THOMAS GAINSBOROUGH – Vita e opere

Autoritratto (1758-1759) Thomas Gainsborough
National Portrait Gallery, London
Olio su tela cm 76,2 × 63,5  

La vita

Thomas Gainsborough (Sudbury, 14 maggio 1727 – Londra, 2 agosto 1788) è stato un pittore inglese, attivo soprattutto come ritrattista.

Giovanissimo, dimostrò una spiccata inclinazione al disegno, tanto che nel 1740 il padre John, mercante di stoffe, lo mandò a Londra a studiare pittura. Qui si trattenne otto anni, lavorando anche per l’incisore-ritrattista rococò Gravelot; ebbe pure contatti con Francis Hayman assimilando i modi della tradizione fiamminga, a quel tempo assai coltivata dai mercanti d’arte di Londra.

La Charterhouse (1748) Thomas Gainsborough
Londra, Foundling Hospital (Tondo diametro cm 56)
Nel 1748 tornò a Sudbury dopo aver lasciato la sua prima opera documentata, La Charterhouse.
Nel 1746 aveva sposato Margaret Burr (con ogni probabilità figlia illegittima del duca di Beaufort) con la quale andò a stabilirsi a Ipswich nel 1750; da questo matrimonio nacquero due figlie. Ad Ipswich iniziò l’attività professionale vera e propria, eseguendo una cospicua serie di ritratti a formato ridotto nonché alcuni paesaggi di tipo decorativo.
Sono di questo periodo, infatti, i due paesaggi da caminetto commissionatigli dal duca di Bedford.
Nell’ottobre del 17519 si trasferì a Bath, un’elegante e sofisticata stazione termale alla moda ove si dava convegno il più bel mondo inglese. A Bath, dove rimase fino al 1774, mantenendo tuttavia frequenti contatti con Londra, Gainsborough ottenne i più lusinghieri successi divenendo il ritrattista mondano di aristocratici, ricchi borghesi, artisti e uomini di lettere.
Abbandonato il piccolo formato, i suoi ritratti – ormai a figura intera e a dimensioni naturale, fanno tesoro della lezione di Antoon Van Dyck.
Dal 1761 prese ad esporre alla London Society of Artists e, successivamente (1768), fu membro fondatore della celebre Royal Academy con la quale ruppe ogni rapporto, a causa di dissensi con i soprintendenti, nel 1784 (i primi screzi si erano verificati nel 1773): ritirò le proprie opere nella residenza di Pall Mall nella quale esponeva ogni anno la sua produzione.
Dal 1774 al 1788 (anno della sua morte), Gainsborough visse a Londra dove alternò ai ritratti quelle particolari composizioni pittoriche di ispirazione giorgionesca definite dal Reynolds fancy pictures, una ventina in tutto, iniziate a partire dal 1780 e alle quali Gainsborough affidò tutto il suo estro e il suo mestiere.
Eseguì ritratti anche su commissione della casa reale (Giorgio III, la regina Carlotta).
La sua opera comprende circa ottocento ritratti e più di duecento paesaggi oltre alle pitture di fantasia. Autodidatta, non effettuò il tradizionale grand tour degli eruditi né il rituale viaggio in Italia e basò le sue ricerche essenzialmente sulle spiccate qualità del suo istinto pittorico.
Ad eccezione del nipote Gainsborough Dupont (c. 1755-1797), non ebbe né volle allievi, ma la sua opera – che si contrappose a quella di Reynolds, della quale ha rappresentato un’alternativa ideologica e tecnica – lasciò una sensibile traccia nei pittori della scuola inglese che seguirono.
I suoi paesaggi, specialmente quelli dell’ultima maniera, anticipano John Constable; le marine, William Turner. Molti disegni di paesaggio costituiscono un autentico repertorio di motivi pittoreschi, largamente utilizzato e copiato soprattutto a seguito della divulgazione (dopo il 1794) delle teorie del Pittoresco ad opera di Uvedale Price il cui padre Gainsborough aveva conosciuto nel 1760.
Per tutta la sua vita, Gainsborough si tenne lontano dai circoli filosofici e letterari né si lasciò tentare dalla penna.
Cionondimeno, se – come vuole l’Argan – “la pittura inglese del Settecento contiene la formulazione più chiara e l’applicazione più fedele del pensiero estetico dell’Illuminismo, Gainsborough è, fra tutti, l’artista che raggiunge nella sua pittura, e forse proprio perché non ha lasciato trattati o memorie scritte, la dimostrazione più persuasiva di un credo estetico”.

