BERLINGUER TI VOGLIO BENE – Giuseppe Bertolucci

BERLINGUER TI VOGLIO BENE

Berlinguer ti voglio bene è un film del 1977 diretto da Giuseppe Bertolucci, interpretato da Roberto Benigni e prodotto da Minervini & Avati. Il film uscì nelle sale il 6 ottobre 1977, ma non ottenne il successo auspicato, in parte per via del divieto ai minori di 18 anni, a causa di un utilizzo esasperato del turpiloquio e la presenza di situazioni spesso molto ambigue, ma soprattutto a causa di una distribuzione molto effimera nelle sale al di fuori del centro-nord Italia (all’epoca infatti pare che il film non sia proprio uscito in alcune regioni del Sud).

Interpreti e personaggi
Roberto Benigni: Mario Cioni
Alida Valli: madre di Mario
Carlo Monni: Bozzone
Mario Pachi: Gnorante
Maresco Fratini: Buio
Giovanni Nannini: don Valdemaro
Sergio Forconi: compagno Vladimiro Tesoroni
Franco Fanigliulo: cantante di “Romeo e Los Gringos”
Luigi Benigni: Martini
Chiara Moretti: ragazza nella casa del popolo
Rosanna Benvenuto: figlia claudicante di Martini

Enrico Berlinguer

Figlio del poeta Attilio e fratello minore del più famoso Bernardo, Giuseppe Bertolucci completa il terzetto di famiglia con una personalità sua, che forse non gode ancora di tutta la considerazione che merita. È un cineasta colto, rigoroso, con l’occhio da pittore e l’ingegno per la sperimentazione e la trasgressione. Da sceneggiatore esordi collaborando a Novecento e da regista tenendo a battesimo un comico anomalo come Roberto Benigni. Il quale, più giovane di cinque anni, lo ha sempre ritenuto suo padre intellettuale e nel 1987, dopo una lunga frequentazione artistica, gli ha anche dedicato una poesia intitolata Giuseppe, ti voglio bene.
L’inizio del loro sodalizio risale alla metà degli anni Settanta e per un buon biennio si concentrò sul personaggio di Cioni Mario, antieroe plebeo radicato nel dialetto toscano e nei luoghi nativi dell’attore, composto a quattro mani nella forma dominante del monologo, per una sorta di diario autobiografico. “Come in una seduta psicoanalitica, io vomitavo parole e Giuseppe ricuciva i discorsi, cercando di dargli una struttura teatrale”.
Infatti, sul finire del 1975, Cioni Mario di Gaspare fu Giulia venne ospitato in una cantina romana e da lì partì per un giro nei teatrini d’avanguardia nazionale.
Come cabaret era d’insolita natura, impregnato di cultura bassa, terragna, alla Ruzante per citare il primo esempio nobile che viene in mente. Sebbene definito un Woody Allen da letamaio, lo scomodo personaggio approdò, non senza scandalo, in televisione: prima nel programma in quattro puntate che doveva chiamarsi Televacca e si chiamò Onda libera, poi nell’originale televisivo Vita da Cioni ristretto in tre. E, finalmente anche in cinema, a due anni esatti dalla nascita. Era il primo film sia del protagonista sia del regista, e al personaggio veniva tolto il padre e data invece una madre, una madre degna di lui. Si tratta appunto di Berlinguer ti voglio bene (1977).

Roberto Benigni

Titolo libero come il linguaggio cionesco. La simpatia di Benigni per Enrico Berlinguer è ormai un dato acquisito: chi non ricorda l’episodio alla festa dell’Unità, con il comico che afferra il segretario del Pci e in qualche modo lo solleva in alto sul palco del comizio? Nel film il rapporto non è così risoluto ed è un po’ più conflittuale. Oggetto di culto il suo ritratto, come un’icona; che però nell’orto funge da spaventapasseri. Il giovanotto vota senz’altro per lui, ma non è che il compromesso storico Io entusiasmi. Comunista arcaico come la sua parlata, forse viene da lontano ma di sicuro non si sa quanto lontano possa andare, con tutti i problemi personali che gli gravano sul groppone. Secondo Benigni, “è un Pinocchio cresciuto: il babbo gli è morto e la Fata Turchina è diventata Berlinguer”. Tutto qui.
Orfano di padre, ha tuttavia una madre castratrice che gli procura un complesso edipico non da poco. “Brutto e scemo” è il complimento più leggero che riceve. Ma più lei lo aggredisce e soffoca (anzi soffòca) col suo odio, più lui le si avvinghia come all’unico amore di cui può disporre. A venticinque anni la sola attività sessuale praticata sembra essere la masturbazione. Le due parole che ricorrono più frequentemente nel suo eloquio sono “trombare” e “sega”, ma la prima è evidentemente virtuale. Eppure, nella balera all’aperto, una volta si trova addirittura tra le braccia una bella stangona che ha rifiutato tutti gli altri. Bene, è proprio il momento scelto dagli amici sciagurati per fargli credere che la mamma è morta. All’annuncio attraverso il microfono dell’orchestrina, il figliolo reagisce dandosi un buffo contegno d’indifferenza, poi scappa a casa percorrendo un argine lungo la campagna. La cinepresa lo segue con un interminabile carrello laterale, mentre lui, tra il gracidio dei rospi, si abbandona a un monologo della più cruda oscenità e
del massimo strazio.

