O POVRA MI
O povra mi,
chi sa quandi ch’al’ vegga!
Mai pì, mai pì
ant cull luntan pais
u murirà mischin,
an mes a cui nimìs.
U m’ ven in sciass a cor,
mi par d’ santìle a dir:
“Ajit ca moir!”.
Ticc i passran anan,
canun, omi, cavai,
i l’ pestran cme in can.
Amparatur canaja,
birbant d’in Napuliun,
ti e re to bataia.
A Musca t’vôi andée
e i nostri fioj
t’i fai masée.
O povra mi,
chi sa quand ch’al’ vegga!
Mai pì, mai pì.
Oh, u sareiva mei
che m’alveiss d’ant i pei :
pijeme an po, Signur.
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O POVERA ME
O povera me,
chi sa quando lo rivedrò;
mai più mai più.
In quel lontano paese
morirà meschino,
in mezzo a quei nemici.
Mi viene una stretta al cuore,
mi pare di sentirlo, dire:
Aiuto, che muoio!
Tutti gli passeranno davanti,
cannoni, uomini, cavalli,
e lo calpesteranno come un cane.
Imperatore canaglia,
birbante d’un Napoleone,
tu e la tua battaglia!
A Mosca te ne vuoi andare,
e i nostri figli
fai ammazzare.
O povera me,
chi sa quando lo rivedrò;
mai più, mai più.
Oh, sarebbe meglio
che mi levassi dai piedi:
prendetemi, Signore.
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Il riferimento alla spedizione di Russia riconduce anche questa canzone al 1812-13; questa volta è una madre del Monferrato che parla, lamentando le scarse possibilità di rivedere il figlio, costretto a seguire l’amparatur canaja, birbant d’in Napuliun nella guerra contro Io zar, ant cull luntan pais.
Il testo, senza musica, è stato pubblicato per la prima volta da Giuseppe Ferraro (1870); oggi anche in Leydi – Canti sociali italiani.
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