CHE COSA SONO LE NUVOLE? – Pier Paolo Pasolini

CHE COSA SONO LE NUVOLE?

L’ immondezzaro (Domenico Modugno) passa cantando una canzone d’amore nel cortile di servizio di un teatro, dove sta per svolgersi, sotto gli occhi di un pubblico piuttosto popolare, la shakespeariana tragedia di Otello. A interpretarla, un gruppo di marionette parlanti, metà uomini, metà pupazzi: i “personaggi” della tragedia, Jago (Totò), Cassio (Franco Franchi), Desdemona (Laura Betti), Bianca (Adriana Asti), Roderigo (Ciccio Ingrassia). Il marionettista (Francesco Leonetti) appronta per ultima la marionetta di Otello (Ninetto Davoli), dopodiché la tragedia ha inizio. Il nuovo nato Otello chiede informazioni alle altre marionette sul proprio essere al mondo, sul canto dell’immondezzaro, ma poi tocca a lui agire, e, senza chiedersi nulla, recita la sua parte, mosso dagli evidenti fili del marionettista, in questa versione comico-naive del dramma shakespeariano (che ben s’adatta ad un pubblico semplicistico e rissoso, indolente e schematico, simile a quello dei café-chantant dell’anteguerra). Tra una scena e l’altra due tristi figuri marcano il passaggio del tempo con il mandolino. Vero protagonista della vicenda è la marionetta più anziana, quella di Jago, che trama per pura perfidia alle spalle del romanesco e ingenuo Otello, inscenando il falso tradimento di Desdemona, e pavoneggiandosi dinanzi al pubblico per la propria geniale cattiveria. Otello, dietro le quinte, è attanagliato dal dubbio: “Ammazza Jago, quanto sei cattivo, quanto sei cattivo, io te credevo così bbono, e invece…”.
Ma di fronte alla rassegnazione di Jago, messo al mondo proprio per compiere il suo perfido inganno, Otello si chiede: “Ma perché dovemo esse così diversi da come se credemo, ma perché?”, al che Jago risponde, con la stessa rassegnazione: “Eh, figlio mio, noi siamo in un sogno dentro un sogno”. Intanto Cassio, licenziato da Otello perché ingiustamente accusato da Roderigo, si reca da Desdemona a chiedere una raccomandazione per essere riassunto come luogotenente, e Desdemona gliela accorda. Subito dopo ha luogo il celeberrimo stratagemma shakespeariano del fazzoletto, la “prova” del tradimento di Desdemona. Jago è così giunto al culmine della sua trama, e scatena in Otello una gelosia bandita dal dubbio razzista: Desdemona preferisce Cassio perché è “di carnagione bianca”.
Quando “quel negro porco zozzo” (come lo ha definito Jago) di Otello si inalbera, cadendo nell’imbroglio, il pubblico comincia a fischiare e a protestare. Tra le quinte, Otello piange sul suo destino, e chiede al marionettista spiegazioni: “A sor mae’, perché devo crede nelle cose che me dice Jago, perché so’ cosi stupido”? Il marionettista spiega che forse è perché lui vuole davvero uccidere Desdemona, alla quale, del resto, forse piace essere uccisa. Otello non è soddisfatto di questa laconica e incerta spiegazione, e si chiede che cosa sia, davvero, la verità. Allora Jago gli spiega che la verità è quello che sente, se si ferma ad ascoltare, dentro di sè”, ma che “appena la nomini, non c’è più”. La scena del delitto sta per avere luogo, ma il pubblico, prendendo la finzione della tragedia alla lettera, invade con indignazione il palco, e in un tramestio di vecchie canottiere, di volti grigi e di giacche lise, Otello e Jago vengono linciati e uccisi, mentre Cassio e Desdemona, le vittime dell’imbroglio, portati via in trionfo. Le marionette superstiti, riposte tutte in fila nei camerini, piangono la scomparsa dei loro amici. Stavolta l’immondezzaro, “quello che viene, prende i morti e se ne va”, è venuto per portarsi via Jago e Otello. Buttate nello sgangherato camioncino dell’immondizia, immobili in mezzo a un mucchio di rifiuti, le marionette di Jago e Otello si guardano intorno, frastornate e stranite, mentre, in silenzio, piangono di paura. Ma non appena vengono gettati nella discarica, in mezzo ad un mare di rifiuti, i due, sdraiati con il viso contro il cielo, per la prima volta, scoprono il mondo. Del mondo terreno, non vedono che i rifiuti di cui sono ricoperti. Ma fissando lo sguardo in alto, Jago e Otello scoprono che in un cielo terso d’azzurro, scorrono delle magnifiche, enormi nuvole bianche. Il film si conclude con questo dialogo, contrappuntato da controcampi del cielo percorso dalle nuvole: “Otello – Iiiiih, che so’ quelle? Jago – Sono… sono… le nuvole… Otello – E che so’ le nuvole? Jago – Boh! Otello – Quanto so’ belle! Quanto so’ belle! Jago – Oh, straziante, meravigliosa bellezza del creato!