Le opere

Se la vocazione di Gainsborough è quella del paesaggio, la sua arte ufficiale è il ritratto.
La paesaggistica già indica valori istintivi di ricerca e di gusto, una vagheggiata quanto non ancora intimamente raggiunta (e consumata senza residuo) comunione con la natura, una volontà di rinnovare gli schemi di certa tradizione tematica ‘minore’ e sussidiaria sulla scorta della tradizione olandese. La ritrattistica documenta l’ossequio, anche conformista, al gusto del tempo (che eredita la maniera ‘eroica’ del ritratto inglese del Seicento, tributario di Van Dyck), l’istanza celebrativa di una particolare classe sociale, l’adesione alla richiesta volubile di una clientela sofisticata ed esigente. In termini attuali si potrebbe dire che, mentre il paesaggio è una poetica di contemplazione che favorisce l’evasione, il ritratto è una formula impegnata e d’impegno nella quale peraltro Gainsborough, pur con la convinzione di far violenza alle proprie capacità creative e di adeguarsi a l’occhio comune, perviene preterintenzionalmente ai suoi esiti più alti.
Di fatto, la sua scoperta senza rivoluzioni (giacché la rivoluzione di Gainsborough si realizzerà, quasi un secolo più tardi, con l’Impressionismo) consiste nell’aver creato un genere che unisce il personaggio all’ambiente mediante la ritrattistica en plain air in cui il paesaggio non resta sfondo ma, il più delle volte, fonde nei valori d’ambiente e d’atmosfera l’uomo e la natura, senza peraltro alimentare un mitico ritorno ad essa (ad eccezione di certe scene delle fancy pictures) ma lasciando che il paesaggio taccia da cornice ad una civilissima e coltissima società che comprende nobili, ricchi borghesi, intellettuali in ozio alle cure termali.
Non è il salotto che si è trasferito nel bosco ma è la natura che ha rivendicato un ruolo di primo piano nella cultura europea ed è entrata nei palazzi patrizi come negli studi dei pittori.
Non a caso i paesaggi di fantasia muovono da spunti naturalistici ricreati in studio con pietre, foglie e rami d’albero.
E non a caso le opere della tarda maturità presentano figure amalgamate al fondo, quasi trasparenti. Il che poteva realizzarsi solo accostando la figura al fondo senza alcuna intenzione complementare ma con la massima naturalità: la stessa che vietava a Gainsborough di ritrarre i suoi personaggi di società atteggiati o in costume storico come Reynolds, che appare l’erede legittimo della grand manner seicentesca sviluppata nella ritrattistica eroica.
Del resto, le poetiche del XVIII secolo stimolavano e legittimavano queste integrazioni. La problematica della natura svolge un ruolo di preminente rilievo su tutta l’arte del Settecento europeo e da essa si diramano le poetiche più significative del tempo: l’Arcadia in Italia, il Rococò in Francia, la poesia stagionale in Inghilterra e la poetica del Sublime, che trova la sua più illustre formulazione filosofica in Immanuel Kant
Nella pittura dell’Illuminismo inglese questo messaggio è anticipato e proposto per primo da Gainsborough che si può definire naturalista illuministico.
Già William Hogarth aveva indubbiamente operato per un nuovo modo di concepire la tematica pittorica e di renderla con una tecnica alla brava che anticipa le prime formulazioni del Pittoresco. Tuttavia, la natura aveva conservato una funzione espressiva secondaria, permanendo nel suo ruolo di ‘fondo’- e di ambientazione. È Gainsborough che instaura un nuovo gusto per la natura, formulando, attraverso la pittura, un modo inedito di concepire il rapporto tra figura e ambiente, sottolineando come l’ambito naturale dei suoi personaggi non sia, né debba essere, il salotto o lo scenario storico aulico, bensì la natura in tutto il suo mutevole e armonioso manifestarsi: negli eventi fugaci dell’ora come nel lento avvicendarsi delle stagioni.
Trattare il soggetto ponendolo a diretto contatto con il paesaggio – con un paesaggio non stereotipo ma segnato da episodi individuanti e particolari per cui ciascun quadro esibisce una sua versione naturale – era sicuramente il modo più efficace per polemizzare con la poetica aulica e storica della ritrattistica di Reynolds che, dando rilievo al personaggio e mantenendo in secondaria importanza l’ambiente, intendeva operare una scelta critica e insieme comparativa dei valori prescelti.
Realizzando in un unico momento tutte le parti del quadro, Gainsborough – in ciò ricollegandosi a William Hogarth – dà vita ad una pittura viva e naturale nella quale il pathos dell’uomo è visto alla luce dell’ambiente in cui è collocato, facendo con esso un’unica verità naturale e psicologica decisamente innovante rispetto a tutta la tradizione che, per celebrare il bello ideale e storico, si era dovuta immergere nell’artificioso e nel non vero.
I ritratti di Gainsborough sono individuanti anche se, visti nel loro insieme, documentano tutta una società nelle sue manifestazioni significative.
