FILOSOFIA E SCIENZA – IL POSITIVISMO

FILOSOFIA E SCIENZA

IL POSITIVISMO

Il positivismo rappresenta un ritorno all’empirismo del Locke e al sensismo del Condillac, più perfezionati, a causa dello sviluppo che hanno avuto nel secolo scorso le scienze sperimentali.

Suo iniziatore fu AUGUSTE COMTE (Montpellier, 1798-1857); opere principali: Corso di filosofia positiva; Sistema di politica positiva; Appello ai conservatori; Catechismo positivista. Secondo il Comte, l’umanità è passata per tre stadi: teologico. metafisico, positivo (o scientifico). Egli esclude il soprannaturale. La scienza più alta è la sociologia, in cui è inclusa la morale, soggetta anch’essa, come tutto, all’evoluzione, al progresso. Alle religioni rivelate, il Comte vorrebbe sostituita la religione dell’umanità.

Seguaci francesi del Comte furono il LITTRÉ, il TAINE e il RENAN. Seguaci inglesi furono il già ricordato STUART MILL, che può essere considerato il logico del positivismo, e lo psicologo ALEXANDER BAIN.

Ma il positivista inglese più notevole fu HERBERT SPENCER (Derby, 1820—1903); opere principali: I primi principî; Principî di biologia; Principî di psicologia; Principî di sociologia; Le basi dell’etica; Il progresso umano. La filosofia dello Spencer si accentra intorno a due teorie: quella dell’inconoscibile (Agnosticismo) e quella dell’evoluzione. In quanto alla morale, essa, come del resto per gli altri positivisti, si risolve in un utilitarismo altruistico, sviluppatosi per evoluzione dal sentimenti egoistici, domati mediante lunghe esperienze e calcoli ripetuti, in cui domina anche la legge di trasmissione per ereditarietà.

In Italia pure si è diffuso il positivismo, con ANDREA ANGIULLI, con PIETRO SICILIANI, con ARISTIDE GABELLI, che l’hanno applicato specialmente alle dottrine pedagogiche, con l’antropologo CESARE LOMBROSO, ma soprattutto con l’Ardigò.

ROBERTO ARDIGÒ nacque a Casteldidone di Cremona nel 1828; morì nel 1920. Opere principali: Psicologia come scienza positiva; Morale dei positivisti; Sociologia; Scienza dell’educazione.

L’Ardigò spiega il conoscere partendo dal sentire, inteso come fatto indistinto e primordiale della coscienza e come l’essenza della realtà. Il complesso degli elementi sensoriali, o psichici, permanenti costituisce il soggetto (l’io); tutti gli altri elementi costituiscono l’oggetto (il non-io, la natura esterna). Il passaggio dal senso al pensiero, da forme inferiori di coscienza a forme superiori, avviene per evoluzione e differenziazione. Non c’è per l’Ardigò nessun essere soprannaturale, immutabile, trascendente; non c’è per lui nè noumeno nè inconoscibile: l’inconoscibile non è che ciò che non è ancora affiorato nella coscienza come conoscenza; l’infinito non è che l’indistinto e l’indifferenziato; l’assoluto non è che un concetto limite del nostro attuale pensiero (Immanentismo, naturalismo, positivismo integrale).

Anche l’Ardigò, come gli altri positivisti, fa soggiacere tutta la realtà e tutta la vita, comprese la religione e la morale, alla legge dell’evoluzione. Questa legge divenne il cavallo di battaglia della filosofia scientifica. Si deve ricordare in proposito l’inglese CHARLES DARWIN (Dell’origine delle specie). Un positivismo radicale, anzi un fenomenismo di tipo humiano, professò il siciliano COSMO GUASTELLA.

Patrie del positivismo furono Francia, Inghilterra e Italia, ma esso trovò numerosi adepti anche altrove, anzi si può dire che impregnò di sè la cultura scientifica e quella pseudoscientifica contemporanea in tutte le parti del mondo. Confluirono nella facile filosofia positivistica le varie tendenze e concezioni culturali moderne, che ricevettero da essa un’elaborazione e una sistemazione agevolate dall’affinato e allenato spirito moderno, specie dell’ Europa occidentale. Tutti i campi dell’umana attività ne vennero influenzati, dal diritto alla politica, dall’economia alla letteratura.
Trovò cittadinanza anche in America; ma, ciò che fa meraviglia, perfino nella Germania di un Leibniz, di un Kant e di un Hegel, dove però assunse un carattere critico, come si vede nella filosofia dell’esperienza pura o empiriocriticismo di RICHARD AVENARIUS e di ERNST MACH.

Vogliamo pure notare il già ricordato WILHELM WUNDT, di cui è interessante la teoria dell’eterogenesi dei fini, per la quale si riconosce che spesso l’uomo realizza con le sue azioni dei fini diversi, o che vanno oltre quelli propostisi: teoria già abbozzata dal nostro Giambattista Vico.

VALUTAZIONE DELLA SCIENZA

La filosofia è in crisi, come sono in crisi tutte le forme di attività umana. Non è la prima volta, come non sarà l’ultima. È l’eterna crisi dello spirito umano, e la consapevolezza di ciò deve contribuirà a renderci riflessivi ed equanimi. Nemmeno la scienza, che dal Cinquecento in poi abbiam visto affermarsi orgogliosa dei suoi progressi, e le cui applicazioni pratiche hanno trasformato veramente la nostra vita, non si è potuta sottrarre, nella sua valutazione, alla crisi spirituale e culturale, in cui ci troviamo.

Qual è oggi, infatti, la valutazione della scienza?

