JACOB BÖHME

LE GRANDI SINTESI

Tra gli ultimi decenni del 500 e i primi del 600, tre grandi figure di pensatori chiudono quest’età, acc0gliendo nelle loro vaste sintesi i motivi più caratteristici affermatisi nel Rinascimento e destinati a ulteriori sviluppi: JACOB BÖHME, GIORDANO BRUNO e TOMMASO CAMPANELLA.

JACOB BÖHME (1575-1624) fonde, in un vasto sistema teosofico, il mondo d’idee etico-religiose che l’ermentava nel movimento della Riforma, con quella più o meno fantasiosa e torbida scienza della natura, che era la magia. Il problema che egli senti più profondamente e attorno a cui si travagliò nelle lunghe meditazioni della sua giovinezza – di calzolaio errante da paese a paese -, era il problema del peccato e in generale il problema del male. Nel tentare di chiarirlo, egli svolse fino alle più ardite conseguenze questo motivo schiettamente mistico: fare Dio partecipe del dramma cosmico e considerare l’uomo come l’essere nel quale quel dramma giunge alla luce della consapevolezza e trova con ciò la possibilità del suo scioglimento.

La vita dell’universo si svolge tutta per antitesi: ogni cosa, grande o piccola, è quel che è in virtù d’un contrasto immanente tra un principio positivo e un principio negativo, tra il Sì e il No. Senza le tenebre la luce non sarebbe luce, nè senza luce le tenebre sarebbero tenebre: ogni essere non può affermare sè medesimo, se non opponendosi al suo contrario.
Ecco la drammaticità dell’universo: l’essere delle cose è nel loro generarsi attraverso la coincidenza degli opposti, e, in ultima analisi, di quelli che sono gli opposti supremi, il Bene e il Male. Tutta la realtà non s’intende se non sotto la specie dell’azione, se non cogliendo di la dall’apparenza rigida delle cose quell’attività generativa da cui esse scaturiscono.
Lo stesso è, naturalmente, dell’uomo. Egli è un microcosmo: la sua essenza è, si, la sintesi di tutti gli elementi che formano la realtà universale: il divino, il celeste, il terrestre. Ma è, questa, una sintesi in perenne formazione, che sussiste per l’irrequieto tendersi di forze contrastanti verso una superiore unità. Nell’uomo quel perenne agitarsi che è proprio di tutto l’universo, è illuminato dalla coscienza chiara del fine a cui esso oscuramente tende, senza mai giungervi, esprime cioè pienamente la natura di quella forza universale, di quell’eterno Volere che è Dio.
Se il concetto stesso di Dio implica che egli sia in tutto e che sia anzi tutto, e se la vita della realtà è antitesi e lotta, culminante nel contrasto tra Bene e Male come condizione del realizzarsi della natura delle cose, ciò vuol dire che in Dio stesso è contenuta quest’opposizione. Il contrasto tra Bene e Male è eterno nella stessa unità originaria di Dio; e insomma anche Dio non può rivelarsi se non attraverso quest’antitesi.
Il dramma cosmico e umano diventa così dramma divino: e anzi solo riguardando la realtà universale e umana dal punto di vista dello sviluppo divino, ci è dato afferrarne l’intimo segreto. L’intuizione luminosa di questa verità segna per il Böhme appunto il sorgere dell’aurora della filosofia: filosofare è non già contemplare dal di fuori lo spettacolo dell’universo con le fallacie dei sensi e col vano giuoco dell’intelletto che analizza e astrae dai dati sensoriali: e bensì porsi nel cuore della realtà, è partecipare all’opera divina, onde l’universo si genera, rifarla in sè stessi, immergersi nella corrente dell’attività di Dio, risalire alla prima sorgente di essa, seguirla nel suo cammino, intravederne la foce; sperimentare così il nascere di Dio, il suo svilupparsi, la genesi del mondo da lui, la penetrazione in esso del male e della corruzione, il ritorno del mondo a Dio. E questo vuol dire conoscer noi stessi. “Considera te stesso; cerca te; trova te; ecco la chiave della sapienza”. Facendo la storia di Dio e del mondo, l’uomo fa la storia di sè stesso, la storia del proprio spirito.

E quando si dice storia, sembra si dica narrazione di fatti che si sono succeduti gli uni agli altri nel tempo, compiutisi una volta nel passato. Ma questa è, per Böhme, anch’essa una metafora, resa necessaria dalla imperfezione della nostra riflessione discorsiva, che esige un principio, un decorso, un fine, un succedersi. Ciò che invece si tratta di determinare, sotto la specie della storia, è l’eterno, quel che è al di fuori di ogni spazio e di ogni tempo ed è tutto in ogni spazio e in ogni tempo; processo che perennemente si rinnova e si compie nell’intimo di ogni essere. Si tratta, in una parola, di stabilire – sotto il simbolo della storia di Dio e del mondo – quali sono le condizioni essenziali e permanenti della vita dello spirito considerato come realtà assoluta.

* JACOB BÖHME (Alt Seidenberg, 24 aprile 1575 – Görlitz, 17 novembre 1624) esercitò in gioventù il mestiere di calzolaio; ben presto le sue meditazioni lo portarono a romperla con l’ortodossia dominante. L’opera sua principale ha il titolo Aurora oder die Morgenröte im Aufgang (L’aurora nascente) (1610).

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