I SEICENTO DI BALAKLAVA – Tony Richardson (La storia e relativo film)

   

LE DUE VALLATE DI BALAKLAVA

Nel 1854, durante la guerra in Crimea tra la Russia zarista e Francia e Inghilterra (più il regno di Sardegna) in difesa degli interessi turchi, i seicento ussari della II Brigata Leggera britannica sono mandati al macello nella vallata di Balaklava.

“È magnifico, ma non è la guerra”… disse il maresciallo di Francia Bosquet, che aveva assistito alla carica di Balaklava.

E il poeta Tennyson celebrò il gran giorno che vide la distruzione di un celebre reparto della cavalleria inglese, la Brigata leggera di Lord Cardigan (nei venti minuti dell’attacco frontale, dodici morti al minuto; venticinque cavalli al minuto), con i versi infiammati che si addicono alle folli e sublimi imprese… “veloce come il vento… impavida coorte…”.
D’altronde il fatto guerresco era stato presentato dalla stampa e dai bollettini del comando inglese in modo da entusiasmare non solo militari e poeti, ma anche gran parte dell’opinione pubblica.
La giornata di Balaklava, sfavorevole agli anglo-francesi, trovò a Londra echi di vittoria; e nei decenni che seguirono, con l’appoggio dei libri di scuola e delle commemorazioni ufficiali, s’impregnò d’epopea.
Nessuna meraviglia che gli alati versi della ballata di Tennyson ritornassero puntualmente in frontespizio alle opere che il cinema aveva dedicato fino allora all’argomento.
Erano quattro… “La carica della Brigata leggera” di Searle Dawley, americano del 1912…, “Balaklava” di Maurice Elvey e Milton Rosmer, inglese del 1930…, “La carica dei seicento” di Michael Curtiz, americano del 1936 (la più famosa della serie, con Errol Flynn e Olivia De Havilland)…, e “Sebastopoli o morte!” di William Castle, americano del 1954 (con Jean-Pierre Aumont e Paulette Goddard, su cui l’oblio è sceso pietoso).
Ma il quinto ritorno annulla perentoriamente tutti gli altri e ne rovescia come un guanto le squillanti ipocrisie, con le armi del sarcasmo e della collera insieme.
Mai visto finora un contro-film di quest’ampiezza.
È I SEICENTO DI BALACLAVA di Tony Richardson, che così s’iscrisse a grossi caratteri nell’elenco del cinema di guerra contro la guerra, riuscendo a fare un lavoro di revisione storica senza rinunciare nel contempo alla polemica d’attualità.
Perché si tratta di dire questo.
La battaglia di Balaklava non solo non fu una guerra, ma non fu nemmeno magnifica. Fu il tributo pazzesco di dragoni e ussari alla vana gloria di alcuni comandanti che avevano fatto di quel pianoro di Crimea il teatro di una loro disputa da comari. E fu questo lo scotto – non l’unico d’una guerra inutile – per gli errori d’un paese come l’Inghilterra vittoriana, che considerava tutto il resto del mondo sotto la specie di colonia e si bardava di uniformi senza munirsi nel contempo di buoni ufficiali.
Fu un sacrificio dei cui frutti godettero a guerra finita gli armatori e gli industriali britannici, mentre arte e politica si prodigavano nella mistificazione indispensabile.
Ecco che con queste premesse la carica comincia a rientrare negli aspetti consueti e antieroici di tutte le guerre imperialiste.
  
   