Fonte video: YouTube – Novella Vaga

La vita delle marionette è nel contempo metafora della vita interiore e metafora della vita esteriore: da questo gioco ambiguo nasce la sensazione di inestricabilità del significato di questa fiaba. Il cammino delle marionette verso la coscienza, cominciato con i dubbi fuori scena dell’ingenuo Otello, si compie con la morte, unico attimo in cui avviene la comprensione della verità, di quel tutto senza tempo e senza scopo che sovrasta le singole esistenze: come Pasolini aveva già detto nella poesia-commento del film La Rabbia, “noi non siamo mai esistiti, la verità sono queste forme nella sommità dei cieli”. Sono duci termini di questo itinerario che è la vita: il primo è il Dio-marionettista, la cui imperscrutabilità è data dal quel “forse” con cui risponde alle domande dell’angosciato Otello, un dio inane, a misura d’uomo, un dio artigiano che si limita a costruire e mettere in azione, e lascia al pensiero che riflette il compito di girare a vuoto attorno al problema dell’impronunciabile verità, verità che, in questo ambito (durante la vita mortale), diviene un bene esclusivamente personale, interiore. Un Dio-autore, quello di Pasolini, nella finzione come nella realtà, che ha il volto e la voce dell’amico-scrittore Francesco Leonetti, la stessa voce del “corvo” di Uccellacci e uccellini. Il secondo termine è l’immondezzaro, che puntualmente viene a prendersi i morti-marionette: una morte triste come può esserlo un innamorato che canta (con la voce di Modugno) parole che Pasolini ha riadattato dall’Otello shakespeariano, una morte vitale e puntuale, dal cui freddo e meccanico “togliere dal mondo” della finzione le marionette pensanti ha origine la vera coscienza del mondo, attraverso quell’esperienza della “morte vitale” che è il nodo gordiano del pensiero di Pasolini. Il regista ha suggerito che le marionette “lì, in quell’immondezzaio scoprono il mondo, che sarebbe il loro paradiso”. Ma se il mondo come creazione pura e semplice, astratta dal fattore umano, è il paradiso, la società chiusa e squallida degli spettatori, in cui sussiste l’obbligo di agire secondo un ruolo prestabilito da altri, per poi pagarne personalmente le conseguenze, è un vero inferno, il cui braccio armato è la scempiaggine del pubblico-massa, che reagisce solo in base alla schematizzazione di ciò che vede, esteriormente, accadere. Il pubblico entra nell’opera e la fa a pezzi: ed è solo questo ciò che può fare nella sua somma inconsapevolezza, nel suo abbrutimento sociale, nell’accecamento che nasce dal non comprendere ciò che si consuma, e da cui si pretende, in quanto paganti, la piena soddisfazione delle proprie aspettative, borghesemente “etiche”. Le marionette troppo colorate (si pensi alla faccia verde di Jago-Totò), quindi patentemente “false”, caricate di senso fino a diventare la caricatura dei personaggi che rappresentano, richiamano l’uso della “stranezza” cromatica di La Terra vista dalla Luna. La teificazione dell’uomo ha compiuto ormai il suo ciclo: l’uomo-creatura del pensiero, emblema dell’Occidente, l’uomo latore di quel “senso comune” attraverso cui si giudica e si percepisce un’opera d’arte, è ridotto ormai ad essere la marionetta di se stesso, ad un grumo di dubbi e di comportamenti coatti, secondo un copione sublime ma ormai mortificato e volgarizzato.
Ciancicato e Baciù accettavano l’identità di morte e vita, a patto che la morte fosse sempre comoda e godereccia come la vita; Jago e Otello nascono prigionieri e muoiono rifiuti, ma in questo morire intravvedono ciò che hanno perso: la vita come basilarità, come verità inenarrabile della bellezza che non ha tempo né nome. Ora Pasolini è pronto per un salto ulteriore, per l’abbandono definitivo di un assecondamento del “senso comune”: la rivolta linguistica avrà inizio con la poetica dell’immagine, un’immagine assoluta, sciolta dai legami logici, sbilanciata sul versante delle pure emozioni, sprofondata nel recupero di una preistoria dell’Occidente che viene fatta coincidere con il presente del Terzo Mondo: il tentativo di narrare l’inenarrabile, l’origine di quella vita che le marionette hanno intravisto per un istante prima di morire, avrà luogo con Edipo re.


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