Ricordiamo che il razionalismo aveva dogmaticamente supposto una corrispondenza fra scienza, e realtà o verità oggettiva e che il risultato ultimo dell’empirismo fu di mettere in rilievo l’impossibilità di verificare tale corrispondenza. Ricordiamo ancora che il Kant mostrò che la realtà conosciuta dipende dalla scienza nostra, e che quindi la corrispondenza c’è necessariamente, ma che, appunto per ciò, si tratta di realtà nostra, cioè di realtà fenomenica, non di realtà in sè.

Sappiamo che nell’idealismo postkantiano non c’è più distinzione fra realtà fenomenica, o nostra, e realtà in sè: la realtà, tutta quanta, è la realtà della scienza nostra.

Orbene, tale svolgimento del criterio filosofico e tale conclusione di carattere idealistico e qualitativo furono accompagnati da grandissimo incremento (teoretico e pratico) delle varie scienze, però prevalentemente su base quantitativa, meccanicistica. Così abbiamo avuto la teoria atomica nella chimica da Antoine-Laurent LAVOISIER in poi, con le combinazioni chimiche e le valenze (PRIESTLEY, CAVENDISH, PROUST, DALTON, CANNIZZARO); la teoria meccanica nella fisica, con la legge della conservazione dell’energia (MAYER, CARNOT); la teoria cinetica dei gas (BERNOULLI); scoperte e applicazioni nel campo dell’elettricità (GALVANI, VOLTA, FERRARIS, PACINOTTI, COULOMB, AMPÈRE, ecc., e più recentemente EDISON, HERTZ, RIGHI, MARCONI); la meccanica celeste e nuove teorie cosmogenetiche, come quella della nebulosa di KANT e LAPLACE. In biologia invece si divisero il campo il vitalismo (STHAL) e il materialismo (BÜCHNER): quello in sostituzione e questo in continuazione del meccanicismo cartesiano.
Tenne una via di mezzo CLAUD BERNARD.

In generale si delinea in questo campo una concezione nettamente naturalistica e immanentistica; da qui la teoria dell’evoluzione (LAMARCK, DARWIN, SPENCER); da qui anche lo sviluppo d’una psicologia fisiologica e il sorgere della psicologia sperimentale, per cui è parso che anche la vita della coscienza rientrasse nell’universale meccanismo. Ma ora?

Ora, abbandonato, per maturazione della tendenza detta più sopra, il concetto che la scienza sia la riproduzione d’una verità oggettiva, ossia rispondenza del pensiero a una realtà distinta e indipendente, la teoria dell’evoluzione ha coinvolto tanto la realtà quanto le forme dello spirito e lo spirito stesso, e perciò anche la scienza. Questa non diventa che lo strumento utile alla vita, e i suoi cancelli non hanno che valore pratico, mutevole col progredire dell’evoluzione.

Una conferma di questo pragmatismo scientifico si è avuta nello stesso mutarsi di teorie matematiche e meccaniche, prima ritenute immutabili. Esempi notevoli: La geometria non-euclidea (GAUSS, LOBATSCHEWSKI); la teoria della relatività, applicata alla concezione dell’universo (EINSTEIN); la nuova elaborazione logica delle matematiche; la dichiarata infondatezza della teoria della conservazione dell’energia e quindi del meccanismo assoluto; la teoria elettrica della materia (LORENTZ, MAXWELL), per la quale la materia non sarebbe qualcosa di diverso dall’energia, ma una fase momentaneamente fissatasi di essa e che si può trasformare, dissociandosi nelle altre forme instabili, come elettricità, luce, calore. Da qui è venuta la crisi della stessa teoria atomica; da qui gli studi sulla genesi degli elementi (CROOKES, RÖNTGEN, CURIE).

Davanti a queste ricerche e a queste teorie, il nostro pensiero non corre forse spontaneo alle dottrine dei presocratici, che aprirono il ciclo plurisecolare della filosofia europea?

Gli stessi postulati della geometria son ritenuti dal matematico francese HENRI POINCARÉ (1853-1912) “convenzioni” convenienti, la cui accettazione è guidata dai fatti sperimentali e dal principio di coerenza interna. Per il già ricordato ERNST MACH (1838-1916), non essendo la realtà che il complesso dei fenomeni, il compito e il valore della scienza stanno nello schematizzare, in brevi formule matematiche, i fenomeni, cosi da ottenere praticamente un’economia di pensiero. Lo stesso criterio segue il fisico scozzese JAMES MAXWELL (1831-1879), il quale però vorrebbe che, invece di schematismi astratti e di formule matematiche, i concetti scientifici fossero rappresentati con immagini sensibili, basate sull’analogia.
Le teorie scientifiche sono per lui giustificabili in quanto rendono possibile la previsione dei fatti, e non è escluso che immagini diverse possano servire allo stesso fine.

Non sono mancati i filosofi che hanno tratto da queste premesse le ultime conseguenze: ÉMILE BOUTROUX (1845-1921), parlando di contingenza delle della natura, infirma l’assolutezza e la costanza delle teorie scientifiche; Henri-Louis BERGSON (Parigi, 18 ottobre 1859 – Parigi, 4 gennaio 1941) si fonda tutto sull’intuizione e nega a qualunque concetto determinato e fisso, e quindi logico e scientifico, valore di vera e reale conoscenza; BENEDETTO CROCE (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 – Napoli, 20 novembre 1952) chiama i concetti scientifici, pseudoconcetti; GIOVANNI GENTILE (Castelvetrano, 29 maggio 1875  – Firenze, 15 aprile 1944) ritiene la scienza come un momento astratto e unilaterale della vita dello spirito.

Tutto ciò, se conferma quanto è stato detto più innanzi, cioè che la scienza non può aspirare a fondamentale valore teoretico, non infirma per nulla il suo grande valore pratico.

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