LA GUERRA DEL 1854

Sarà appena necessario riepilogare i fatti.
Il Conflitto del 1854 fra Gran Bretagna, Francia e Turchia da una parte e Russia dall’altra è il tipico conflitto di egemonie per il controllo dei traffici marittimi in un momento in cui, isolato lo zar sullo scacchiere continentale, avida di espandersi la nascente forza industriale inglese, il Mediterraneo e i suoi sbocchi diventano inevitabilmente il punto di scontro tra diversi prestigi antichi e recenti.
Il Mar Nero è per la flotta mercantile inglese un ricco mercato precluso; l’inimicizia della Sublime Porta è per le navi dello zar un ostacolo alla circolazione mediterranea: le parti in causa d’altronde non ammetteranno mai questi interessi. Con un ricorso anch’esso estremamente tipico, ne faranno quasi una questione religiosa.
Nicola I esige che il sultano di Costantinopoli, che ha appena consegnato le chiavi della Chiesa di Gerusalemme, riconosca nuovamente la Russia come protettrice di tutto il mondo ortodosso. Londra a sua volta parla di “guerra cristiana” e invia i primi corpi di spedizione in un’atmosfera da crociata. Non impone ai soldati il cilicio ma accarezza le loro spalle col gatto a nove code.
“Bisogna frustarli!”… dicono Lord Cardigan e i suoi ufficiali:
“Gli si può chiedere forse di battersi come leoni per denaro, o per un’idea? Sarebbe poco cristiano”.
Giustamente il regista Tony Richardson dedica gran parte del suo film alla descrizione dei preparativi per la guerra, non alla guerra. È in questa fase che contraddizioni e soperchierie del sistema vengono fuori con maggior veemenza, ed è questa prospettiva del fenomeno bellico che il cinema ha scarsamente preso in considerazione finora. Mi tornano in mente i retroscena del bellissimo ORIZZONTI DI GLORIA di Stanley Kubrick, ma Richardson spazia in un’area che è storicamente assai più vasta dei campi di battaglia e delle corti marziali, e coinvolge in una danza grottesca tutte le gerarchie, anche quelle apparentemente “intoccabili” dei generalissimi, dei premiers e della corte reale, mentre sullo sfondo dei quartieri poveri si muove una popolazione da “Opera dei mendicanti”.
Grottesca, diciamo, in quanto Richardson non si perita di impiegare la caricatura e il disegno animato deformante per una sintesi degli eventi storici. La regina Vittoria e il principe Alberto non li vediamo che nelle spoglie di pupazzetti benevoli, nel colore delle vecchie stampe, dei disegni, dei medaglioni, o delle apoteosi nei balli allegorici. Qui gli effetti sono virulenti e dolciastri insieme. Dalla lacrimucccia di Vittoria per il povero turco aggredito, alla flotta che sgorga come una pisciatella imbandierata di sotto alla sua gonna e muove verso Gibilterra, superata la quale venne incrementata dal piccolo flusso delle navi francesi che subito cambiano colore e sono assorbite dalle insegne dell’Union Jack (del contingente italiano, grazie al cielo, non si fa parola) a significare l’immediata colonizzazione anche dell’alleato, è un riepilogo di evidenza immediata, più efficace di una ricostruzione con mille comparse, e testimonia oltretutto l’eloquenza e l’importanza che potrebbe avere, in un cinema meglio conscio dei suoi scopi, il film di animazione veramente adulto.
In effetti I SEICENTO DI BALAkLAVA, che riesce ad essere contemporaneamente antimilitarista e antibellicista, è in primo luogo antivittoriano: ovvero è nemico di un immobilismo morale e di un dominio del pregiudizio trasformato in condizione storica. In questa condizione tutto è implicitamente ammesso, fuorché lo scandalo; e bisogna che ciascuno sottostia al gioco delle parti. Vittoria regnante, l’aristocratico comandante di brigata può bestemmiare, ubriacarsi e fornicare con la moglie del subalterno, perché ciò fa parte dell’equilibrio dei luoghi comuni della forza. Ma scandalosa è la protesta del giovane ufficiale verso l’incompetenza dei superiori, e l’adulterio patetico con la sposa del compagno di collegio sui prati che sembrano dipinto da Joseph Turner (e l’infedele ha anche la sfrontatezza di restare incinta, senza saper di chi).
