IL LAVORO NEL MEDIOEVO

Statuti della società dei Drappieri e Bracciaioli (miniatura del XV secolo)
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La natura, negli scritti dei primi Padri della Chiesa, è il regno dell’uomo, creato immagine e somiglianza di Dio; essa merita quindi considerazione ed ammirazione, come parte del creato, e l’uomo può e deve, per rendersi migliore e più simile al Creatore, valersi di quanto la natura gli offre. Le capacità e le arti tecniche son viste come una testimonianza delle qualità superiori dell’anima.

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Ecco una stralcio dal  De hominis opificio di Gregorio Nisseno (IV secolo) interessante e concreta rappresentazione dell’uomo come essere dotato di intelligenza e destinato per questo a servirsi di quanto gli offre la natura per migliorare le sue condizioni di vita ed elevarsi così al di sopra degli animali:
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… “la lentezza e la pesantezza del nostro corpo richiedevano i servizi del cavallo, e questo fu addomesticato… II non poterci nutrire d’erbe rese utile alla vita il bue, che con il suo lavoro ci aiuta a procurarci il necessario sostentamento… Più forte delle corna e più acuto degli artigli è poi per l’uomo il ferro che non fa parte del nostro corpo… ma che può esser deposto dopo che ci è servito”.
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Ed ecco ora uno stralcio della Lode al creato di Sant’Agostino (354-430):
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“…. A quali opere è pervenuta l’industria umana dei vestimenti e degli edifici! …Quanto ha progredito nell’agricoltura e nella navigazione! Quante opere ha ideato e compiuto nella fabbricazione di ogni sorta di vasi, statue e pitture! … Quali e quante cose ha trovate per catturare e domare le bestie, e contro gli uomini stessi quanti generi di veleni, d’armi, di macchine da guerra, quanti medicamenti ha escogitato per riparare la salute del corpo! Quanti condimenti e delizie ha prodotto pure per il diletto della gola! …”.
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Anche il lavoro manuale, nel primo Medioevo, non tu più guardato con il distaccato disprezzo delle classi colte del mondo greco e romano, ma considerato e stimato. Il lavoro manuale praticato nei monasteri fin dal primo Medioevo, costituì, nel periodo che va dall’epoca di San Benedetto da Norcia (VI secolo) a quella dei francescani (XII secolo), parte essenziale delle regole degli ordini monastici:
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“Felice colui che si guadagna il pane con il lavoro delle proprie mani”…. diceva San Giovanni Grisostomo (seconda metà del IV secolo).
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Teofilo, monaco benedettino tedesco dell’undicesimo secolo, in un interessante scritto invita a lavorare in silenzio con le proprie mani per la gloria di Dio e per il bene di coloro che soffrono, e procede per lunghe pagine a descrivere una serie di processi tecnici e tecnologici per costruire attrezzi, arnesi e manufatti diversi, rivelando una profonda conoscenza in  materia.
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Come ho accennato, nel primo Medioevo i monasteri furono anche centri di comunità agricole, ed entro alle loro mura i monaci, in attrezzate officine, producevano oggetti e arnesi diversi, molti dei quali di grande pregio.
Ma il grande peso dato dai primi monaci al lavoro manuale fu, nell’epoca successiva, assai attenuato; basti considerare la posizione di San Tommaso d’Aquino:
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“Se uno potesse mantenersi in vita senza mangiare, non sarebbe tenuto a lavorare con le mani. Lo stesso discorso vale per coloro i quali, da altre fonti, hanno quanto occorre per poter vivere in modo lecito.
In quanto però il lavoro manuale ha per scopo di vincere l’ozio o di mortificare il corpo, esso di per sè non cade sotto l’obbligo del comandamento in quanto oltre al lavoro manuale esistono molti altri modi per mortificare il corpo e vincere l’ozio.
Da ultimo, in quanto il lavoro ha per scopo le opere di misericordia, esso non cade sotto l’obbligo di comandamento se non, alla peggio, nel caso in cui uno sia tenuto per qualche dovere a compiere delle opere di misericordia e non abbia nessun altro mezzo per aiutare i poveri.
Se quindi la regola dell’ordine non contiene particolari norme sul lavoro manuale, i religiosi non sono altrimenti obbligati al lavoro manuale che i laici”.
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Anche se questo passo non appare di immediata e tacile interpretazione, e, per valutarlo a fondo, andrebbe considerato assieme ad altri scritti, ne emerge chiaramente una valutazione del lavoro manuale assai diversa da quella data da San Giovanni Grisostomo o da Teofilo, e cioè di un’occupazione rispettabile, ma non certo essenziale e tale da meritare molta considerazione.
A conferma di questo, se pur gradualmente, i monasteri cessarono ben presto di essere centri di produzione artigianale e di studio delle più avanzate tecnologie.
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Come ho accennato, il cristianesimo contribuì in maniera sostanziale allo sfacelo dell’Impero Romano, diffondendo il concetto della creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio e dell’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte al loro Creatore.
Con il diffondersi del cristianesimo. fu facilitata e resa più spedita, particolarmente nel primo periodo del Medioevo, il superamento della schiavitù, che avvenne, come tutti i fenomeni di massa, con una certa gradualità.
La posizione su questo punto, era ben chiara nel primo periodo cristiano, e cioè quando l’Impero Romano era ancor forte, come si deduce, tipico esempio, da un passo della Lettera ai Galati di San Paolo:
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“Non c’è nè ebreo, nè greco, nè schiavo, nè uomo libero, nè uomo, nè donna, ma siete tutti assieme uno solo in Gesù Cristo”.
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Meno ben definita appare la posizione dei teologi di alcuni secoli dopo, i quali tendono a considerare la schiavitù non più una palese ed inumana ingiustizia sociale, ma una posizione divina, uno stato che doveva essere sopportato con pazienza qualora il padrone rifiutasse di concedere l’affrancamento.
Tale era ad esempio la posizione dello stesso Sant’Agostino, come viene espressa chiaramente nel De Civitate Dei:
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“Ma anche la schiavitù imposta come pena, è soggetta a quella legge che comanda di osservare l’ordine naturale e vieta dl turbarlo. Chè se non si fosse mancato a quella legge, non si sarebbe costretti neppure per pena alla servitù. E quindi l’apostolo ammonisce anche gli schiavi che siano soggetti ai loro signori e che Ii servano con animo leggero e buona volontà…”.
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Comunque, con lo sfacelo dell’Impero Romano iniziò l’affrancamento degli schiavi, che procedette con lo svilupparsi delle comunità romano-barbariche nelle quali il passaggio fu graduale, ma continuo, facilitato sul piano ideologico dal retaggio della prima predicazione cristiana, e determinato, sul terreno tecnico, economico e sociale, dalla nuova struttura economica, sociale e tecnica nella quale lo schiavo costituiva già nel primissimo periodo un elemento non molto utile, sopravvissuto ad un’organizzazione sociale ormai tramontata, e in seguito un elemento inutile, o addirittura anacronistico.
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