Fonte video: YouTube – //mpk//

 

 

Memorabile sequenza, inquadrata alla Straub e parlata alla Testori. L’agghiacciante cascata di turpiloquio e bestemmie sfocia in dolente lamentazione: lo stato esistenziale del personaggio e la sua “coazione a ripetere” vengono messi a nudo in un esame analitico retto da una quasi insostenibile tensione tragica. Non che Berlinguer ti voglio bene sia tutto così o raggiunga spesso un tale livello: è anche una commedia, ma certo non è mai una commedia all’italiana.

Antico come una maschera contadina, moderno nell’esibizione del peggior gusto possibile (quella giacca a quadretti, quella cravatta rifiutata perfino da una nanerottola di paese), Cioni Mario ondeggia, infelice e rabbioso, tra sottoproletariato agreste e proletariato urbano (“cittadini della campagna!”, invita un altoparlante). Ma è soprattutto solo ed emarginato, nonostante i tre soci Bozzone, Buio e Gnorante, e benché il piccolo mondo cui appartiene parli compattamente, dall’inizio alla fine del film, il suo stesso inverecondo idioma, ossessivo e asfissiante. Un lessico che Bertolucci definisce “genitale”, dove la parolaccia non è usata per gratificare lo spettatore come nella commedia piccolo-borghese; bensì, nell’espansione grottesca e nella reiterazione beffarda, per turbarlo attraverso il sintomo di un disagio nascosto e profondo.

Le evasioni di Cioni Mario si consumano così, in week-end più tristi della settimana lavorativa, dentro un cinema a luci rosse che non lo eccita ma lo deprime, e in una casa del popolo molto affollata per via della tombola. Quando si passa al “culturale”, e il tema all’ordine del giorno è “potrà mai la donna pareggiare l’uomo?”, c’è da divertirsi alla concezione “reazionaria di sinistra” della quale il film, secondo Benigni, si fa qui per la prima volta portavoce.

Il duetto con la madre trascorre dalla violenza isterica della vedova (nel senso di donna “senza l’uomo”, appunto) alla tenerezza sdolcinata di colei che ancora imbocca e carezza il figlio come un lattante. Magari per indurlo all’incontro con una fidanzata dalla gamba di legno: intervallo risolto discutibilmente in una danza surreale con accelerazioni da vecchia comica, che comunque non elimina l’angoscia.

La prova più grave che tocca a Cioni è però quella di assistere con sgomento (e accentuata solitudine) a un miracolo: la mamma che forma con l’amico Bozzone una coppia felice e timorata di Dio, dopo un convegno sessuale nato invece dalla turpe accettazione, da parte del figlio, di venderla per un debito di gioco.

Ora se Bozzone, con le sue robuste invettive toscane e i suoi intermezzi poetici (magari rubati a Pervert), è impersonato da quel Carlo Monni che girava la Maremma con un giovanissimo Benigni inventando e recitando con lui falsi comizi campagnoli, la scommessa vinta da Bertolucci è stata di affidare ad Alida Valli, che ha accettato senza batter ciglio (un’altra aveva rifiutato con sdegno), la parte di megera iraconda e sboccatissima. Con due consolazioni però. La prima che la metamorfosi del personaggio le consente di riprendere alla fine, sebbene comicamente deformati, barlumi dell’antico splendore. E la seconda, che Bertolucci le avrebbe offerto, otto anni dopo, l’intensa figura della “tata” in Segreti segreti, il film sul terrorismo al femminile che ha nel suo capitolo la punta più alta.

Ugo Casiraghi

Berlinguer, il leader sconfitto ma non disillusoRoberto Benigni con il Segretario del PCI in braccio cambiò per sempre la percezione che grandi masse avevano di Enrico Berlinguer.

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