LA LETTERATURA DI OPPOSIZIONE

Corrado Alvaro

LA LETTERATURA DI OPPOSIZIONE

Da quanto detto sinora, appare evidente che la letteratura italiana ebbe negli anni ’20 un atteggiamento verso il fascismo, sostanzialmente ambiguo e incerto. “Rondisti” e sostenitori della “prosa d’arte“, inseguendo i loro ideali di purezza e bellezza di stile, senza preoccuparsi d’altro, erano abbastanza tollerati dal regime, dato che da essi venivano pochi fastidi. D’altra parte, coloro che non disdegnavano di prospettare un’arte fascista, come Bontempelli e Malaparte, davano a quest’arte significati e contenuti abbastanza contrastanti con l‘ideologia del regime: il primo riferendosi a modelli stranieri, il secondo accentuando una componente plebea ben al di là delle intenzioni “culturali” della gerarchia fascista, che cercava semmai di integrare nel regime il vecchio quadro dirigente borghese e liberale.

Quando, dopo pochi anni di potere mussoliniano, caddero definitivamente le illusioni che qualcuno aveva potuto nutrire sulla reale natura del fascismo, cominciarono a emergere nella letteratura italiana, orientamenti di. chiara opposizione, che rivendicavano un’arte fondata su una realtà vista in tutte le sue contraddizioni. Si riproposero i grandi modelli di Verga e di Svevo (che allora cominciava ad essere pienamente apprezzato) mentre veniva presa ad esempio la nuova letteratura realistica americana.

 

Interpreti di queste esigenze furono, in particolare, cinque scrittori di grande qualità, tra i maggiori della nostra recente storia letteraria: Corrado Alvaro, Alberto Moravia, Elio Vittorini, Cesare Pavese, Carlo Emilio Gadda. Esaminiamone, il più succintamente possibile, le opere e la personalità.

La tetra realtà della condizione meridionale – tanto più stridente quanto più veniva accentuandosi altrove il processo di industrializzazione, di espansione produttiva, di incremento dei consumi – è il punto su cui si concentrano la sensibilità e la rivolta del calabrese Corrado Alvaro (1895-1956). Una ribellione diretta soprattutto contro il fascismo, che rappresentava il trionfo, ancora una volta, della prevaricazione di una minoranza di ricchi sugli strati più deboli e storicamente indifesi della società nazionale; il trionfo della violenza e dell‘arbitrio, degli speculatori e dei burocrati delle città sui pastori e sui contadini. E proprio in un libro sulla condizione delle campagne calabresi, Alvaro offre il meglio della sua vena poetica: “Gente in Aspromonte” (1930). A questo vanno aggiunti, tra gli altri, “L’uomo è forte“. e “Vent’anni” (scritti tra il 1930- e il ’38) e, dopo la seconda guerra mondiale (1), “L’età breve“, “Quasi una vita“, “Mastrangelina“, “Tutto è accaduto“.

Alberto Moravia

Per Alberto Pincherle, in arte Alberto Moravia (1907-1990) la realtà nazionale rappresentata nei suoi romanzi contraddiceva la retorica fascista di un’Italia sana, virile, potente, proiettata alla conquista del mondo. È quello di Moravia un mondo privo di luce, stanco, indifferente; gli imperativi morali vi sono presenti solo come cose imparate e ripetute per tradizioni lontane, le quali, però, non hanno più ormai radici profonde nel cuore degli uomini. I suoi personaggi cercano invano nel piacere, nel sesso, nell’avventura, nella crudeltà, di restituire un sapore alla vita, di vincere quella loro stanchezza, di placare quella loro inquietudine.

Lo stile di Moravia, legato alla migliore tradizione verista, è estremamente scarno, sobrio, privo di compiacimenti stilistici. Tutta la forza della sua narrativa deriva dalla sapiente costruzione del romanzo, dalla capacità di analisi spregiudicata degli aspetti della realtà contemporanea, dal “montaggio” quasi cinematografico delle sequenze e degli episodi del racconto. Copiosa la sua produzione: agli anni ’30 appartengono, tra gli altri, il romanzo che lo rivelò, “Gli indifferenti“, e “Le ambizioni sbagliate” mentre del 1943 è “Agostino“; di epoca successiva sono le sue opere più note, nelle quali il cinema ha attinto a piene mani: “La romana“, “Il conformista“, “Racconti romani“, “La Ciociara” ‘(da molti ritenuto il suo capolavoro), “La noia“, “Una cosa è una cosa“.

