OPERE DI OVIDIO

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LE OPERE DI OVIDIO

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Amores (Amori) – L’opera ci è pervenuta nella sua seconda edizione in tre libri di distici elegiaci, come la ridusse Ovidio dalla prima in cinque libri. Fu composta intorno al 19 a.C., l’anno della morte di Virgilio e di Tibullo, di cui contiene l’epicedio famoso (Memnona si mater, mater ploravit Achillem…, III, 9).

Canta gli amori giovanili del poeta per più donne, adombrate tutte in una, Corinna, un nome di comodo (nomine non vero dicta Corinna mihi, Tristia, IV, 10, 60).
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Heroides (Eroidi) – Sono quindici lettere d’amore di donne del mito ai loro amanti: Penelope a Ulisse, Briseide ad Achille, Fedra a lppolito, Didonie a Enea e così via. Le ultime tre sono corredate anche con la risposta dell’amato. Un esercizio poetico in distici, di molta eleganza, pubblicato tra gli Amores e l’Ars amatoria e giunto intero.
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Ars amatoria (L’arte d’amare) – In tre libri, scritta nei primi anni dell’era volgare. Ovidio compose questo poetico, maliziosissimo trattato sui modi di conquistare la donna,  in cui già nel titolo sembra esprimere il proposito di competere con la ben nota a lui scienza retorica, con l’ars dicendi, e ne segue lo schema nel primo libro, ove alla inventio (la raccolta del materiale), con cui si iniziano i trattati retorici, corrisponde la caccia alle belle donne e l’assedio alla loro virtù.
Fu I’opera che portò al colmo la fortuna d’Ovidio come autore mondano e ne fece il beniamino dei circoli più raffinati della capitale. Il poeta aveva saputo variare e adornare la materia con tutti i più sapidi artifici e con lunghe digressioni di carattere narrativo: il mondo dell’elegia erotica continuava a cantare la sua eterna canzone sotto quel travestimento paradossale.
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Remedia amoris (Rimedi all’amore) – Operetta, scritta probabilmente subito dopo l’Ars amatoria, di cui è palinodia, ritrattazione. Poco più di quattrocento distici elegiaci (814 versi) per insegnare come liberarsi dalla passione amorosa. Ci sono acute osservazioni, una conoscenza notevole della psicologia maschile e femminile, suggerimenti molto pratici, spinti fino al cinismo.
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De medicamine faciei feminae (Rimedi per la faccia delle donne) – Un trattatello di cosmesi, di cui sono rimasti soltanto una cinquantina di distici. Risale agli stessi anni.
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Metamorphoseon libri XV (Le metamorfosi) – Da molti (non da tutti) è considerato il capolavoro di Ovidio e uno dei maggiori esiti della letteratura latina. Espone 246 favole metamorfiche del mito antico, terminanti tutte con la trasformazione del protagonista (o della protagonista: le eroine sono numerose) in pianta, in animale o in altre forme. Abbandonato il distico dell’elegia, Ovidio usa qui l’esametro epico (oltre 12.000 esametri): novità quindi di temi e di ritmi e impegno anche filosofico e politico: la narrazione infatti, che procede spesso per incastro di una favola nell’altra, si apre con la descrizione del caos per giungere, nell’ultimo libro, all’apoteosi dl Augusto: dal caos primigenio all’ordine universale, nella pax romana.
L’opera, cominciata il 3 d.C., era già terminata, ma non riveduta, quando sopraggiunse l’ordine dell’esilio, l’anno 8. Ovidio, nella disperazione di quel momento, avrebbe dato alle fiamme i libri, di cui però circolavano già copie tra gli amici del poeta.
Le Metamorfosi ebbero fortuna immensa e influenza notevolissima fino ai giorni nostri (D’Annunzio). Nella sua elegia autobiografica dall’esilio (Tristia, IV, 10), Ovidio tuttavia insiste sulla sua attività di poeta erotico, ma non si sofferma affatto sulle Metamorfosi e forse vi allude soltanto con un breve cenno (vv. 63-64), nonostante che il poema l’avesse certamente impegnato a fondo per più anni e che con esso avesse€ tentato – come coi Fasti, composti nello stesso periodo – un mutamento di rotta e un avvicinamento alle posizioni ufficiali del moralismo augusteo.
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Fasti – (I fasti) – Un’opera che doveva raggiungere i dodici libri e fu interrotta al sesto dall’esilio, composta nello stesso periodo delle Metamorfosi, e, almeno in parte, con intendimenti analoghi: celebra le festività del calendario romano, mescolando leggende eroiche delle origini con favole mitologiche e usanze e riti italici.
Sembra che anche questa opera fosse buttata alle fiamme al momento della partenza da Roma. Salvata dai soliti amici, ci è giunta integra, nei suoi sei libri.
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Epistulae ex Ponto (Lettere dal Mar Nero) – Durante i mesi del lungo viaggio da Roma al Mar Nero e nei primi anni del soggiorno a Tomi, Ovidio scrisse lettere in versi (elegiaci) agli amici di Roma, alla moglie, ad Augusto; lettere che poi furono raccolte in quattro libri che ci sono pervenuti. Ebbero pessima reputazione tra i critici romantici per le espressioni di servilismo e di viltà morale nei confronti del potere. Oggi tendono ad essere rivalutate, in una più umana comprensione delle drammatiche condizioni dell’esilio del poeta.
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Statua di Ovidio a Sulmona, opera di Ettore Ferrari, 1925
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Tristia (Tristezze) – Sono cinque libri di elegie scritte a Tomi tra il 9 e il 12; tema ossessivo è la giustificazione del suo error misterioso e della sua poesia erotica. Hanno molto rilievo il secondo libro, che è una sola lunga lettera ad Augusto di 600 versi, e l’elegia 10 del IV libro.
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Ibis – È un poemetto di 322 distici contro un amico non identificabile, che a Roma sparlava del poeta e voleva persino metter le mani sul suo patrimonio.
La lunga sequela di contumelie riprende un analogo poemetto di Callimaco, scritto 250 anni prima; si è quindi tra l’esercitazione letteraria e lo sfogo di un autentico sdegno.
II titolo (che già era di Callimaco) richiama il nome di un uccello stercorario, l’ibis appunto, con tutto quanto vi è implicito.
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Restano infine 135 esametri di un poemetto didascalico Halieutica, sulla pesca, scritto a Tomi (ci sono però dubbi sull’attribuzione), due versi della tragedia giovanile Medea, molto lodata da Quintiliano e persino da Tacito e di cui si sarebbe servito Seneca per la sua tragedia omonima; pochi esametri di un poemetto didascalico sull’astronomia, Phaenomena e notizie di un poema epico perduto, la Gigantomachia.
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