Pur rispondendo ai canoni generali dello stile pittorico del Settecento e alle sue tipologie, non si rintraccia in Gainsborough un’attività diretta a perfezionare la natura, operandone una trasposizione sul piano ideale. Si ha, semmai, un intervento selettivo sulla natura motivato dalla categoria del Pittoresco che orienta la scelta su questo o quel tipo di paesaggio o, al più, si riduce la somiglianza del personaggio alle esigenze di una tipologia naturalistica.
Coniugi Andrews (1750 circa) Thomas Gainsborough
Londra, National Gallery
Olio su tela cm 70 x 118
Nel ritratto dei Coniugi Andrews, ad esempio, il richiamo ad una poetica stagionale nella celebrazione della verde estate britannica, si esemplifica nel senso di benessere e di piacere che visibilmente l’ambiente comunica ai soggetti. Il diletto di sostare sotto l’ombra fresca della quercia in una panchina rustica lavorata a imitazione dei rami d’albero, mentre tutt’intorno le messi mature riverberano nell’atmosfera :una calda e avvolgente luce dorata, è la riprova di come lo scontroso Gainsborough, non indulgente alla teoria, non mirasse a formulare una nuova poetica della natura ma si limitasse a rispondere al suo invitante richiamo, aderendo sensisticamente ai piaceri che da essa provengono senza nessuna idealizzazione od ombra di manierismo che potessero alterarne la spontanea leggiadria.
Se, dunque, la natura di Gainsborough non è né idealizzata né immaginata, ciò significa che il rapporto che egli instaura mediante la pittura tra natura e arte è un rapporto non soltanto mimetico ma – attraverso un processo di naturalizzazione – di intima e profonda partecipazione al divenire naturale. Si tratta, quindi, di uno spontaneo abbandono (che può ritrovare una sua non lontana matrice teorica nell’edonismo della ‘regola del gusto‘ di David Hume, per il quale la bellezza è un piacere sensibile e gustativo) alla piacevolezza che questa partecipazione elargisce all’autore come agli stessi protagonisti dei dipinti che, finalmente al di fuori delle galanterie salottiere, ritrovano il piacere di vivere proprio in questa semplice quanto salutare immersione naturale.
Questi connotati di piacere sensibile (da cui è caratterizzata la natura di Gainsborough) escludono, proprio in quanto testimoniano una sua adesione alla categoria del Bello-piacevole, un possibile approccio alla poetica del Sublime. Giacché, se è proprio del Bello-piacevole rimanere nell’ambito della natura e godere di essa per quello che è, è tipico del Bello-sublime voler trascendere il dato naturale per immergersi in una contemplazione trascendente, fonte di violente e infinite sensazioni. A questo proposito, si ponga mente alle vedute alpine di William Turner, con le loro tempeste atmosferiche, che rappresentano un indubbio contributo alla visione ‘sublime’ veicolata, peraltro, dalle stesse scelte tematiche eccezionali: il paesaggio di Gainsborough, al contrario, è piacevole quanto semplice ed usuale.
E, per questa piacevolezza, si differenzia anche da John Constable per il quale la natura è problema, come lo sarà per Paul Cézanne rispetto agli impressionisti.
D’altronde, uno dei motivi per cui la pittura di Gainsborough si presenta di facile lettura e senza l’appesantimento dato dalla scrupolosa osservanza di regole precettistiche, consiste proprio in questa immediatezza e spontaneità presenti nella natura come nell’opera dipinta, così costanti da lasciar credere che la suprema abilità dell’artista consista nel far apparire naturale e spontaneo anche ciò che è artificiale e voluto: quasi fosse del tutto normale, nella vita di ogni giorno, incontrare personaggi di così impeccabile eleganza che si muovono in un bosco familiare e addomesticato o sullo sfondo del parco di una residenza rustica.
D’altra parte, non è un caso che, rispetto alla scuola italo-francese, il giardino inglese, anche se prodotto artificialmente, si presenta come niente affatto artificioso. Se è vero che neppure Gainsborough (come anche Hogarth e Reynolds) sa fare a meno di un gusto lezioso derivato direttamente dal teatro, sta di fatto che quei giardini, quelle selve scenografiche, quegli uomini e quelle donne eleganti e spensierate che vi appaiono e sostano in tranquillo ozio muovendosi con grazia raffinata, esemplificano un ideale di vita, della natura e dell’uomo sub specie ‘artistica’: nel senso della coincidenza, non manieristica ma spontanea e come, miracolosa, fra realtà della natura e idealità dell’arte attraverso un processo che comporta la naturalizzazione dell’arte e, contemporaneamente, la resa artistica della natura.
“Non guardò mai la natura con gli occhi di poeta, la guardò con gli occhi del pittore”, dirà il Reynolds in morte del suo rivale.
Il riconoscimento di una fondamentale resa artistica della natura è, d’altronde, puntualizzato anche dalla poesia inglese del Settecento e segnatamente tra il 1726 e il ’27 dal Thomson in cui – come scrive Rosario Assunto – “Il rapporto poesia-natura si pone in termini non mimetici,

