LUDWIG FEUERBACH – ANTROPOLOGIA

Ludwig Andreas Feuerbach (Landshut, 28 luglio 1804 – Rechenberg, 13 settembre 1872) è stato un filosofo tedesco tra i più influenti critici della religione ed esponente della sinistra hegeliana.

L’antropologia di Ludwig Feuerbach

PREMESSA

Un primo aspetto dell’opposizione di Marx ad Hegel può venir formulato così: nella visuale hegeliana la filosofia si presenta come una riflessione volta alla comprensione-accettazione del mondo, nella visuale marxiana si presenta come un’impresa di comprensione-trasformazione. Quando Marx dice che “la teoria diviene una forza materiale allorché si impadronisce delle masse”, che il compito della filosofia è quello di procedere alla critica della terra (delle condizioni Politico-sociali) dopo aver compiuto la critica del cielo (della religione e della teologia), quando dichiara che i filosofi del passato si sono limitati a cercar di intendere la realtà mentre ora si tratta di mutarla (e sottintende, più profondamente, che la realtà può essere intesa soltanto nella prospettiva del suo mutamento, ossia la conoscenza vale in funzione dell’azione e al tempo stesso le esigenze dell’azione indicano la linea e il senso secondo cui la conoscenza ha da compiersi)…, quando Marx fa queste affermazioni, si mette in conflitto non soltanto con la millenaria tradizione prehegeliana e aristotelica in base a cui la filosofia deve essere “visione”, teoresi pura, sapienza autonoma scevra da rapporti con la pratica, ma si mette in conflitto con lo stesso Hegel il quale aveva, sì, connesso filosofia e mondo, ma – a parte ogni altra considerazione – aveva attribuito alla filosofia il compito di esprimere in forma di concetto la razionalità immanente di una realtà già fatta.

Negli anni in cui dal liberalismo radicale passa al comunismo (1842-47 circa), Marx propugna una “realizzazione della filosofia” che comporta la sua negazione” e viceversa. Il realizzarsi della filosofia significa razionalizzazione della realtà, emancipazione di un Proletariato formalmente libero ma di fatto assoggettato, costruzione di una nuova città umana più libera e consapevole; in questo processo si attua l’incorporazione delle istanze filosofiche nel mondo quotidiano, mentre ha luogo la soppressione o negazione della filosofia intesa come esercizio astratto del pensiero, come attività speculativa isolata.

LUDWIG FEUERBACH

Quello finora considerato è tuttavia solo un aspetto del rapporto Marx-Hegel, rapporto quanto mai complesso sul quale si è discusso moltissimo e molto ancora si discute; poiché, oltre agli elementi di radicale contrasto, figurano in esso elementi non trascurabili di continuità che rivelano un impegno di parziale recupero critico da parte di Marx. Come si prospetta dunque la posizione di quest’ultimo nei riguardi di Hegel? La risposta a questa domanda – che sarà per necessità estremamente sommaria e parziale – non può prescindere dal riferimento ad un altro pensatore:
Ludwig Feuerbach, nato a Landshut in Baviera nel 1804, vissuto quasi sempre in solitudine (da cui valse a trarlo per un momento la rivoluzione tedesca del 1848-49 quando gli studenti di Heidelberg lo vollero in quella università), e spentosi quasi in miseria nel 1872.
Sotto il Profilo filosofico, notevolissimo è il debito intellettuale di Marx e di Engels verso Feuerbach. Marx ha fatto tesoro della critica da lui mossa allo hegelismo seguendolo decisamente su questa via e approfondendone i contributi; ma ha poi – e di qui viene la superiore maturità della sua posizione – fatto valere contro lo stesso Feuerbach alcuni lati della lezione hegeliana la cui validità era sfuggita al pensatore di Landshut.
Feuerbach ha percorso interamente l’arco dell’esperienza hegeliana, partendo da una iniziale adesione, che lo poneva però già in contrasto con l’interpretazione accademica di destra, fino al distacco definitivo sfociato in un naturalismo umanistico lontano dalle posizioni originarie.
Nel complesso di obiezioni che egli è venuto rivolgendo al suo antico maestro, toccheremo qui soltanto. due punti di particolare rilievo.

