LA PROSA D’ARTE DEL VENTENNIO
Le idee della “Ronda” da un lato e quelle di Gobetti dall’altro, ebbero un peso importante nella evoluzione della letteratura del ventennio, e una immediata influenza in quelle correnti che si raccolsero intorno alle riviste “Solaria”,
“Letteratura”, “Italia letteraria”. Nella prima (pubblicata dal 1926 al 1937) come nelle altre, tesi fondamentale era la necessità del distacco della letteratura da ogni preoccupazione di contenuto e la conseguente esaltazione dei soli valori dello stile. Ciò che importava era giungere alla definizione di una “prosa d’arte”, tutta centrata sulla perfezione formale. Lungo questo filone si mossero scrittori come Giacomo De Benedetti (Biella, 25 giugno 1901 – Roma, 20 gennaio 1967), Sergio Solmi (Rieti, 16 dicembre 1899 – Milano, 7 ottobre 1981), i poeti Ungaretti, Saba e Montale, e ancora Giovanni Comisso, Gianna Manzini, Giovanbattista Angioletti.
Massimo Bontempelli
Di diversa e contrastante natura fu invece l’opera di due scrittori molto rappresentativi della cultura italiana del periodo: Massimo Bontempelli (1878-1960) e Curzio Malaparte (pseudonimo di Kurt Suckert, 1898-1957).
Il primo, cui si devono una raccolta di “Racconti e romanzi” e una di saggi, “L’avventura novecentista“, espresse le linee della sua concezione poetica sulle colonne della rivista “900“. La sua battaglia era diretta contro tutto ciò che rimaneva dell’Ottocento e contro i residui del Romanticismo.
Non solo: Bontempelli polemizzava anche con la “Ronda“, contestandone la pretesa di voler “tornare all’indietro”, denunciandone i limiti di accademismo, di esasperazione della eleganza formale e la mancanza di comunicativa. La narrativa, per Bontempelli, è “realismo magico”, ossia armonico rapporto tra realtà e immaginazione: si tratta di descrivere le cose con puntigliosa precisione, ma sapendo nello stesso tempo creare attorno ad esse un’atmosfera di magia e di inquietudine. Bontempelli cercava, in sostanza, di accogliere le esperienze delle avanguardie letterarie europee (alla sua rivista collaborarono infatti molti e autorevoli scrittori stranieri) e di conferire alle lettere italiane un carattere internazionale, cosmopolita. Egli dette a questo tentativo il contributo certamente originale delle. sue opere, nelle quali una intelligenza acutissima e una tecnica quanto mai consumata si fondono felicemente.
La proposta e la polemica di Bontempelli suscitarono, naturalmente, opposte reazioni, sia dei “rondisti” che, in particolare, di Malaparte. Questi e i suoi amici della rivista “Il selvaggio” respingevano come inaccettabile l’ipotesi di un’arte che non fosse esclusivamente italiana e fascista e che si preoccupasse di stare appresso a quanto avveniva in altri paesi. Ciò che interessava Malaparte era un’arte profondamente ed essenzialmente italiana, che abbia radici nella nostra vera, classica, italianissima tradizione, un’arte che sia piuttosto volgare (nel senso giusto), …che abbia in sé non soltanto i pregi, ma anche i difetti nostrani…piuttosto che quelli stranieri”.
Malaparte – i cui atteggiamenti politici subiranno, nel secondo dopoguerra, brusche variazioni – ha scritto numerose opere tra le quali ricordiamo: “Le cantate dello Arcitaliano“, “Tecnica d’un colpo di Stato” (in francese), “Kaputt“, “La pelle“, “Maledetti toscani” (questi ultimi realizzati negli ultimi anni di attività).
Curzio Malaparte
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