ma di descrizione, nel senso in cui, trenta anni dopo, Burke doveva teorizzate la poesia come arte strettamente imitativa. Descrizione, bisogna aggiungere, fondata su una congenialità di poesia e natura, perché il poeta è l’uomo che ha restituito se stesso alla natura e con la natura si è come immedesimato”.

Attraverso il genio privilegiato dell’artista, la natura si palesa in tutta la sua poesia, ché null’altro, infatti, essa è se non sentimento della natura, godimento dei suoi silenzi e delle sue solitudini, emozione del suo variato manifestarsi nelle differenti stagioni che la animano, puntualizzazione di ciò che alla natura stessa è più intimo e intrinseco e, quindi, fattore principale della sua essenza estetica.
John Constable aveva colto l’impercettibile fascino di queste caratteristiche allorché annotava che il paesaggio di Gainsborough è dolce, tenero, commovente: nelle sue tele si trovano l’immobilità del mezzogiorno, i vapori del crepuscolo i rosa, i perlacei del mattino. Ma, con il repentino variare del giorno, Gainsborough rappresenta anche il variare più lento delle stagioni.

Di fatto,  e nonostante il diverso avviso del Waterhouse, mi sembra che alla poetica stagionale Gainsborough abbia dato un suo preciso contributo figurativo.

Foresta di Gainsborough (1748) Thomas Gainsborough
Londra, National Gallery
Olio su tela cm 120 x 150

Nei paesaggi, come nei ritratti, è quasi sempre sottolineata un’ambientazione stagionale, dalle prove giovanili fino alla tarda maturità: dall’estate piena, calda e assolata in cui sono immersi i Coniugi Andrews, all’autunno incipiente della Foresta di Gainsborough; ancora all’autunno, non più solo iconografico in senso tradizionale ma partecipato in tutta la sua ricchezza di umori, odori di tela bagnata, di sottobosco impregnato dell’acquitrino, de Il carretto per il mercato dipinto tra il 1786 e il 1787, cioè poco tempo prima della morte.

Il carretto per il mercato (1786-87) 
Thomas Gainsborough
Londra, Tate Galery
Oli su tela cm 182 x 153

In una serie di dipinti su vetro, questo respiro della natura animata, la cui consistenza visuale e di suggestione muta con l’alternarsi dei cicli stagionali, è particolarmente evidenziata: l’inverno nelle fredde albe del mare o nei boschi rabbrividiti, l’autunno nelle foglie bruciate e nell’ocra dei greti secchi, la primavera negli stagni limpidi e su una fuga di montagne azzurre nell’atmosfera di cristallo, l’estate nella ferma calura con le pale dei mulini immote.