Anzitutto Feuerbach respinge la pretesa della filosofia hegeliana di essere priva di presupposti, di voler far sorgere e giustificare tutto nel corso dell’esposizione, di non avere alle proprie spalle punti di partenza che precedano il discorso stesso.
Nel perseguire questo tentativo, Hegel pone all’inizio del suo sistema non alcunché di particolare, che a sua volta rimanderebbe ad altro, bensì l’Essere indeterminato che costituisce appunto la prima categoria della sua Logica.
L’Essere hegeliano – in quanto vuoto di determinazioni – si converte o trapassa nel Nulla; a sua volta questo trapassare dà luogo al Divenire, e alle ulteriori categorie.
Senonché, non sono forse dei presupposti, tacitamente assunti, il concetto di indeterminatezza e la rappresentazione stessa del trapassare?
Non è forse un presupposto il fatto che Hegel abbia cominciato con il puro Essere e non con l’essere sensibile determinato?
E se si toglie all’essere ogni determinazione – osserva ancora Feuerbach – non abbiamo forse un puro zero?

Feuerbach insiste sulla necessità per la filosofia di riconoscere dei presupposti rispetto al suo stesso discorso, e questi presupposti sono le cose esistenti “qui ed ora”, intuite da un soggetto anch’esso esistente “qui ed ora”.
Il “questo” in generale con cui nella “Fenomenologia dello spirito” Hegel inizia l’analisi della coscienza, è un falso “questo”, un “questo” teorizzato e astratto che nulla ha a che fare con la realtà singola e inconfondibile che ho qui davanti a me. (Notiamo per inciso che questa ed altre critiche anti-hegeliane del filosofo di Landshut mostrano una singolare parentela teorica – Per quanto situate in un contesto ideale del tutto differente – con le critiche anti-hegeliane di Kierkegaard, il pensatore danese precursore dell’esistenzialismo).

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Le osservazioni precedenti conducono a quella che è l’obiezione capitale di Feuerbach. L’idealismo speculativo hegeliano è, a suo avviso, la “alienazione che la ragione fa di se stessa”, il pensiero dell’uomo posto al di fuori dell’uomo.
Con un procedimento analogo a quello dell’alienazione religiosa, in cui l’uomo proietta qualità e aspirazioni e ideali propri in un ente divino fittizio, l’attività del pensante concreto viene qui trasposta in un Pensiero in assoluto (il Logos, l’Idea) dal quale la vita spirituale dell’uomo e il mondo della natura e della storia in genere vengano fatti dipendere. Ecco perché Feuerbach ravvisa nell’idealismo di Hegel un grosso residuo di teologismo, anche se mondanizzato e immanentistico, ed ecco perché definisce la Logica hegeliana “una teologia modernizzata e razionalizzata”.

In Hegel, in altri termini, non sono gli uomini in carne ed ossa che pensano ed operano, ma piuttosto la Ragione o l’Assoluto che pensa ed opera in essi. Si avrebbe in tal modo un rovesciamento tra “soggetto e predicato”, in conseguenza del quale il predicato non viene riferito al soggetto (ad esempio il pensare al complesso della personalità umana situata nel mondo), ma viene entificato o sostanzializzato come una realtà che ha il suo fondamento in se stessa e di cui il “soggetto” è ridotto ad una manifestazione.

Come dicevo, Marx ha largamente utilizzato la parte critica del pensiero di Feuerbach, ed ha parimenti tratto feconde suggestioni dal suo naturalismo antropologico che radica l’uomo nella natura e ne rivendica la materialità e corporeità, troppo spesso trascurate e svalutate dai filosofi.
L’uomo è il suo corpo, e il corpo – d’altra parte – è il corpo dell’uomo, cioè cosa umana e non semplicemente animalesca e ferina.
Feuerbach insorge contro la tradizione spiritualistica e idealistica che aveva risolto la realtà umana nell’anima, nella coscienza, nella razionalità.
Da un lato egli afferma che l’uomo è anche, e prima ancora, bisogno, appetito, sensibilità, emozione; dall’altro, afferma che l’uomo realizza la propria essenza nel legame vivente tra gli uomini, nel dialogo tra l’Io e il Tu, nel culto dell’Umanità che deve soppiantare il vecchio culto di un dio trascendente.
Un’eco della polemica feuerbachiana contro la pretesa di non partire da presupposti e di effettuare una deduzione autonoma, può esser colta in un passo della Ideologia tedesca, scritta tra il 1845 e il ’46 da Marx in collaborazione con Engels, ma pubblicata solo nel 1932:

…”Questo modo di giudicare non è privo di presupposti.
Esso muove da presupposti reali… [che] sono gli uomini, non in qualche modo isolati e fissati fantasticamente, ma nel loro processo di sviluppo, empiricamente constatabile, sotto condizioni determinate”.
E ancora…

” Essi [i presupposti] sono gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti, quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione”.

