OVIDIO

OVIDIO

Publio Ovidio Nasone nacque a Sulmona nel 43 a.C. e morì in esilio nel 17 d.C. a Tomi, sul mar Nero, dove l’aveva relegato il volere di Augusto. Fu poeta d’istinto per ispirazione, immaginazione, fantasia e per la facilità di esprimere ogni argomento in versi. Appartenne a famiglia di ordine equestre e fu educato dal migliori maestri del suo tempo perché potesse intraprendere la professione di avvocato. Trattò, infatti, alcune cause con successo, ma restò sempre fedele ai poeti: ammirò Orazio e Virgilio, fu amico di Tibullo alla morte del quale scrisse una bellissima elegia. Trascorse una vita tranquilla, ricca di onori, fino all’8 d.C. quando, per un improvviso quanto incomprensibile ordine di Augusto, dovette lasciare la sua corte per Tomi, triste villaggio ai confini dell’impero, sede di pochi legionari sempre in lotta con i bellicosi e ribelli vicini popoli barbari. Né più poté ritornare a Roma. Ovidio lega il suo nome a parecchie composizioni fra cui si ricordano:

I Fasti, poema religioso trattato con poca convinzione, gli Amori, romanzo d’amore patetico e scherzoso, e le elegie dell’esilio, Tristia, che rivelano l’amara solitudine del poeta. Il capolavoro è rappresentato dalle Metamorfosi, in 15 libri, comprendenti circa duecento favole mitologiche greche e romane, che, presentate in ordine cronologico dal Caos alla trasformazione di Giulio Cesare in stella, cantano i mutamenti di esseri umani in piante (Dafne), in pietra (Niobe), in flauto (Siringa) con eccezionale evidenza plastica unita a sorprendenti notazioni scientifico-fisiologiche.

Nel Diluvio, invece, dalle pietre rinasce il genere umano. Ecco come e perché Giove, irato con gli uomini, che possedevano il fuoco consegnato a loro da Prometeo, dapprima li aveva puniti permettendo che dal vaso di Pandora uscissero i mali, i dolori e le infermità: poi, deciso ad annientarli, avrebbe voluto colpirli col fulmine. Temendo, tuttavia, che le fiamme incendiassero il cielo, provocò il diluvio che sommerse il mondo e le creature. Deucalione, figlio di Prometeo, da lui avvertito dell’imminente sciagura, costruì un’arca di legno dove s’imbarcò con la moglie Pirra: per nove giorni e nove notti i due superstiti, perchè puri e pii, vagarono nella tempesta; ma quando, al decimo giorno, le acque finalmente si calmarono, la loro imbarcazione si fermò sulla cima del monte Parnaso.
Deucalione e Pirra subito offersero un sacrificio a Giove durante il quale l’uomo chiese che fosse restituito al mondo il genere umano.

L’oracolo della dea Temi da lui consultato diede questo responso:

“Velate il capo, uscite fuor del tempio,
le vesti aprite, e gittatevi dietro
le spalle l’ossa della grande Madre”.

Deucalione bene interpretò a quali ossa alludesse l’oracolo: alle pietre .sparse nel corpo della madre Terra. Col capo velato essi, dunque, camminarono nella pianura gettando dietro di sé pietre…

“…Così in breve tempo
per divino voler, tutte le pietre
che le mani del maschio avean lanciate
vestiron forme d’uomini: e rinacque
dalle mani femminee ln. donna”.

VEDI ANCHE . . .

OVIDIO – Vita e opere

OPERE DI OVIDIO

.