ANTIFASCISMO E CULTURA IN GRAMSCI E GOBETTI

Antonio Gramsci

ANTIFASCISMO E CULTURA IN GRAMSCI E GOBETTI

Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937).
Piero Gobetti (Torino, 19 giugno 1901 – Neuilly-sur-Seine, 16 febbraio 1926).

Personalità politiche d’eccezione ma protagonisti d’una battaglia che va ben oltre i confini della contingenza politica per indicare la prospettiva di un ordine diverso, di una nuova concezione del mondo, furono Antonio Gramsci e Piero Gobetti. Abbiamo già accennato ad essi in precedenza, circa il ruolo specifico assolto nella lotta contro l’avanzànte offensiva reazionaria e nella quale sacrificarono la propria vita. Ci sembra giusto qui considerarne in breve l’opera dal punto di vista culturale, e letterario, tenendo ben presente che i due momenti – quello politico e quello culturale – non furono da Gramsci e Gobetti, mai visti separati.

Gramsci – cui si devono oltre gli scritti su “Ordine nuovo“, i “Quaderni dal carcere” e le “Lettere dal carcere“, vergati a mano nei lunghi anni della prigionia – indicava per la letteratura una nuova e radicalmente diversa impostazione: “la premessa della nuova letteratura – egli affermava – non può non essere storica, politica, popolare; deve tendere a elaborare ciò che esiste, polemicamente o in altro modo non importa; ciò che importa è che essa affondi le sue radici nell’humus (parola latina che significa terreno fertile, terreno di coltura) della cultura popolare così come è coi suoi gusti, le sue tendenze, col suo mondo morale e intellettuale, sia pure arretrato e convenzionale. È quindi necessario un contatto sentimentale e ideologico con tali moltitudini e, in una certa misura, simpatia, e comprensione dei loro bisogni e delle loro esigenze.

L’ipotesi gramsciana di una letteratura che fosse profondamente nazionale, nel senso del suo collegamento con le tradizioni più vive della cultura italiana, e al tempo stesso popolare, ispirata cioè al modo di sentire, di amare, di soffrire delle grandi masse, doveva risultare una delle più feconde e stimolanti per la cultura nazionale del secondo dopoguerra.

La battaglia politico-culturale di Gobetti ebbe certamente una incidenza più diretta e immediata di quella di Gramsci (la cui opera fu pubblicata e divulgata solo dopo il 1945) al quale, pur nelle diverse posizioni ideologiche, egli si assimilò per l’intensità e la superiore intelligenza della sua azione. Gobetti, sostenne la necessità sia sulla “Rivoluzione liberale” che sul “Baretti” (le due riviste, una politica e l’altra letteraria, fondate dal giovanissimo pensatore torinese) di un nuovo ordine ispirato alla ragione e l’esigenza di una letteratura impegnata e democratica.
Egli mosse una critica meditata e argomentata tanto agli orientamenti letterari del più recente passato (dannunziani, futuristi, ecc.) quanto alle tesi della “Ronda“, sollecitando il ritorno “alla chiarezza”, alla riconquista dei “valori più semplici di civiltà”, alla difesa della “letteratura minacciata dalla politica”. Traspare, da quest’ultima affermazione, l’ansia di erigere attorno alla letteratura una barriera contro quella autentica negazione della cultura che era il fascismo.


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