Elio Vittorini

Elio Vittorini (1908-1966) è considerato, con Cesare Pavese, l’iniziatore di quel movimento culturale che distinguerà le lettere e in generale le arti nel periodo successivo alla Liberazione: il “neorealismo“. Esordì come romanziere nel 1933, pubblicando a puntate, sulla rivista “Solaria“, il “Garofano rosso“. La censura fascista intervenne ben presto a bloccarlo, sospendendo la rivista col pretesto che lo scritto era contrario alla morale e al buon costume. In realtà ciò che aveva preoccupato i censori era il senso di rivolta che pervadeva il romanzo, rivolta contro la falsa e pedante moralità dei genitori, rivolta contro la società destituita, ma anche rivolta imprecisata, giovanile, fondata su un’oscura e infantile convinzione che per giungere alla maturità occorre commettere violenza, uccidere qualcuno. Il tema della rivolta si fa più consapevole e preciso nel capolavoro di Vittorini, “Conversazione in Sicilia“, del 1941, racconto d’un viaggio nell’isola che gli ha dato i natali e che l’autore riscopre in tutta la sua squallida realtà di miseria, di fame, di malattia; specchio di una società meridionale su cui grava la presenza repressiva del potere costituito.
L’ideologia di “Conversazione in Sicilia“, si approfondisce ulteriormente nell’altro romanzo, di poco posteriore, “Uomini e no” (1945). Maturato negli anni tra la guerra civile spagnola e il conflitto mondiale, il romanzo centra sulla tesi che il mondo si divide in uomini e non uomini, dove gli uomini sono gli oppressi e i non uomini coloro che opprimono, in nome dei loro privati interessi. Opprimono con la miseria, con la fame e con la guerra: la “non umanità” è, appunto, il fascismo.

Oltre alle due opere citate, appartengono a Vittorini, “Il Sempione strizza l’occhio al Frejus“, “Le donne di Messina“, “Diario in pubblico” tutti del periodo posteriore alla seconda guerra mondiale. Importante è la tecnica narrativa introdotta da Vittorini: in luogo della descrizione dei sentimenti o dei pensieri del personaggio attraverso espressioni come “egli senti” o “egli pensò”, l’autore affida questo compito esclusivamente al dialogo. È il personaggio, cioè, che direttamente, con le proprie parole, rivela la natura del suo sentimento.

Cesare Pavese

Accomunato a Vittorini quale protagonista d’una nuova ricerca letteraria e tuttavia da questi assai diverso, Cesare Pavese (1908-1950) fu scrittore e poeta sensibilissimo. Il filo che, al fondo, lega ciascuna delle sue numerose opere di prosa e di poesia è quello della solitudine, una solitudine che insieme esalta e angoscia, che si accompagna a un sentimento di disperata insoddisfazione. E questo, che fu il nòcciolo della poetica di Pavese, segnò anche lo svolgersi della sua esistenza fino alla tragica conclusione del suicidio.

Tra gli scritti maggiori: “Lavorare stanca“, “Paesi tuoi“, “La spiaggia“, “Ferie d’agosto“, ”Dialoghi di Leucò“, “Il compagno“, “Prima che il gallo canti“, “Tre donne sole“, “La bella estate“, “La luna e i falò“, “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi“, “Il mestiere di vivere“.

Carlo Emilio Gadda

Caratteristica più appariscente della prosa dell‘ultimo tra gli scrittori “d’opposizione” che abbiamo considerato, Carlo Emilio Gadda (1893-1973) è la tormentata e costante sperimentazione linguistica, di un modo nuovo di scrivere che utilizzi, in un armonico insieme, le espressioni dialettali, il linguaggio della tecnica e il linguaggio colto (con citazioni in latino e nelle lingue straniere). Se si fosse trattato solo di una questione di forma, probabilmente tale ricerca sarebbe approdata a risultati artistici non eccezionali. Ma in Gadda essa è sforzo consapevole di adeguamento alla realtà, tentativo di scelta del mezzo più giusto per arrivare alla essenza delle cose, considerate con aspra violenza. Gadda è stato definito un “antifascista di destra”, nel senso che egli non attacca tanto la pretesa di “ordine” del regime, ma il modo volgare, incolto, canagliesco con cui quest’ordine viene perseguito.
Tra le opere principali del Gadda: “Il Castello di Udine“, “L’Adalgisa“, “Quer pasticciaccio brutto di via Merulana” (scritto con largo uso del romanesco), “La cognizione del dolore“.

(1) è appena il caso di sottolineare che pur collocando questi scrittori – Alvaro e gli altri – nell’epoca letteraria del “ventennio”, perché in questi anni esordiscono in maniera assai significativa, la loro opera, ovviamente, prosegue anche negli anni del secondo dopoguerra (e per alcuni ancora oggi) con non minore importanza.

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