruito insieme il loro focolare. Ma le lettere di Mette, gelide e piene di rancore, contenevano solo lamenti e richieste di danaro.

MAHANA NO ATUA (Vedi scheda)

QUASI UN PARADISO

Gauguin aveva trovato un suo linguaggio pittorico, lasciando piena libertà all’invenzione e creandosi uno stile personalissimo. Ma soprattutto si era definitivamente distaccato da una civiltà e una cultura, ormai troppo legate a schemi e complicazioni. Perciò fu irresistibilmente attratto dalle isole lontane dei Mari del Sud. Partì nel 1891. Prima a Tahiti, poi alle isole Marchesi, egli trovò quel tanto di paradiso che un uomo può trovare sulla terra. In Polinesia, il pittore non aveva predecessori, era libero dalla suggestione di scuole e di modelli, poteva dipingere con lo stesso fervore e la stessa innocenza degli artisti primitivi.
La gente delle isole lo adorava; a differenza degli altri bianchi, egli trattava gli indigeni da pari a pari, viveva felice tra loro, e ne aveva adottato le abitudini.  Lo chiamavano “il pittore che fa gli uomini” ed erano i modelli più docili che avesse mai avuto. I bianchi, invece, lo sfuggivano: quel francese stravagante, che girava seminudo e aizzava gli indigeni contro il governo coloniale, era un pericolo pubblico… Le donne erano il soggetto preferito di Gauguin: non si stancava di esaltarne, nei suoi dipinti, la prepotente bellezza, la grazia flessuosa dei corpi, il fascino dei volti enigmatici. Qualcuna di loro, dopo aver posato, restava: come Pahura, la più bella ragazza di Papeete, che gli diede due figli e che egli ritrasse in alcune celebri tele. I suoi quadri, splendenti dei colori radiosi del paesaggio polinesiano, fecero sensazione a Parigi. Ma il momento del trionfo non era ancora giunto per la sua pittura: il pubblico appariva sconcertato, i critici esitavano, i compratori erano rari.
Così, di soldi ne arrivavano pochi. Le difficoltà di danaro non smisero dli avvelenargli l’esistenza (lo spinsero fino a un tentativo di suicidio). Inoltre, era malato: una vecchia ferita alla gamba si era riaperta; col tempo, l’infezione si era estesa, causandogli terribili sofferenze.

Tuttavia, nell’agosto 1901, trovò la forza di partire di nuovo: si trasferì alle Marchesi, ma ritrovò ancora più aperta e più decisa l’ostilità dei bianchi. Ben presto, anche gli abitanti del villaggio, che dapprima gli si erano dimostrati amici, intimoriti dalle minacce dei gendarmi e dalle esortazioni del vescovo, non osarono più frequentarlo. Le notizie da Parigi si facevano sempre più rare; da parte di Mette, silenzio. Intanto, la malattia progrediva. Venne il giorno in cui non poté più alzarsi. E venne quello, più tragico, in cui dovette rinunciare a dipingere.
Per lui, per l’uomo che aveva sacrificato tutto, disperatamente, alla pittura, era la morte. Quella vera, definitiva, sopraggiunse l’8 maggio 1903. Gauguin aveva cinquantacinque anni.

DONDE VENIAMO? CHI SIAMO? DOVE ANDIAMO? (Vedi scheda)

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