Qui diventa esemplare l’intervento dei personaggi femminili del film, che restavano frange senza senso nelle edizioni precedenti. Si veda in particolare la scena caricaturale fra Lord Cardigan e Madama Duberly, che mi fa pensare ad un’altra memorabile sequenza erotica di Tom Jones. Solo qui il virilissimo condottiero non si spoglia ma si fa spogliare dalla sua partner, dopo averle dato un sigaro; e il ribaltamento delle parti è velenosamente feroce contro Cardigan, l’isterico che l’indomani maciullerà la sua brigata e al quale l’attore Trevor Howard ha dato la grinta rossa, baffuta, fintamente rude del Leone Britannico che vediamo su stemmi, frontoni e monumenti.
In un clima così delineato la guerra non è scandalo, la battaglia perduta lo è.
Ecco Balaklava, uno dei più demenziali scaricabarile degli annali militari.
Che il film indugi a mostrare anche la battaglia vera e propria, non è che un ovvio codicillo, riscattato soprattutto dalla tecnica impeccabile. Ma Richardson poteva anche chiudere il film prima.
Aveva mostrato il più: le responsabilità che sanguinano sul terreno della battaglia ma nascono e fermentano nelle caserme, negli uffici del ministero, alle parate; in uno strano ambiente di nobili viziati, celibi nevrotici, abili cavallerizzi e pessimi cavalleggeri, padroni – più che comandanti – di uno stuolo di ruffiani e spioni. A metà del diciannovesimo secolo questi signori della guerra hanno ancora i loro eserciti privati. L’Undicesimo ussari, che faceva parte della Brigata leggera, era di proprietà di Lord Cardigan, che spendeva diecimila sterline l’anno per il suo mantenimento.
Così si formano servi, non soldati.
A volte i servi possono essere anche buoni servi.
Dopo Balaklava, ridotti a uno sparuto manipolo, gli ussari dell’Undicesimo si offrono a Cardigan per rinnovare la carica fallita.
“No, miei bravi”… disse magnanimamente Cardigan… “avete fatto abbastanza per oggi”…
Meraviglioso, ma non è la guerra…
Le guerre ottocentesche furono sempre guerre di classe. In quelle storicamente 3 geograficamente più circoscritte la constatazione balza fuori con maggior evidenza, e va ascritto a Richardson il merito di aver enucleato potentemente questo aspetto della storia nel suo film sulla guerra di Crimea, con una crudezza e una lucidità che ricordano nel dettaglio certi altissimi motivi viscontiani, o renoiriani.
La campagna di Sebastopoli fu una bega, non una guerra vera. Eppure costò alla Gran Bretagna venticinquemila morti. Fu condotta con gli sbagli classici della guerra d’offesa, ignorando i luoghi, l’entità e lo spirito del nemico, e in nome di una libertà da apportare, i cui termini erano totalmente sconosciuti o incomprensibili ai soldati obbligati ad apportarla.
E’ interessante che anche quello che può parere a prima vista il personaggio positivo della vicenda, il giovane capitano Nolan del Quindicesimo ussari (attore David Hemmings), lo strenuo oppositore di Cardigan, va configurandosi – se lo esaminiamo meglio – come un elemento classista e contraddittorio. Il suo furore è contro l’insipienza dei capi, non mai contro la ragion politica o la tradizione militare di cui è anzi, bellicosamente, il maggior rappresentante, messo in ombra dal carrierismo degli incompetenti. Di quella guerra, se lo lasciassero fare, eviterebbe gli errori, mai le colpe; e dunque, paradossalmente, ne è persino più responsabile degli altri. Lo rende più umano allo spettatore, e più gradevole, quell’inquietudine (romantica e romanzesca) di cui la regia di Richardson lo avvolge di proposito, con l’amore “proibito” sullo sfondo e lo sprezzo del pericolo. Tanto che verrebbe da pensare si tratti di un personaggio complementare, di fantasia.
Non è così. Il capitano Nolan non è meno “storico” di Lord Cardigan e degli altri comandanti della spedizione, Lord Raglan e Lord Lucan (ad esso s’ispirava vagamente, nel film del 1936, la figura di Errol Flynn, presentato a sua volta come ufficiale di carriera reduce dalle guerre indiane e impelagato in un romanzetto d’amore con la ragazza d’un commilitone).
Nolan fu il primo morto della carica di Balaklava. Fu ucciso mentre cercava disperatamente di ricondurre i cavalleggeri fuori dalla Valle della Morte dove s’erano diretti per errore. Nolan è il volto romantico di questo pazzesco errore, caduto perché coinvolto nella cretinità della carica. Lalo sfiora, non lo esclude.