Dipinto su vetro (1783 circa) Thomas Gainsborough
Londra, Victoria and Albert Museum
Olio su lastra di vetro cm 119,5 x 144,5
Coniugi Kirby (1750) Thomas Gainsborough
Londra, National Portrait Gallery
Olio su tela cm 76 x 63,5

Anche i personaggi, naturalmente, non sono svincolati dal ritmo ciclico del tempo; un tempo che, più d’ogni altra componente, crea quel ‘ritratto naturalizzato’ che si oppone alla fissità storica del ‘ritratto idealizzato’ di Reynolds: i Coniugi Kirby siedono a ridosso di un albero secco che campeggia su un cielo carico di pioggia in un’atmosfera autunnale; è autunno anche per il Visconte Ligonier; mentre il fresco giardino, dove la giovane coppia si scambia galanterie sullo sfondo di un tempietto classico che fa da quinta, ha un aspetto primaverile.

Visconte Edward Ligonier (1770)
Thomas Gainsborough
San Marino (California), Huntington Gallery
Olio su tela cm 239 x 157,5

La luce abbagliante, che fruga nei recessi ombrosi ove hanno trovato rifugio per le loro ricreazioni spirituali Elizabeth e Mary Linley rabbrividisce di un freddo invernale.

Quest’ultima opera, insieme ad altre come La Viscontessa Ligonier…,  Il ragazzo in blu…., La signora Hamilton Nisbet…, Georgiana duchessa di Devonshire, indizia su un alto e più ricco sentimento della natura e delle cose proposto da Gainsborough: un senso struggente di malinconia, legato al paesaggio quanto alle figure, che pervade del proprio pathos indefinito la scena stessa della vita nei suoi aspetti rustici e campestri non meno che in quelli raffinati di società. Si tratta, indubbiamente, di un precoce e inedito contributo fornito da Gainsborough alla categoria del Sublime senza, peraltro, che questo si precisi – come si è detto – in una normativa cogente o si esemplifichi di volta in volta nei vari aspetti che di esso verranno più in uso.

Forse, proprio per questa sua connotazione indefinita (che si traduce in una libertà espressiva di fondo), la pittura di Gainsborough preannuncia il gusto romantico della natura e dell’atteggiamento di dubbiosa inquietudine che pervade l’animo dell’uomo sensibile posto di fronte ad essa.

La viscontessa Penelope Ligonier (1770)
Thomas Gainsborough
San Marino (California), Huntington Gallery

Olio su tela cm 240 x 157,5
 Jonathan Butthal – Il ragazzo in blu (1770)
Thomas Gainsborough

San Marino (California), Huntington Gallery
Olio su tela cm 178 x 122

Nel ritratto delle sorelle Linley, questa intuizione si spinge fino a quella distillazione psicologica di tipo ossianico (Macpherson nasce nel 1736 e muore nel 1796) e preraffaellita che troverà le sue formulazioni più tipiche, circa ottant’anni più tardi, nel rarefatto ‘sublime’ delle creature ineffabili di Dante Gabriele Rossetti.

Le incursioni di Gainsborough in questo clima incipiente – ma, di fatto, ancora inconsistente – sono peraltro sporadiche e sempre seguite da un tempestivo rientro nel clima già precisato di uno scenario naturale rasserenante, la cui bellezza trasfonde la propria felicità nei protagonisti degli amori villerecci: nei contadini che vivono costantemente immersi in questa comunione con la natura, nonché nei raffinati cittadini en vacances per i quali la bellezza della natura condiziona una serenità d’animo (e una disposizione alla contemplazione senza affettazioni) che la città verosimilmente impedisce. E ciò anche se per la noblesse i modi di comportarsi non sono, in campagna o in villa, dissimili da quelli in uso nei salotti cittadini; conformemente, d’altronde, ai nuovi criteri educativi dell’alta borghesia, per la quale “a vera educazione… mira a sciogliere l’individuo dal peso di un bagaglio di convenzioni, a renderlo naturale, a permettergli di vivere e muoversi nella società con la stessa spontaneità e lo stesso occhio di chi vive e si muove nel proprio ambiente naturale” (Argan).

