BERNARDO TASSO – L’ode classica

BERNARDO TASSO

Il 5 settembre 1569 cessava di vivere a Ostiglia (Mantova) il poeta Bernardo Tasso, padre del celebre autore de La Gerusalemme liberata. Nato a Venezia da famiglia bergamasca l’11 novembre 1493, era stato per lunghi anni alla corte degli Estensi e, in seguito, al sevizio del principe di Salerno, Ferrante Sanseverino, fino a quando scoppiata la guerra fra Carlo V e Francesco I, e avendo rifiutato di schierarsi dalla parte dei Francesi, venne dichiarato ribelle e privato di ogni avere; trascorse cosi l’ultimo periodo della sua esistenza tra gli stenti, peregrinando da un luogo all’altro. Formatosi alla scuola del Bembo, imitò Orazio in 55 Odi e in 30 Salmi di endecasillabi e settenari, componendo inoltre varie egloghe pastorali e sonetti tecnicamente impeccabili.

Come poeta, Bernardo Tasso non si distingue dagli altri minori del Cinquecento, ma va ricordato per il tentativo di sostituire agli usati schemi della canzone il congegno strofico dell’ode; e le odi che scrisse appaiono oggi le sue cose migliori, anche se l’opera che gli assicurò fama presso i contemporanei fu l’Amadigi, poema in cento canti da lui composto sulla falsariga dello spagnolo Adamis de Gaula con il proposito di ripristinare nel genere cavalleresco il carattere eroico e la struttura formale prescritta dai precetti aristotelici che da tempo era già caduta completamente in disuso.
L’Amadigi, sebbene verboso e scialbo, piacque molto al gran pubblico dell’epoca, ma non assicurò all’autore quell’agio economico ch’egli si era ripromesso. Nel 1569, dopo aver esercitato varie professioni, sempre scarsamente remunerative, Bernardo Tasso riusciva a ottenere la podesteria di Ostiglia: un incarico che avrebbe potuto concedergli un ben meritato periodo di tranquillità, se le lotte continue sostenute contro le avversità non avessero stremato la sua fibra. Infatti questo poeta, certamente meno geniale ma non meno sfortunato del suo grande figlio Torquato, mori quello stesso anno, proprio mentre il più illustre figliolo cominciava ad avvertire le prime avvisaglie dei gravi disturbi psichici che lo travagliarono fino all’ultimo giorno della sua esistenza.

Il “riesumatore dell’ode classica”, come viene tuttora indicato Bernardo Tasso, “incoraggiò” successivamente altri poeti, specie nel Settecento e nel secolo scorso.

In origine l’ode – nome greco che significa canto – era accompagnata dal suono della lira. Nell’antica Grecia i più grandi poeti che si dedicarono a questo genere furono numerosi, da Alceo a Saffo, da Anacreonte a Pindaro, mentre a Roma (dove si chiamò più comunemente carmen) l’ode ebbe tra i suoi sommi cultori Catullo e Orazio.

Già nell’età umanistica vi furono in Italia molti imitatori dei moduli classici: Trissino, Alamanni e altri riprodussero l’ode pindarica, corale, che si affermò anche in Francia con Pierre Ronsard. Nel Cinquecento altri letterati, come l’esemplare e già citato Bernardo Tasso, si volsero ad Orazio, del quale introdussero anche l’uso di musicare le odi. Altrettanto fecero il tedesco Conrad Celtis, l’austriaco Petrus Tritonius e lo svizzero Ludwig Senfl.

In seguito, il genere continuò ad avere fortuna nelle letterature europee. Fra le innumerevoli odi composte nei più svariati schemi metrici, quelle dell’età arcadica, che si riallacciano alle odi del Chiabrera, furono poi portate a nuova dignità di contenuto e di forma dal Parini. Durante lo stesso periodo, in Francia, ebbero particolare rilievo le odi di Rousseau.

Anche nell’Ottocento vi fu una vasta produzione di odi: in Italia soprattutto con Foscolo, Manzoni, Leopardi, Carducci, seguiti poi da Pascoli e D’Annunzio; in Francia con Victor Hugo; in Inghilterra con Wordsworth, Coleridge, Keats e Shelley; in Germania con Klopstock, von Platen e Holderlin; in Spagna con Manuel Josè Quintana e Josè de Esponceda.

Con il termine “ode” si definisce anche un particolare genere di composizione musicale, solitamente per solisti, coro e orchestra; tra gli autori che visi cimentarono, i più famosi sono Händel e Beethoven. Celeberrima, di quest’ultimo compositore, l’Ode alla gioia, su testo di Schiller, che costituisce il quarto tempo della Sinfonia n. 9.

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