E’ chiaro che Richardson non assolve Nolan perché, ripeto, se non è complice della battaglia è complice della guerra: e soprattutto perché in Nolan bisogna diffidare dell’alone di epopea che si porta facilmente dietro. In Nolan, suggerisce il film, bisogna intendere la critica di Richardson. E’ come se in Italia un regista – faccio per dire – demistificasse la guerra di Libia, demistificando conseguentemente il quarto libro delle LAUDI di Gabriele D’Annunzio.

  

   
Riassumo Balaklava come la inquadrano gli storici.
Era un villaggio ad est di Sebastopoli, dove si trovava l’armatura russa del generale Liprandi, attestata sul crinale di Voronstov tra due vallate. Comandava le forze inglesi Lord Fitzrov James Henry Somerset Raglan, che per aver combattuto una quarantina d’anni prima a Waterloo sotto Wellington considerava ancora i francesi suoi nemici naturali e ogni tanto si scordava di averli questa volta come alleati.
Cardigan aveva la Brigata leggera, il brigadiere generale Scarlett la Brigata pesante, Lord Lucan, cognato di Cardigan e suo nemico per la pelle, coordinava entrambe.
I francesi erano comandati dal vecchio maresciallo Saint-Arnaud, già roso dalla dissenteria e dal colera (Saint-Arnaud, legittimista spietato, repressore di molti algerini, sarebbe stato in seguito bollato da una frase di Victor Hugo come “generale con lo stato di servizio d’uno sciacallo”).
Della sfrenatezza di Cardigan già ho parlato. Era il più impopolare ufficiale della cavalleria inglese per il suo folle rigore, che si estrinsecava in deliri isterici.
Malgrado tutto ciò la prima fase delle operazioni di Balaklava fu propizia agli anglo-francesi. Una carica della Brigata pesante e l’avanzata del 93° Highlanders, la fanteria scozzese, respinsero i russi dal pianoro dove erano scesi e li costrinsero a ripiegare su Vorontsov. Tuttavia Liprandi era riuscito a catturare un buon numero di cannoni turchi e li aveva piazzati sulle alture. Bisognava impedire che i cannoni venissero portati via e utilizzati alla spalle degli assedianti di Sebastopoli.
A questo punto Lord Raglan che fino allora aveva fatto il sordo alle pressanti insistenze dei messi di Cardigan per entrare in azione, dettò il messaggio che avrebbe polverizzato la Brigata leggera. Ordinò che il reparto si portasse in linea e riprendesse i cannoni, nella vallata.
Ma c’erano due vallate, una a nord e una a sud di Vorontsov. Una avrebbe permesso l’aggiramento delle posizioni russe, l’altra portava sotto tiro frontale e laterale dei fortini, cioè sotto trentaquattro bocche da fuoco.
Lucan e Cardigan imboccarono la valle sbagliata, con i cavalli in linea di parata. Solo il capitano Nolan, che aveva chiesto il permesso di aggregarsi al Tredicesimo, si accorse del madornale errore e galoppò verso Cardigan per indurlo a mutar direzione: ma la prima cannonata russa lo uccise prima che potesse farlo. Subito dopo le artiglierie si scatenarono su tre lati.
È anche storico che la Brigata, in quell’inferno, non si arrestò. Alcuni cavalleggeri arrivarono fino ai cannoni e furono uccisi all’arma bianca. Mosse in loro soccorso il Quarto Cacciatori d’Africa, un reparto francese, e ciò valse a impedire che lo sterminio fosse totale.
Cardigan, che prima ardeva dal desiderio di entrare in battaglia per far concorrenza alla Brigata pesante, ora spediva staffette, disperatamente, per ottenere l’appoggio di Scarlett; ma la pesante, rientrata in combattimento, non vide che aggravarsi la perdita dei suoi effettivi.
Verso sera dalla nuvola gigantesca sulla piana di Balaklava uscì un drappello esausto che a passo lento si diresse verso il quartier generale. Si credette che fosse una pattuglia. Era tutto ciò che rimaneva della Brigata leggera.
A questo punto la battaglia ridiventava bisticcio fra dilettanti. Lord Cardigan accusò Lord Lucan quale responsabile del disastro; Lord Lucan si difese sventolando il biglietto di Lord Raglan; Lord Raglan disse olimpicamente che la calligrafia non era sua, e infatti aveva dettato il messaggio all’aiutante di campo. Pare che questi fungesse da capro espiatorio dell’indimenticabile giornata.
Sulla baruffa dei potenti, e sul disegno di un cavallo che marcisce finisce il film I SEICENTO DI BALACLAVA.
Ciò che il film non dice è che i litiganti ne uscirono promossi.
Lord Cardigan fu nominato cavaliere dell’ordine del Bagno e ispettore generale dell’arma di cavalleria.
Lord Raglan divenne maresciallo di campo dopo la battaglia d’Inkermann, sebbene non dovesse uscire vivo dalla guerra di Crimea; fatto segno a una violenta campagna a causa di Balaklava, e accusato oltretutto di aver trascurato i servizi di rifornimento viveri e vestiario, morì di malattia nel giugno 1855, a otto mesi di distanza dalla tragica carica.
Il film di Tony Richardson è un film sulla logica delle cose; che possono apparire – e sono – insensate nel gran calderone di una battaglia, ma nascono, si determinano, si motivano di continuo là dove guerre e battaglie si preparano.
Non vi è fatalità in Balaklava, questo ormai lontano microcosmo della storia militare del diciannovesimo secolo, superato in tutti gli strumenti delle guerre attuali ma non insignificante né dimenticabile ancor oggi sul piano dell’avventura armata.
Non fatalità da liricizzare, ma logica da meditare.
Perché l’errore nefasto non cominciava e finiva nel meschino biglietto di Lord Raglan. Era cominciato assai prima, in mani più nascoste e pericolose. Sarebbe stato un errore anche se la brigata avesse imboccato l’altra valle, defilata ai cannoni.
Storicamente e moralmente le due vallate di Balaklava si equivalgono.
  

    
I SEICENTO DI BALAKLAVA

(The Charge of the Light Brigade)
Un film di Tony Richardson
Con David Hemmings, Trevor Howard, Harry Andrews, John Gielgud, Vanessa Redgrave, Jill Bennett
Genere: Guerra
Produzione: Gran Bretagna 1968
Durata: 130 minuti
   

  

Conclusione: Passano gli anni ma la guerra è sempre quella e pagano sempre quelli…