La signora Hamilton Nisbet (1785)
Thomas Gainsborough

Edimburgo, National Gallery of Scotland
Olio su tela cm 231 x 152,5
Georgiana duchessa di Devonshire (1783)
Thomas Gainsborough
Washington, National Gallery (Collezione Mellon)
Olio su tela cm 234,5 x 145,5

Costante è l’analisi del carattere dei personaggi che deriva dal fine visualizzante della pittura è che è opera della ‘mente attiva’ la quale, attraverso l’arguzia e le fini capacità interpretative, rappresenta anche ciò che non si vede rendendolo visibile. Non solo, ma attraverso, il wit e grazie ad esso, Gainsborough si avventura in autentiche imprese psicologiche come, appunto, quelle di amalgamare in una medesima dimensione spirituale topoi distanti, come figura e paesaggio oppure società e natura; senza però generalizzare ma anzi approfondendo entusiasticamente l’analisi degli oggetti e dei ritratti e facendo in modo che la natura circostante sia, talvolta, il particolare sentimento che di essa ha il personaggio rappresentato.

Al particolare presentimento del Sublime, quale è dato ricavare da alcune opere di Gainsborough, non è estranea (sia pure indirettamente e a livello delle penetrazioni culturali) la formulazione che di questa categoria fornì il Burke nel 1756, cioè poco prima che Gainsborough mettesse mano ai dipinti del periodo di Bath (1759-1774) che, con quelli del periodo londinese (1774-1788), segnano il culmine stilistico e poetico della sua arte.

Ciò che dell’estetica burkiana può essere discretamente penetrato nel tessuto poetico della pittura di Gainsborough, non è certo il concetto di Sublime come emozione violenta di dolore, terrore o pericolo (accezione che sostanzialmente collima con quella kantiana della Critica del giudizio e che alla pittura di Gainsborough è totalmente estranea, mentre talvolta può emergere in Turner e si sostanzia pienamente in Fùssli e William Blake) bensì quel tanto di ‘anti-classico’ insito nel concetto, quel deciso superamento dei concetti razionalistici formulati dal Pope nel suo celebre Essay on Criticism (1711) e quel favore per l’indeterminatezza del fare artistico del quale si stava alimentando, già dai primi anni del secolo, tutta l’estetica del Pittoresco (che troverà i suoi teorici in Cozens nel 1759 e in Prince nel 1794), contrapposta appunto all’estetica classica fondata sulla chiarezza intellettuale, sull’ordine rappresentativo e sulla serenità spirituale dell’artista trasfusa nel soggetto.

Dunque, tracce di una idea del Sublime possono praticamente reperirsi in due aspetti salienti dell’opera di Gainsborough. Nell’aspetto poetico, attinente ad una particolare visione del mondo che in più punti è contemplativa, assorta, sensisticamente immersa nello scenario naturale e – come s’è detto – legata al fluire delle stagioni; e nell’aspetto esecutivo del fare pittorico che, se si presenta anche come esibizione virtuosa di una prestigiosa abilità tecnica e di mestiere insieme entusiastico e concitato, fondamentalmente è rispondenza tecnicistica al gusto dell’indefinito non finito, dell’accennato, della traduzione di stati d’animo inafferrabili, mobilissimi, incerti. Questo secondo aspetto trabocca ben presto nella categoria del Pittoresco che, stupendo sensisticamente l’occhio e inquietando sottilmente l’anima, fonde insieme sensibilità e immaginazione.

Nell’opera di Gainsborough, quindi, si trovano anticipate e compresenti quelle due dimensioni  – del Sublime e del Pittoresco – che, verso la fine del Settecento, divideranno l’arte in due poetiche distinte e complementari. essenzialmente con BlakeConstable Turner.
Infatti, se in molte opere sia di paesaggio sia di ritrattistica i valori d’atmosfera avvolgono la visione di una luce piena che attutisce i contrasti e fa nitidi i contorni, in molte altre (La signora Graham…, Ritratto di Sarah Siddons…, Passeggiata nel parco di Saint James (The Mall)…, Elizabeth e Mary Linley e molte delle fancy pictures) abbondano i chiaroscuri, i toni incerti, i contrasti fra luce e tenebra: tutti quegli effetti, cioè, che non servono a fondare una problematica della luce ma che stimolano la sensibilità, conferendo all’oggetto da contemplare un aspetto piacevole e discretamente inquietante e che sono i tipici attributi ‘pittoreschi’.