Quasi contemporaneamente, nelle pagine di un’altra opera di carattere polemico, “La sacra famiglia”, Marx ed Engels rifiutano il mito di una Storia concepita come entità in sviluppo dotata di una sua volontà e di suoi scopi:

“La storia non fa niente, non possiede nessuna enorme ricchezza, non combatte nessuna battaglia.
E’ l’uomo, invece, colui che fa tutto…; non è affatto la storia che si serve dell’uomo come mezzo per attuare i suoi finì, come se essa fosse una persona a sé …”.

La concezione di una Storia che si fa mediante gli uomini (l’hegeliana “astuzia della Ragione”!), è una mistificazione che denuncia subito la sua origine metafisico-teologica.
Ciò che si dice “storia” è l’intreccio delle azioni umane, il risultata dell’affrontarsi dei progetti di uomini socialmente e storicamente condizionati.
Quindi, è facile vedere nelle parole ora citate l’influenza dell’opera demistificatrice di Feuerbach, la sua riabilitazione dell’uomo empirico e terrestre contro l’idealismo speculativo di Hegel.

In uno scritto anteriore, dal titolo “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico”, Marx aveva applicato lo schema critico feuerbachiano della inversione soggetto-predicato alle tesi giuridico-politiche di Hegel.
Questi affermava, nell’ambito dello spirito obiettivo e dell’eticità, la priorità logica dello Stato rispetto alla famiglia e alla società civile; in quanto incarnazione dell’Idea, lo Stato si realizza, secondo Hegel, nelle due “sfere finite” della famiglia e della società civile, onde quest’ultime sono in funzione dello Stato e non viceversa. Marx sostiene, al contrario, che è l’organizzazione sociale a costituire l’elemento attivo, l’elemento che è in grado di configurare un dato tipo di organizzazione politica e statuale.
Nella mistificata costruzione hegeliana, “la condizione [in questo caso la società] diventa il condizionato, il determinante il determinato, il producente il prodotto del suo prodotto” …

Tuttavia Marx, pur avvalendosi della “Pars destruens” di Feuerbach e portandola avanti, pur riprendendo da lui non pochi suggerimenti, avverte i limiti della sua visuale, addebitabili sostanzialmente ad una mancata assimilazione di quanto di vitale vi era nello storicismo e nel dialettismo hegeliani. E tali limiti sono sottolineati in modo drastica sia nell’Ideologia tedesca sia nelle Undici Tesi, sia, con argomentazioni parzialmente diverse, nel saggio engelsiano del 1888 su Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca.

Il materialismo di Feuerbach non riesce a liberarsi dalle premesse gnoseologiche del materialismo e realismo vecchio stile, non è un materialismo della prassi.
Feuerbach intende l’intuizione sensibile come apprendimento immediata di un ente, apprendimento nel quale il senziente accoglie in modo sostanzialmente passivo la realtà esterna, laddove l’uomo non è una tabula rasa neppur ai livelli percettivi giù elementari.
Non esiste percezione che sia pura e semplice copia di una realtà esterna, poiché ogni sensazione o meglio percezione è attivamente influenzata da fattori pratico-vitali: vale a dire da abitudini, preferenze, attese, speranze e timori, scopi che ci prefiggiamo…, la cosa sensibilmente esperita è anche, al tempo stesso indissolubilmente cosa usata o da usare, cosa goduta o sofferta.
Non c’è pertanto conoscenza “pura”, ma attività pratico-sensibile, “gnoseo-prassi”.
Il percepire-conoscere è anche, intrinsecamente, un fare-progettare.

Inoltre Feuerbach oscilla tra il materialismo (con le insufficienze anzidette) e l’idealismo.
Il rapporto interumano, oltre ad essere concepito naturalisticamente come unità biologica della specie, è da lui visto alquanto astrattamente e idealisticamente come vincolo sentimentale di amicizia e di amore.
L’unione di Io e Tu non è integrata in una trama di relazioni intersoggettive che abbia a proprio fondamento l’attività produttiva e la posizione in cui i ceti e le classi vengono a trovarsi tra loro…, il dialogo inter-umano si compie al di fuori di una precisa socialità avente il proprio perno nel lavoro.
Per Feuerbach, il materialismo e storia sono del tutto divergenti”.
Nella misura in cui egli è materialista, ignora o non valuta sufficientemente l’attività, la prassi, la storicità…, nella misura in cui prende in considerazione la storia, non è materialista: ossia non tiene nel debito conto la realtà della vita produttiva, le condizioni materiali di esistenza, gli antagonismi concreti che dividono gli uomini.
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