La signora Graham (1775-1777) 
Thomas Gainsborough
Edimburgo, National Gallery of Scotland 
Olio su tela cm 235 x 153
Ritratto di Sarah Siddons (1783-1785) 
Thomas Gainsborough
Londra, National Gallery 
Olio su tela cm 125 x 100
Passeggiata nel parco di Saint James (The Mall) (1783 circa)
T
homas Gainsborough

Collezione Frick, New York
Olio su tela cm 119,5 x 144,5
 Elizabeth e Mary Linley(1772) 
Thomas Gainsborough
Dulwich College, Londra

Olio su lastra di vetro cm 195 x 150

Sui contrasti tra luce e ombra inseriti in un contesto di linee fluide, spezzate e curve, si fonda anche quel carattere di mobilità che anima i quadri di Gainsborough. Una mobilità che è direttamente collegata al momento tecnico del fare pittorico e che esibisce tutta una sua autonoma e suggestiva bellezza formale nel fascino della bravura, nella prestigiosità dell’esecuzione, nell’esattezza dell’improvvisazione che sembra bloccare la scena come sotto il lampo di un flash: in tutto ciò consiste, appunto, la perfezione tecnica del dipinto che è motivo di piacere sensibile e quindi estetico. Una mobilità, tuttavia, che non è soltanto limitata ad un senso di inquieta instabilità fisica delle figure o dei paesaggi, come diretta conseguenza del tecnicismo formale, ma che trapassa nel pathos dei personaggi il cui sentimento appare indefinito, mutevole e mobilissimo.
Mobili e ineffabili appaiono anche le ambientazioni e i panneggi dove la luce si raccoglie e si concretizza in vibranti creste nervose e vive, la cui consistenza figurativa, osservata attentamente, appare fluida e volatile con ricordi di Rubens e anticipazioni di Goya.
Gli ingredienti formali del dipinto, i colori e le linee, assumono così una loro autonomia espressiva al di là dei temi rappresentati e portano in primo piano una problematica della percezione, come percezione del particolare in ogni pennellata, che dà luogo a quella mancanza di figuratività della quale lo rimproverava il Reynolds.

D’altra parte, questa connotazione dell’uomo come essere che cambia a seconda delle emozioni che lo pervadono, colto in tutta la spontaneità dei suoi diversi atteggiamenti, spesso inafferrabili e sfuggenti, si riallaccia alla visione della natura impostata sul ritmo libero e variabile, pur se ricorrente, delle stagioni e del tempo. E tutto è un contributo a quella “idea naturalistico-emozionale che sarà uno dei contrassegni del gusto inglese alla la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento” (Assunto), contrapposta, insieme a tutto il filone della filosofia empirista che identifica appunto il bello con il piacevole, all’ideale classico di un’arte della ragione e dell’intelletto in cui le sembianze della natura appaiono secondo valenze razionalizzate e libere dall’insorgenza di scarti di fantasia o declinazioni emotive.

C’è, poi, il già richiamato principio della varietà, che oltre ad unire paesaggio e figura, società e natura,  acquista ulteriori significati in questo mobile gioco psicologico e sensistico collegato alla linea spezzata del disegno (che è un disegno-colore), animato da un fuoco interiore: ciò è insieme mistica della tecnica, concitazione emotiva, entusiasmo.

Lo Shaftesbury dirà che l’artista non copia una cosa esterna ma dà forma al suo slancio, attua il suo spirito e produce un essere nuovo (G. C. Argan, La pittura dell’Illuminismo in Inghilterra, Roma, 1965).

Fondamentalmente, e tenuto conto della suggestione sensuosa del colore che tende sempre più ad affrancarsi dal rigore intellettualistico del disegno, sono queste le ragioni profonde che contrappongono il ‘naturalista’ Gainsborough al ‘classico’ Reynolds.
Sono le medesime che, in poesia, dividono Pope da Milton e Ossian: un ideale del bello piacevole è grazioso mutevole ed indefinibile (com’è indefinibile, in tanti suoi aspetti, il reale) che si contrappone ad un bello ‘ideale’ incorruttibile, educativo e sublimante; nonché una visione della natura che, mentre per Reynolds “è il generale e non particolare concetto dedotto dall’esperienza e con esperienza flagrante” (VII Discorso), per Gainsborough è approfondimento del problema della visione particolare della natura la cui norma generale è data, semmai, dal ‘pittoresco’.
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